Frankie hi-nrg mc ci racconta la sua “Nuvole”: «Avvicinarsi all’ignoto con occhi ben aperti»

Il rapper è tornato con un brano a sorpresa e ci spiega quanto sia importante mettere in parola quello che ci spaventa per non avere più paura, un po' come il buio che può splendere se solo guardiamo bene

Frankie hi-nrg mc  Credit: © Stefano Guindani
30 Novembre 2020 alle 12:48

Dopo il singolo "Estate 2020", uscito lo scorso luglio, Frankie hi-nrg mc è tornato con un nuovo brano a sorpresa. Si chiama "Nuvole", ma non ha nulla a che vedere con il meteo, come lui stesso ci ha spiegato durante questa intervista. La canzone è figlia del momento che stiamo vivendo, segnato da limiti e dall'oscurità, dalla paura dell'ignoto e dal narcisismo. Tutto questo viene esplorato dal rapper che, con occhio critico ma ben aperto, riesce a fare il punto della situazione.

Sì, fuori è buio, ma anche nei momenti più cupi bisogna cercare lo spiraglio di luce per andare avanti, magari mano nella mano. Questo, parafrasando, è il messaggio del rapper, che ben sintetizza nel ritornello "Fuori splende il buio, dentro vedo solo nuvole". «La depressione è l'incapacità di esprimere qualsiasi cosa del sé e questo tipo di convinzione macera le coscienze, le persone, le famiglie. Si può tentare di esorcizzare tirando fuori qualcosa, esprimendoci e, una volta che si riesce a rendere parola quello che ci spaventa, ecco che si sta iniziando a non avere più paura di quella cosa» ci ha spiegato. 

Anche il videoclip è perfettamente in linea con i tempi che corrono. Girato rigorosamente nella propria abitazione utilizzando solo una GoPro, gli unici "estranei" che si concede sono un gruppo di ragazzi, fondamentali per l'ossimoro concettuale su cui si fonda il brano. E dei giovani di oggi cosa dice il rapper di "Quelli Che Benpensano"? «Quanti ventenni muovevano tutte queste economie in ambito musicale vent'anni fa? Possono piacere o no, quello è soggettivo, ma che facciano accadere tanta roba è una cosa più che positiva». 


Partiamo subito col tuo nuovo singolo "Nuvole": possiamo interpretarlo come una metafora per la depressione e la solitudine, visti anche i tempi di reclusione che siamo costretti a vivere?
«In un certo senso sì, mi dai un'ulteriore visione di "Nuvole". Per me le nuvole, chiaramente, non sono quelle meteorologiche, ma sono spirituali, mentali e la canzone nasce come una pratica per esorcizzare la paura del buio, che qua rappresenta questo grande ignoto spaventoso nel quale ci siamo improvvisamente ritrovati. Mi è servito scrivere questa canzone per abituare gli occhi a questo buio: l'oscurità non è mai completa quindi esercitando lo sguardo, non facendosi prendere dal panico e diradando queste nuvole, si può finalmente contemplare il buio e il suo splendore, e trovare uno spiraglio di luce. E magari è anche distante e non potremo mai avviarci in quella direzione da soli, ma tenendoci per mano, facendo cordata, possiamo riuscirci. È questo lo spirito di "Nuvole"».

Effettivamente il ritornello "Fuori splende il buio, dentro vedo solo nuvole" si regge su un ossimoro che vuole evidenziare la luce nel buio.
«Esatto, l'ignoto è ignoto, ma non necessariamente spaventoso. Bisogna riuscire a guardarlo in quanto tale e non in quanto qualcosa che ci possa terrorizzare, perché in quell'ignoto ci sono le risposte, le soluzioni, il futuro, il miglioramento collettivo, c'è il trovare un nuovo proprio posto in un nuovo ordine delle cose. Il trucco è avvicinarsi all'ignoto con occhi ben aperti per coglierne i minimi riflessi di luce, determinare quello che c'è intorno ed esplorare. È come se dovessimo uscire da una profonda caverna: se ci facciamo prendere dal panico prendiamo solo capocciate sulle stalattiti, se invece ci si calma e si inizia a guardare bene intorno, magari anche facendo una catena umana tra noi, allora possiamo farcela. 

Dalle tue parole sembra di sentire una forte visione della collettività, molto importante di questi tempi.
«Sì, c'è una deriva individualista innegabile che l'isolamento non aiuta, siamo in un mondo in cui il narcisismo sta diventando una scuola di pensiero, non solo una patologia psichiatrica. E questa era che stiamo vivendo lascia un po' di narcisismo appiccicato a tutti noi, però nel momento in cui uno inizia ad accorgersi che in questo grande falò delle vanità le vanità sono degli altri, allora inizia a prendere le distanze. Anche perché solidarietà è aiutare se stessi attraverso l'aiuto degli altri e, ripeto, l'immagine della cordata, secondo me, è quella migliore per rendere l'idea. È importante aiutarsi, tenere forte le mani che si stanno stringendo – che se qualcuno perde la presa, caschiamo tutti».

