Drupi: «Se le canzoni non vanno torno a fare l’idraulico»

Il popolare cantante ci parla del suo nuovo album "Fuori target & friends" e di una carriera ricca di successi. «Dopo il flop della mia prima apparizione a Sanremo mi arresi» ricorda. «Ma poi “Vado via” diventò una hit internazionale»

Drupi, al secolo Giampiero Anelli
11 Febbraio 2021 alle 08:39

«Sparito? Niente affatto! Sa quante volte mi hanno proposto dei reality in tv? Pagavano anche dei bei soldini, ma ho sempre detto di no. Che cosa ci vado a fare? In tv io voglio suonare».

A parlare così è Drupi, al secolo Giampiero Anelli, un capellone di 73 anni dalla voce roca, che ha cantato brani che hanno fatto la storia del pop italiano: “Vado via”, “Piccola e fragile”, “Due”, “Regalami un sorriso”, “Sereno è”, “Era bella davvero” e tantissime altre. In tv, ultimamente, lo si vede poco, ma non ha mai smesso di cantare e di comporre canzoni.

«Sto lavorando a un nuovo progetto, ma ho tempi lunghi per la scrittura. Intanto, stando a casa così tanto, era dal 1973 che non facevo un’estate senza andare in tournée, ho riscoperto un bel po’ di materiale sparso qua e là. Brani che avevo scritto per altri, duetti, cose così. C’è un pezzo con Ron e la cantante ceca Monika Absolonová, uno con un altro artista ceco molto apprezzato, Michal David, uno scritto con Stefano Bollani. Così è nato “Fuori target & friends”, da gennaio sulle maggiori piattaforme digitali».

Intanto che fa nella sua Pavia?
«Mi godo la tranquillità. Ho una casa con un bel giardino e all’inizio mi ha dato sollievo. Adesso, però, non vedo l’ora di tornare a suonare. E poi pesco...».

Già, la sua grande passione. Ma almeno è buono da mangiare questo pesce del Ticino?
«Mangiare? Scherza? Non ce la faccio a mangiare il pesce! Mi sembrerebbe di mangiare mio fratello. Io ci parlo coi pesci, li accarezzo, ma mangiarli no. Quando ho cominciato a fare le gare sportive mi sono battuto perché i pesci venissero subito rimessi in acqua».

A fine Anni 60, i gruppi di cui faceva parte, I Frenetici e Le Calamite, li chiamavano i Beatles pavesi: al mitico “Paips” di Milano, avete diviso il palco addirittura con Celentano.
«Eravamo bravi e la Milano musicale di allora era straordinaria. Non c’erano le discoteche e nei locali suonavano i gruppi dal vivo, anche stranieri. Così ti capitava di dividere il palco con Brian Auger o con i Led Zeppelin, che all’epoca si chiamavano Yardbirds. Nel 1970 sembrava che dovessimo esplodere e invece non successe nulla. Così il gruppo si sciolse e io tornai a fare l’idraulico».

Poi che cosa è successo?
«Era estate e un mio amico, che faceva il violinista per Lucio Dalla, mi dice: “Cosa vai a fare l’idraulico in estate? Vieni in tour con noi, dai una mano, e poi d’inverno ti metti a lavorare”. Ho fatto un’estate da “roadie”, in pratica scaricavo gli strumenti per Dalla, accordavo le chitarre, piccole cose. In compenso tutte le sere mi godevo dal palco lo show di Lucio. Grandioso!».

Da assistente di Dalla a Sanremo è un bel salto.
«Fu un colpo di fortuna. Nel 1973 l’autore di “Vado via”, che era un mio amico, mi chiese di incidere un provino per Mia Martini. Mi pagarono 500 mila lire e io ero già felice così. Poi Mimì, a un mese dal Festival, non volle più andarci e i discografici dissero: “Facciamola fare al ragazzino”».

