Ermal Meta «Vi racconto tutta la verità su di me»

Il fenomeno Ermal Meta continua dopo Sanremo: l'album è volato in vetta alla Superclassifica. Ci siamo fatti svelare i suoi segreti

Ermal Meta a Sanremo, terzo classificato, ha vinto il Premio della critica e ha trionfato nella serata delle cover  Credit: © Massimo Sestini
9 Marzo 2017 alle 11:11

«Ermal, scegli un posto dove andresti a cena coi tuoi amici» gli diciamo al telefono. E lui ci invita in una trattoria alla periferia di Milano. Arriva in auto, lo riconosco dal suo elegante cappello nero. «Ho speso così tanti soldi in questo ristorante che dovrebbero darmi un attestato di fedeltà!» ci dice. E ci sediamo al tavolo. È il suo momento d’oro: terzo classificato a Sanremo con il brano «Vietato morire», Ermal è stato il primo Campione del 67° Festival ad arrivare in cima alla Superclassifica con il suo nuovo, omonimo album. È un ragazzo raffinato, una buona forchetta, un artista con una storia incredibile e tutta da raccontare.

Il significato del mio nome
«Ermal è un nome molto comune in Albania, il mio Paese di nascita. Significa “vento di montagna”, da noi è tipico come i vostri Carlo o Alessandro. La cultura albanese è piena di nomi con significati belli e inconsueti».

Come sono arrivato in Italia
«L’Albania è un Paese straordinario, per i luoghi e per le persone che ci vivono. L’ho lasciata con mio fratello, mia sorella e mia mamma, con un normalissimo traghetto, più di 20 anni fa. Non in un barcone, come alcuni hanno scritto! Sono nato e cresciuto a Fier, nell’entroterra, un luogo di passaggio verso i luoghi più belli di questa “terra delle aquile”, come la chiamiamo noi. L’ultima volta ci sono tornato cinque anni fa e ne sono ancora innamorato.
Quando nelle interviste mi chiedono com’è stata la mia infanzia dico semplicemente: “Bella!”. La verità è che molte delle cose che riguardano quegli anni le tengo dentro di me, per riviverle mi basta guardare le ferite che porto addosso. Ho lasciato l’Albania in un periodo difficile (al crollo del regime comunista del 1990 seguì un lungo decennio di instabilità politica, ndr) quando gli uomini con le idee, la cultura e la voglia di fare arte non potevano gettare semi di speranza e ribellione. Però io da bambino non mi rendevo conto di quello che stava accadendo: la mia storia di disobbedienza e fuga, che ho voluto raccontare in “Vietato morire”, ha un’origine molto più personale (il brano racconta la ribellione di un figlio agli abusi del padre, ndr)».

Il primo contatto con la musica
«Arriva da piccolissimo, avevo 4 o 5 anni. Vengo da una famiglia di musicisti. Mamma è una violinista e mi portava sempre ai suoi concerti. Ero affascinato dal suo mondo. Il pianoforte per me era un’astronave con i tasti, un giocattolo straordinario. Schiacciavo quei tasti a caso e impazzivo di gioia. Da piccolo scrivevo i testi delle canzoni sui fogli e, anche se non sapevo suonare, canticchiavo le melodie e le ripetevo ogni giorno a me stesso, per non dimenticarle. La mia prima canzone la scrissi a 12 anni per una ragazza per cui mi ero preso una cotta bestiale. Quella ragazza l’ho incontrata tantissimi anni dopo, al mare. Non la riconoscevo più, però c’era qualcosa in lei che ancora mi colpiva. Lei si ricordava di me: non per le canzoni, ma per come la trattavo male. Ero dispettoso, facevo il duro. Era il mio modo per farmi notare».

Dallo studio al Festival
«Da ragazzino ho sempre fatto il mio dovere con una dedizione totale allo studio. Avevo ottimi voti: in quanto a testardaggine e determinazione non mi batteva nessuno. Anche oggi sono un po’ così. Ho vissuto tutti gli anni della mia adolescenza a Bari, dove ho fatto le medie, il liceo scientifico e dove ho studiato Lingue all’università: mi manca solo un esame. Nel frattempo la mia urgenza di fare musica è diventata un’occupazione a tempo pieno, partendo dalle band locali. A 24 anni sono entrato in corsa negli Ameba 4, che erano seguiti da Caterina Caselli. Abbiamo partecipato a Sanremo 2006, conduceva Giorgio Panariello. Ci eliminarono dopo la prima esibizione. Io intanto scrivevo canzoni, ma le tenevo per me. È dal 2007, con la nascita della mia band La fame di Camilla, che sono riuscito a trasformare questa mia passione in un lavoro, grazie ai concerti. Non guadagnavamo molto perché fare tanti concerti per una band è costoso e quello che rimane per te è davvero poco. Con loro ho partecipato a Sanremo nel 2010, ma anche in quell’occasione fummo eliminati. Ci siamo sciolti quattro anni fa».