E la tua "Nuvole" è una cordata in questo senso?
«Sì, ho coinvolto dei professionisti pazzeschi che ci si sono buttati di petto. Leonardo "Fresco" Beccafichi, mio producer e amico da più di trent'anni, bravissimo professionista, nonché un entusiasta, ha mandato la prima versione di "Nuvole" a Saturnino, nostro amico comune, e lui, di tutta risposta, ha mandato un file audio con una linea di basso, perché gli piaceva molto e boom... questa è la cordata, ragazzi! La stessa cosa è successa con DJ Stile, col quale non collaboro da più di vent'anni. Io che lo chiamo e gli faccio sentire il pezzo, lui mi dice "Mi mandi la versione a capella del ritornello? Che c'ho un'idea" e ha fatto quel pandemonio di scratch che sentite in "Nuvole", ecco».

In una tua recente intervista hai detto che "è importante usare i limiti come trampolini di lancio": negli ultimi mesi, quali sono stati i limiti che sono diventati i tuoi trampolini di lancio?
«Il videoclip è il simbolo, l'espressione più immediata di questa cosa. Fatta la canzone ho iniziato a pensare come girare un video in un momento in cui la legge mi consente solo occasionalmente di allontanarmi per un massimo di 100 metri dal mio luogo di residenza. C'era già un limite geografico e quindi ho iniziato a osservare gli ambienti del mio appartamento, dei garage, delle soffitte e delle cantine del mio condominio come possibili location, con un occhio da regista. Poi ho pensato a come farmi delle inquadrature da solo e ho trovato l'idea di utilizzare una GoPro. Infine, le riprese sono a metà della velocità e poi accelerate al doppio di modo che il sincrono del labiale ci sia, ma il risultato finale è tutto scattoso, nervoso, isterico, nevrotico».

E le scene in esterna come sono nate?
Per le parti in esterna sono stato aiutato da Gaetano Morbioli e dai ragazzi di Verona con cui collabora. Visto che è un pezzo fatto di ossimori, volevo trovare un ossimoro anche nel video: "non è dentro, ma è fuori", "non sono io, ma sono altri", "non è un signore con la barba bianca, ma sono dei giovani bellissimi", "non è uno che parla molto, ma loro stanno zitti, interrogando lo spettatore solo con lo sguardo". E la domanda che ho chiesto che questi ragazzi si ponessero al momento delle riprese è: "bene, mi hai appena iscritto al mondo degli adulti, un mondo decadente e malato, e pensi di cavartela così?". 

Per il montaggio ho coinvolto Patrizio Marone, che ha montato anche il video di "Quelli che benpensano". Parlando con lui, mi sono accorto che il montaggio è come uno strumento ritmico. Il suo ritmo ha influenzato la mia carriera, perché quelle belle immagini che abbiamo girato non sarebbero esistite se fossero state montate male, se non avessero avuto quel ritmo, quel groove. E il groove abbinato a delle immagini e a una storia crea un bel video, come è stato fortunatamente anche per "Nuvole"».

Tornando al discorso dei limiti, credi che il blocco che la musica italiana sta vivendo quest'anno per le restrizioni anti-Covid-19 possa essere un trampolino di lancio per rigenerarla e trasformarla in meglio?
«Il vero problema della musica italiana è che non viene riconosciuta, perché quando si parla di cultura in Italia si sente sempre e solo nominare la Prima della Scala. Ma c'è anche la seconda e una terza, mica ne fa solo una, e poi non c'è solo la Scala e non c'è solo la lirica e non c'è solo la prosa, non c'è solo il cinema, ci sono i club, i piano bar... perché si parla solo di questa Prima della Scala? Non si vedrà forse il mondo da un buco della serratura? Questa situazione di "limitazioni" penso possa aiutare la musica. "Nuvole" ne è una dimostrazione, senza questi limiti non esisterebbe quindi è proprio figlia di questo momento storico. Inoltre i feedback che sto ricevendo sono incredibili. Non mi è mai successo di ricevere una coralità di energia positiva dalla gente».

Perché la scelta di far uscire prima il videoclip del singolo e dopo la traccia in streaming?
«Quello che ho capito è che in un momento in cui qualunque strategia si è sgretolata, forse non avere strategia è una buona strategia. "Nuvole" è uscito venerdì 20, ma il video è uscito il martedì precedente, e questa cosa per molti è stata surreale. Oggi un artista deve annunciare lungamente che in tal giorno uscirà un disco, poi esce il disco e da quel momento in poi inizia ad annunciare che di lì a due settimane uscirà un video, poi fai la pompa magna del video eccetera... Questa modalità mi sembra assurda, completamente fuori dal mondo! Ma siccome me lo posso permettere, posso prendere la decisione che come strategia facciamo come negli Anni 90. Ecco, ho fatto come si faceva una volta, ho fatto uscire il video subito, che è un prodotto a sé stante, ma prima di tutto ha la funzione di promuovere il singolo». 

Un ritorno alle origini?
«Mi è venuto naturale. In un momento di grande confusione, dove alcuni non riescono a trovare la forza di scrivere, altri producono e fanno uscire tutto con grandi campagne promozionali, io ho fatto il mio, ho tentato una mia via, che si rifà alla cultura alla quale appartengo. Io sono per la logica delle sorprese, a me piacciono le sorprese, quelle belle. Se c'è una cosa bella da dirmi, fammi una sorpresa che me la rendi ancora più bella. Quindi ho deciso di fare una sorpresa a tutti, senza dire niente a nessuno ho preparato questa canzone e il video, e appena è stato pronto: fuori tutto».

Seguici