E lei pensò di avercela fatta.
«Già, invece la musica sembrò tradirmi ancora: arrivai ultimissimo. Ci rimasi male davvero. E tornai di nuovo a fare l’idraulico».

Ancora?
«Eh sì. Mi piaceva pure! Solo che la canzone cominciò ad andare forte all’estero, ma non riuscivano a trovarmi perché non avevo il telefono. A un certo punto mi rintracciarono e c’era questa Ariel, responsabile della casa discografica Rca in Francia, che mi disse che mi volevano in un programma a Parigi. Io, che non ero mai andato oltre Milano, all’idea di andare a Parigi feci salti di gioia. Aggiungiamoci anche che Ariel disse che inizialmente potevo dormire da lei e io, che ero un ragazzotto, sperai che ci scappasse pure l’avventura».

E invece?
«E invece Ariel, che era una signora sposatissima, mi porta in questa trasmissione dove incontro Henri Salvador, un famosissimo comico e cantante, che era il mio idolo. Mi giro e vedo Johnny Hallyday, Mireille Mathieu… Insomma, gli unici sconosciuti eravamo io e uno spagnolo: Julio Iglesias. Il programma fu un grande successo e da lì è partito tutto. “Vado via” ha fatto il giro del mondo!».

E finalmente il successo è arrivato anche in Italia.
«Eh sì, ma con calma. A un certo punto si sono detti: “Ma chi è questo che vende dischi dovunque?” Con “Piccola e fragile” andai primo in classifica e da lì ho cominciato a inanellare un successo dietro l’altro anche qui da noi».

Lei è una superstar nei Paesi dell’Est. A Praga ha suonato nella Piazza della Città Vecchia, dove c’erano stati solo i Rolling Stones.
«Allora: io ho avuto successo dovunque, mi creda. Sono stato in classifica anche in America, dove, prima di me, c’era riuscito solo Modugno. Però ai giornalisti piace questa storia dell’Europa dell’Est, diciamo che fa scena... Di certo sono stato uno dei primi ad andare “oltre cortina”. Quei Paesi mi affascinavano. Avevo uno zio che era un vecchio comunista e l’idea di andare a vedere con i miei occhi com’era il mondo lì mi piaceva. Diciamo che io, con i miei capelli lunghi, la chitarra, il mio vestire un po’ da indiano, a un certo punto ero diventato una specie di simbolo di libertà».

Soprattutto in Polonia.
«Là scrivevano: “Walesa, Wojtyla e Drupi hanno cambiato la Polonia”. È chiaro che non è stato così, i giornalisti esagerano...».

Insomma, i giornalisti esagerano sempre. In Italia la stampa come l’ha trattata?
«Bene, siamo sempre andati d’accordo. Solo una volta, una nota giornalista scrisse: “A Sanremo i raccomandati di De Mita” e allora mi arrabbiai e gliene dissi quattro. Poi siamo diventati amici. Oddio, ci sarebbe pure quell’altra volta che ho perso davvero le staffe».

Quando?
«Quando dalla scuola di mio figlio mi chiamarono per dire che c’era uno che si aggirava facendogli delle foto. Era l’epoca dei sequestri, qui nel pavese ce n’erano tanti. Non la presi bene».

Andò alla polizia?
«No! L’ho chiuso in un ascensore e gli ho “spiegato” che certe cose non si fanno. Era un fotografo dei giornali di gossip».

Immagino che sia stato prima che le assegnassero il premio “Buon samaritano” per avere salvato due donne che stavano annegando.
«Ma va, anche lì, i giornalisti...».

Esagerano, giusto?
«L’acqua in quel punto del Ticino sarà alta un metro e mezzo. Queste due c’erano finite dentro con l’auto. Erano salite sul tetto e urlavano come delle matte: “Annego, annego!”. Nessuno interveniva, allora mi sono ricordato che avevo una corda in macchina e le ho “prese al lazo”. Si sono aggrappate e le ho tirate fuori. Cosa vuole che sia?».

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