In occasione dell'uscita del suo nuovo album, abbiamo intervistato il cantautore
Cimini aveva qualcosa da dire e per farlo ha scritto un album. Si chiama "Pubblicità" ed è uscito lo scorso 1° aprile. «Stiamo vivendo un momento di attesa, proprio come come una pubblicità, ma adesso abbiamo voglia di vedere come va a finire il grande romanzo che è la nostra vita, o almeno di farlo continuare» ha spiegato il cantautore, parlando del titolo del suo ultimo lavoro.
Una pubblicità, però, ricca di tematiche importanti e opinioni personali, che vanno dai social all'amore, per arrivare ai porti chiusi e alla provincia, che bagna tutto l'album come il mar Tirreno. Soprattutto parla delle persone e dell'umanità, che l'artista osserva continuamente, definendosi "un osservatore, come Carlo Verdone". Il tutto edulcorato da un indie-pop piacevolissimo e da un'ironia affilata. Perché, come dice Cimini: «Possiamo essere leggeri, anzi leggerissimi, ma non disinteressati».
Di cosa parla il tuo nuovo album?
Parla soprattutto di intimità, perché ho vissuto un periodo che ha coinvolto tutti in cui sono stato costretto a guardarmi dentro. E di tutto quello che c'è stato intorno, delle persone, della società. Il bello è che indagando queste due cose, me stesso e le persone, sono arrivato a una soluzione: che siamo tutti sulla stessa barca e quindi il mio messaggio è indirizzato a un pubblico che può capirlo e interpretarlo come vuole.
Con la tua ironia e il tuo modo di scrivere leggero affronti temi attuali e forti: secondo te c'è bisogno di una musica che prenda posizione su argomenti di interesse pubblico?
Eh sì. Io sono uno di quegli artisti figlio di certi padri che sentono il bisogno di dire quello che pensano. Io non voglio convincere nessuno con la mia musica, però personalmente non riuscivo a stare zitto su determinati temi e quindi ho preferito affrontarli. Nel nostro mondo spesso c'è la moda periodica di essere disimpegnati, ma forse adesso non è il momento di ignorare certi temi.
Che poi fare musica leggera non è facile e sotto un testo spensierato può nascondersi una riflessione più profonda.
Certo, "Innamorato" è la classica canzone d'amore, ma in realtà attinge a una trama cinematografica per cui oggi vale la pena lottare. È un brano che in realtà parla di una storia omosessuale, presa esplicitamente dal film "Call me by your name", e il messaggio che voglio mandare è che la trama non conta, quello che conta è l'amore. Quindi non importa chi si innamora di chi, conta il sentimento.
In una tua recente intervista hai detto che sei andato a vivere a Bologna per scappare: da cosa sei scappato?
Sono scappato quando ero un post-adolescente, avevo bisogno di riempire il mio bagaglio culturale ed esperienziale e la provincia non aveva nulla da offrirmi. Da ragazzino ero abbastanza sfigato, diciamo, e ingenuo. Una volta trasferito, ho fatto i conti con me stesso e ho capito che mi mancava il "paesino", dubitando anche della mia scelta, ma nessun pentimento, anzi, perché alla fine ho capito che la provincia mi stava stretta.
Qual è il brano più legato a questa questa provincia?
In questo disco è sicuramente "Tirreno". Per me questo era un tema talmente importante in questo disco che ho deciso di affrontarlo non con i miei occhi, anche se parlo del mio vissuto, ma con gli occhi di una ragazza fuori sede che la sera, da sola nella sua casa in città, si domanda se ha fatto bene a lasciare il paese dove è cresciuta. La risposta è sì. C'è una fuga generale, in provincia siamo sempre meno, come la spiaggia sul Tirreno, che ogni volta che torno al mio paese c'è sempre meno. Il brano sfrutta l'erosione costiera per parlare dell'erosione intima.
Il tuo album è pieno di citazioni musicali e cinematografiche: quali influenze stimolano la tua creatività?
A me piace la cultura "pop", mi sono sempre cibato di musica italiana, film, e serie tv da tutto il mondo. In questo disco ci sono pezzi come "Karaoke" che prendono in prestito le frasi dei miei maestri che più mi sono piaciute. Le mie influenze sono anche cinematografiche: ci sono più canzoni in cui è presente Jim Carrey nei miei album che film di Jim Carrey. Mi piace il cinema italiano: sogno di vivere come Fellini, perché aveva una visione talmente romantica della vita che noi artisti che proviamo a fare dell'arte il nostro mestiere possiamo solo allacciargli le scarpe. Allo stesso tempo le serie tv in cui ci noto una genialità per me sono delle influenze assurde, da "Breaking dad" a "Boris".
Dal tuo primo album "Ancora Meglio" (2018) a oggi, come sei cambiato?
È cambiata soprattutto l'idea di musica che ho. Però il vero cambiamento sta nel bisogno di farmi capire dalle persone. Spesso mi sono ritrovato a essere visto come un artista superficiale, invece ho sempre pensato che nei miei testi ci fosse qualcosa di più. Quindi anche il fatto di sentirmi un po' incompreso mi ha portato alla necessità di far capire chi sono davvero e che voglio dire qualcosa, anche di forte.
Come è nata l'idea di affidare gran parte di questa comunicazione a delle illustrazioni?
È merito del matrimonio artistico tra me e Noemi Vola, che è riuscita col suo stile a tradurre il mio messaggio in forma di disegno, un po' come succedeva tra Gianni Rodari e Bruno Munari. Io volevo dire in forma semplice delle cose che forse semplici non erano, allora Noemi, che fa delle illustrazioni "infantili", come se fossero disegnati da un bambino, è riuscita a nasconderci dentro tutti i messaggi più o meno seri che vogliamo dare nel disco.