Gianni Morandi è il suo grande successo a Sanremo 2022: «So per certo che è stato il mio penultimo»

Il vincitore morale (e la sorpresa) è lui. E adesso punta su concerti, beach party e... sull’ Oscar!

Gianni Morandi
17 Febbraio 2022 alle 08:27

Gianni Morandi si è stancato così tanto a Sanremo, che appena è tornato a casa... è risalito sul palcoscenico. Non poteva fare altrimenti: aveva già in calendario cinque serate da “tutto esaurito” al teatro Duse di Bologna, dove si esibisce dal novembre 2019 con lo spettacolo “Stasera gioco in casa”. E visto che questi concerti sono vere e proprie maratone, ne ha aggiunti altri tre per marzo (il 10, 12 e 13). «Oh, quest’anno sono 60 anni che sono in giro!» commenta con un gran sorriso. Non ha paura di nulla, si diverte moltissimo. E riesce immancabilmente a stupirci. Per esempio tornando al Festival da concorrente dopo 22 anni (l’ultima volta all’Ariston era stato nel 2000: arrivò terzo con “Innamorato”) e, con la complicità di Lorenzo Jovanotti, travolgendolo come un ciclone con “Apri tutte le porte”.

Gianni, perché le è venuto in mente di tornare in gara a Sanremo?
«Al Festival le avevo già provate tutte: avevo gareggiato, avevo fatto l’ospite, l’ho condotto nel 2011 e nel 2012… Quando Lorenzo mi ha proposto “Apri tutte le porte”, è venuta fuori l’idea di portarla a Sanremo, cantandola insieme come ospiti. Però poi ho riflettuto: l’ospite viene trattato bene, ma passa e va, mentre io avevo proprio voglia di ributtarmi nella mischia. Certo, mia moglie Anna ha detto: “Ma cosa ci vai a fare!”, e poi quando abbiamo visto la lista dei concorrenti, davvero interessantissima, un po’ ci gasavamo e un po’ ci preoccupavamo… Ma a me piace mettermi in gioco».

Come pensava di piazzarsi?
«Speravo di rimanere attorno al decimo posto, di non scivolare nelle ultime posizioni, ma vedo che anche chi è arrivato in fondo sta andando bene in radio, e allora… E poi ci si consola sempre pensando che Vasco è arrivato ultimo. Però quando sei lì, la senti la gara! Quest’anno, comunque, Mahmood e Blanco hanno vinto strameritatamente, senza rivali. Mahmood lo conoscevamo: è un autore notevole! Blanco, invece, per me è stata la grandissima rivelazione del Festival. Quando alla premiazione ha detto che vorrebbe essere come Gianni Morandi, magari vuol dire che spera di avere anche lui 60 anni di carriera davanti, ma io gliene auguro cento».

Lei è arrivato terzo, ma ha vinto la serata delle cover e il premio Lucio Dalla, dato dalla Sala stampa. Per che cosa ha gioito di più?
«Di questo Sanremo ricorderò il duetto con Jovanotti: ci siamo divertiti moltissimo. Non era scontato che Lorenzo venisse e io non volevo obbligarlo. Gli avrei reso omaggio mischiando canzoni sue e mie, arrangiandole con quel maestro di Mousse T. Poi, una settimana prima, Lorenzo mi ha fatto capire che invece sarebbe venuto: ha addirittura chiamato casa Armani a Milano chiedendo quelle due giacche bianche elegantissime!».

A proposito di look, Enzo Miccio su Sorrisi le ha dato un bel 9, ed è un altro riconoscimento arrivato dal Festival. Quando arriva il momento di scegliere i vestiti, lei ha qualche richiesta particolare?
«Da Armani mi avevano proposto dieci alternative di look bellissime. Io però ho chiesto di modificare le camicie: quelle di oggi sono troppo strette, stanno quasi a pelle, mentre a me piacciono più larghe, più morbide. Poi con una canzone come “Apri tutte le porte” dovevo muovermi bene!».

Dopo la premiazione che cosa ha fatto?
«Siamo saliti su un van per andare a cena, ho messo la canzone a tutto volume e ci siamo fermati a ogni capannello di gente: due di notte, giù il finestrino e musica a palla! Venivano tutti a salutarmi, a cantare, a farsi una foto con me. Al ristorante abbiamo brindato, poi ho preso una pizzettina e siamo andati a dormire. Dormire… Con l’adrenalina che avevo mi sono addormentato alle 6 e mi sono svegliato alle 7».

Mahmood, Blanco, Ditonellapiaga, Rkomi, La rappresentante di lista, Irama… È stato anche un Festival di nomi d’arte. Non le manca un nome d’arte?
«Non ci ho mai pensato. Lucio Dalla all’inizio mi chiamava “Il pazzo di Monghidoro”; poi, visto che ogni tanto avevo degli “scatti” da montanaro, era passato a Psyco… Psyco sarebbe stato un bel soprannome, no? Io però mi sono limitato a passare da Gian Luigi a Gianni».

