Zucchero racconta “D.O.C.”: «Un album carico di luce e spiriti»

Tre anni e mezzo dopo "Black Cat" torna Sugar con un album modernissimo, ma meno goliardico del solito


8 Novembre 2019 alle 14:11

Che nel nuovo disco di Zucchero Fornaciari ci sia qualcosa di anomalo te ne accorgi fin dalla copertina di "D.O.C.", bella satura di colori. Sugar non c'è, nel senso che non compare con il suo corpo. Incredibile. Tale strategemma "battistiano" (un altro, Lucio Battisti, che ha fatto dell'assenza un'arte) non invadeva l'immaginario di Adelmo da trent'anni esatti. Da quell' "Oro, incenso e birra" che, ancora oggi, continua a essere un monolite di riferimento nella carriera del bluesman reggiano. Un album, quello, a cui lo stesso "D.O.C." deve sicuramente qualcosa.

Ma alla fine dove è Zucchero? Ah, eccolo sul retro del cd (o del doppio vinile). E anche qui altro indizio compromettente: lo sguardo di Sugar è celato da un superbo cappello a tesa larga («È chicano», mi spiega lui) da cui spunta solo la barba. E sulla spalla un fosco corvo nero. Incoronato, giusto per non farci mancare nulla. Ok, cosa vuoi farci intuire, Sugar? Che cosa ti rode dentro? Poi parte la musica e, ovviamente, un nuovo scenario reclama la sua parte.

"Spirito nel buio", prima traccia di "D.O.C.", fa quasi paura da quanto è moderna e calata nel caos di questo 2019. Synth sfacciati, cassa rullante da battaglia (la batteria la suona Matt Chamberlain, un passato pure con Tori Amos e Chris Cornell), atmosfera decisamente dance eppure smorzata da un dirompente coro gospel che sa di terra umida. "Spirito nel buio", per farvela breve, potrebbe essere la "Diavolo in me" di quest'epoca dove tutto ormai si muove lungo le autostrade digitali. Bella dinamica è pure "Soul Mama" che ha stampate in faccia le paroline magiche "hit estiva" anche se siamo appena a novembre. Avete presente "X colpa di chi"? Ecco, immaginatevi quell'atmosfera lì, sbarazzina e funky al punto giusto. Anche se questo in definitiva è un bel funk contemporaneo e forte di una produzione chirurgica curata da Don Was

Il fiato lo tiriamo con "Cose che già sai" (sublime ballad elettronica in duetto con la svedesina hipster Frida Sundemo), ma è già tempo della collaborazione con Davide Van De Sfroos in "Testa o croce". Van De Sfroos? Quello di "Pulenta e galena fregia" e "La balàda del Genesio"? Esatto, proprio lui. Solo che qui ci sono chitarre futuristiche, una batteria pestona, tastiere prog, una cantilena alla Imagine Dragons e neanche un accenno di quelle atmosfere laghée tipiche del cantautore comasco. La prima, vera bomba del disco.


Le altre due sono giusto dietro l'angolo. Il singolo "Freedom", scritto con Rory Graham alias il corpulento Rag'n'Bone Man, è semplicemente splendido: ritmica dubstep che va a fondersi dentro strofe alla Battisti prima che un azzeccato ritornello liberatorio collochi la stessa "Freedom" nel pantheon delle più grandi melodie made in Sugar. Dal vivo, statene certi, farà sfracelli. Come speriamo colpisca nel segno anche "Vittime del cool", un blues oscuro, nervoso, molto New Orleans, pieno zeppo di cori e controcanti lussuriosi. Scandito da un rullante elettronico che sembra un piede che percuote a tempo un pavimento di legno. Adriano Celentano, scommettiamo, avrebbe fatto carte false per cantare un brano del genere.

Abbiamo scollinato. Ecco, se "D.O.C." finisse con il pianoforte classico di "Sarebbe questo il mondo" (altra ballad da pelle d'oca) o con le aperture sinfoniche de "La Canzone che se ne va" (con attacco un po' alla "Iruben me"), ci sarebbe da essere comunque soddisfatti. Ma Zucchero ha ancora tre frecce al suo arco. Il rhythm 'n' blues sociale e polemico di "Badaboom (Bel Paese)" dove l'elettronica torna a farla da padrone e noi si ricomincia a ballare; il tenero folk di "Tempo al tempo" dove si rinnova la partnership con Francesco De Gregori e, infine, la delicata ballata "Nella Tempesta" che forse deve qualcosa a John Lennon così come al Rod Stewart di "Handbags and Gladrags". Per poi congedarci con le versioni in lingua inglese di "Freedom" (che diventa "My freedom"), "Vittime del cool" ("Someday") e "Cose che già sai" ("Don't let it be gone").

Degna conclusione internazionale di un disco che dai paeselli della Lunigiana è ora pronto a girare il mondo intero (il nuovo tour di Adelmo parte il prossimo aprile dall'Australia; poi a settembre 2020 sarà a Verona per dodici concerti in Arena) e a riscuotere consensi un po' ovunque.

"D.O.C." convince proprio perché è l'opera che non ti aspetti da un 64enne con decine e decine di hit sul groppone. Chi te lo fa fare, Sugar, di metterti così a nudo alla tua età? Di osare così tanto con le produzioni moderne? Di dire la tua sulle bassezze italiane? Ah già, probabilmente quel bisticcio che hai nello stomaco. Quella rottura du maroun. Quel blues.   

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