Enrico Ruggeri: «Suonare mi fa stare bene»

Ha parlato con noi del nuovo album "Alma" e del (doppio) tour che lo porterà in giro per l'Italia tutta l'estate

Enrico Ruggeri. Nella sua carriera ha vinto due volte il Festival di Sanremo (1987 e 1993)  Credit: © Angelo Trani
23 Maggio 2019 alle 18:05

Ci siamo dati appuntamento nel suo studio di registrazione, a due passi dall’aeroporto milanese di Linate. Enrico Ruggeri ha la solita aria tranquilla, ma quando comincia a parlare di musica gli si illuminano gli occhi.

Avete presente “Quelli che...”, il brano in cui Enzo Jannacci prendeva in giro «quelli che cantano dentro nei dischi perché c’hanno i figli da mantenere»? Ecco, Enrico è esattamente il contrario: ha alle spalle 46 anni di carriera, oltre 30 album e più di 3.000 concerti, eppure dà ancora l’idea di uno che, pur di fare musica, pagherebbe di tasca propria. A scatenare il suo entusiasmo oggi è “Alma”, il disco uscito ad aprile che sta portando in giro per l’Italia.

Enrico, ha definito il nuovo album uno dei progetti più importanti della sua vita. Perché?
«Mi piace molto, e poi non vedevo l’ora di inciderlo. Non mi era mai successo di far passare tre anni tra un disco e l’altro: è vero che nel frattempo ci sono stati la reunion dei Decibel (il gruppo che fondò nel 1977, ndr), due tour e due Festival di Sanremo, ma cominciava a mancarmi una nuova creatura».

E il risultato è...
«Un disco all’antica: entravamo in studio e suonavamo, punto. Altro che effetti speciali e diavolerie tecnologiche: una sorta di live in studio».

Stavolta dire che ha fatto le cose in famiglia non è un modo di dire. Il primo singolo, “Come lacrime nella pioggia”, è una coproduzione con suo figlio Pier Enrico, in arte Pico Rama.
«È stata una bella soddisfazione: lui aveva scritto la musica e me l’ha fatta ascoltare, a me è piaciuta e così le ho cucito addosso il testo. Non abbiamo lavorato gomito a gomito, ma il risultato mi soddisfa».

Nel brano “Un pallone”, invece, c’è un duetto con Ermal Meta.
«Ho invitato Ermal perché lo sento simile a me: anche lui viene da una band, scrive spesso con altri artisti, non sa stare fermo un attimo ed è una mente in perenne fermento».

Nel brano scritto con Pico lei canta: «Apparentemente niente resta di noi». Con il passare degli anni sta diventando malinconico?
«Beh, la paura di non lasciare nulla dietro di sé fa parte della mia età. Non esagero, però. Fin da quando ho iniziato ho capito subito due cose: che non avrei riempito lo stadio di San Siro e che non sarei mai sparito. Direi che non mi sono sbagliato. La cosa più importante è stata poter realizzare il sogno di fare musica, soprattutto dal vivo. Ho superato quota 3.000 concerti, e non intendo fermarmi».

Ha sempre avuto un rapporto difficile con le regole del mercato discografico.
«È vero, ma ormai ho capito che bisogna accettarle anche quando non ti premiano. So che certi successi più commerciali mi hanno permesso di far conoscere cose di me che altrimenti nessuno avrebbe incontrato. Vendere tanti dischi, oltre ai soldi mi ha dato soprattutto la libertà di fare quello che volevo. Trent’anni fa sono stato il primo a fare un tour con un’orchestra, e pazienza se qualcuno veniva solo per vedere “quello che aveva vinto Sanremo con Gianni Morandi e Umberto Tozzi”. L’importante era che ogni sera facevo il tutto esaurito».

Per festeggiare “Alma” si è inventato addirittura un doppio tour...
«Sì, uno acustico e uno elettrico. Il primo è destinato ai teatri, con il palco che in pratica è un salotto, con piano a coda ma senza chitarra elettrica né batteria. L’altro sprigiona più energia, e sarà quello che proseguirà per tutta l’estate. Gliel’ho detto, se non suono mi sento male».

La cover è un disegno di Dario Ballantini

La copertina di “Alma”, il nuovo album di Enrico Ruggeri

Qui sopra, la copertina di “Alma”, il nuovo album di Enrico Ruggeri. Una curiosità: la copertina del cd è stata realizzata da Dario Ballantini, uno dei volti più popolari di “Striscia la notizia”, il tg satirico di Antonio Ricci. «Siamo amici da tempo» dice Ruggeri. «Anni fa abbiamo fatto anche una performance insieme alla Triennale di Milano: io suonavo, lui dipingeva. Stavolta gli ho chiesto di pensare a un’immagine per illustrare il mio disco, e come sempre non mi ha deluso».

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