Vita da autore
«La prima mia canzone che ho dato a un altro artista fu “Il colore del cuore» a Jessica Brando nel 2010. Due anni dopo ho lavorato con Francesca Michielin (scrivendo “Un nuovo nome”, ndr) e da lì è nata la mia carriera, per così dire, “parallela” che ha raggiunto il suo primo picco scrivendo tre pezzi con Marco Mengoni per l’album “Pronto a correre”. Quando do un brano a un altro artista non svelo mai perché l’ho scritto. È giusto che gli interpreti non vengano influenzati: devono collegare i miei testi al loro mondo, alla loro vita. Mi è capitato di sentir cantare alcune delle mie canzoni e dire a me stesso: “Non l’hanno proprio capita!”. Altre volte, invece, ne hanno dato un significato nuovo, diverso e comunque speciale. In tutto quello che faccio, anche oggi, non penso al tornaconto economico. Preferisco essere pagato di meno pur di poter lavorare di più. Quando si guadagna meglio? Quando scrivi per un artista importante oppure quando le persone cominciano a venire ai tuoi concerti. Ci si può mantenere facendo l’autore o il cantautore... a me invece piace fare entrambe le cose».

Come nascono le mie canzoni
«In un mese posso scrivere dai 5 ai 12 brani. Poi magari per due mesi non scrivo nulla. Se arriva un’idea, la devo mettere subito giù perché non voglio perderla. Di solito un cantautore tende a cucire dei vestiti adatti a se stesso, io a volte cucio dei vestiti che su di me non stanno bene: canto quella canzone una volta e so già che non potrò più farlo. Altri pezzi invece non li cedo a nessuno, perché li sento solo miei. In questi anni ho avuto la fortuna di incontrare artisti con i quali ho trovato subito un’intesa artistica fortissima: Emma, Francesco Renga e Marco Mengoni, a cui voglio un sacco di bene anche se non ci vediamo da un anno e mezzo. Tra i tanti incontri, due mi hanno sconvolto: quello con Tiziano Ferro, una persona con un carisma che ti rapisce, ed Elisa, una delle artiste più brave, capaci e umili che conosca e con la quale ho anche duettato nel mio nuovo album».

Sono venuto a vivere a Milano
«Tre anni fa ho deciso di trasferirmi a Milano per cercare nuove opportunità. Avrei potuto rimanere a Bari, dove sono cresciuto, ma qui posso fare tutto in modo più immediato. Purtroppo la Puglia è molto lontana. Finora Milano è una città che non ho vissuto davvero perché mi divido tra la mia casa, lo studio di registrazione e i ristoranti dove si mangia bene, come questo. Non sono mondano, conosco poco la città».

Il successo dopo Sanremo
«Non sapete quanto mi ha reso felice vedermi primo nella Superclassifica! Appena è uscito il numero di Sorrisi con la notizia mi ha chiamato Carlo Conti per complimentarsi. Ancora non ho avuto tempo per rendermi conto davvero di cosa sia successo. Durante il Festival non dormivo di notte per l’ansia o per l’adrenalina, continuavo a fissare il soffitto dicendo a me stesso: “Quanto sono fortunato!”. Sono arrivato alla serata delle cover con un’ora di sonno alle spalle, ho cantato “Amara terra mia” di Modugno e ho vinto. Poi sono arrivati il terzo posto e il Premio della critica. La stanchezza non l’ho mai sentita perché ero lì a fare la cosa più bella del mondo. Durante quei giorni ho addirittura scritto una canzone: anche nei momenti più intensi non posso fermare l’istinto. L’esperienza di Sanremo mi ha fatto capire che quella telecamera ti scruta più di quanto pensi. Quando ti trovi lì davanti devi raccontare la tua verità, altrimenti il pubblico se ne accorge».

E ora si continua a lavorare
«Il mio futuro, nonostante le cose belle che stanno succedendo, non cambierà di una virgola. Quando realizzo un album ne faccio sempre due paralleli, quindi avrei dei dischi già pronti per essere pubblicati. E non vedo l’ora di farvi ascoltare due dei pezzi che ho scritto nell’ultimo periodo. Continuerò a firmare brani per altri artisti e guarderò il mio cassetto pieno di canzoni che è in continua evoluzione. Dentro quel cassetto ci sono tante cose che parlano di me: sono già pronte per essere cantate, ma io non sono ancora pronto a raccontarle a tutti. Non amo molto parlare della mia vita privata sui giornali, ma quando lo faccio nella musica non mi pongo limiti. Quello che non vi ho raccontato oggi lo trovate nei miei album. Lì, ve lo assicuro, c’è proprio tutto».

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