Nel giugno del 1962 uscì il suo primo 45 giri: “Andavo a cento all’ora”. Oggi “Apri tutte le porte” è uscito come 45 giri, accoppiato con “L’allegria”. Ora, 60 anni dopo, si ritorna al buon vecchio singolo…
«Hanno voluto fare così e pare che stia vendendo! Ci sono molti nuovi appassionati di vinile».

Lei ha tutti i suoi dischi?
«Sì, li ho tutti, anche i primi, perché mia madre li ha sempre conservati».

Diamo un’occhiata ai suoi progetti aperti e “potenziali”. Ha inserito “Apri tutte le porte” nella scaletta dei concerti al teatro Duse: quale classico ha sacrificato?
«Nessuno: ai concerti si aggiunge! Tanto lo spettacolo era già lunghissimo… La faccio nel secondo tempo, scusandomi perché l’orchestra di Sanremo non riesce mai a venire».

Il 2 luglio parte la seconda edizione del “Jova Beach Party”: pensa di unirsi a Lorenzo per duettare ancora?
«Ah, spero che lui mi ospiti. Potrei già andare alla seconda tappa, a Marina di Ravenna, che è vicino a casa. Se poi gli fa piacere, lo seguo anche in tutte le serate, perché un’atmosfera di festa così è incredibile. Tre anni fa sono stato al “Jova Beach Party” di Marina di Cerveteri: abbiamo cantato di fronte a 100 mila persone, una serata clamorosa».

Due anni fa l’Oscar al Miglior film è stato vinto da “Parasite”: nella colonna sonora c’era la sua “In ginocchio da te”. Il 27 marzo potrebbe vincere l’Oscar come Miglior film di animazione “Luca”, e ci sono due sue canzoni: “Andavo a cento all’ora” e “Fatti mandare dalla mamma…”. Non è che si festeggia di nuovo?
«“Luca” è candidato? No, dai: sarebbero troppi premi! Per me è già un piacere sentire che i bambini vedono “Luca” e cantano le mie canzoni. E poi si crea un cerchio strano: i bambini sentono Morandi, come le loro mamme, le loro nonne, le loro bisnonne…».

Ma lei è sempre naturalmente Morandi o qualche volta deve interpretare “Gianni Morandi”?
«Qualche volta può capitare, ma mai nella musica. Mi rendo conto, però, che se sto camminando e ho qualche pensiero o sono incavolato, basta che una persona mi saluti e subito mi viene da sorriderle, perché penso che la gente non voglia vedermi triste. Alberto Sordi diceva che quando gli chiedevano come stava, rispondeva: “Benissimo!”, anche se aveva dei problemi, perché non voleva rompere le scatole alla gente, farle pesare i suoi pensieri. Il mio incidente del 2021 è stato grave, mi sono bruciato veramente tutto, sono stato a lungo in ospedale… Ma penso che sono riuscito a uscire da quel falò di sterpaglie, che ho salvato la mia faccia e, soprattutto, la vita, e allora sento che sono stato fortunato e vedo la cosa in positivo. Anche questo mi unisce a Jovanotti: anch’io penso positivo perché sono vivo».

Festival di Sanremo del 2023: ci sarà?
«Non lo so. Però so per certo che il Festival del 2022 è stato il mio penultimo».

Le altre "voci" di Morandi

A rendere trionfale il Festival di Gianni Morandi hanno contribuito anche loro, mettendogli a disposizione due “voci” veramente eccezionali: Fabio Giuranna e Andrea Falanga sono stati gli interpreti, o meglio i performer di “Apri tutte le porte” e del duetto con Jovanotti nelle serate di Sanremo Accessibile realizzate dalla Direzione Pubblica Utilità della Rai. Un Sanremo inconsueto, ma trascinante e affascinante non solo per il pubblico dei sordi a cui erano rivolte le performance (eseguite con la Lis, la Lingua italiana dei segni), ma anche per i tanti che hanno “scoperto” queste esibizioni in diretta su RaiPlay. Palermitani entrambi, Giuranna e Falanga ci hanno raccontato come hanno “reinventato” Morandi, tra emozioni e difficoltà…

Fabio Giuranna, è soddisfatto del terzo posto della “sua” “Apri tutte le porte”?
«Molto! Anche perché so quanto è piaciuta al pubblico».

Quanto ha lavorato alla preparazione della sua esibizione?
«Tanto, anche perché il tempo a disposizione per prepararla è stato poco e per me era la prima esperienza del genere. Io, poi, sono sordo e non conosco il mondo degli udenti, quindi leggendo il testo ho cercato di trovare delle immagini che potessero trasmettere le emozioni al mio mondo: vi assicuro che non è stato facile».

Qual è stata la parte più difficile da interpretare?
«Penso proprio a parole come “Vai forte”, “Apri tutte le porte”: le ho tradotte cercando di dare l'idea di un'esortazione interiore a essere sicuri, a trovare personalità, passione, determinazione».

Dopo questa esperienza, con quale artista le piacerebbe collaborare?
«Io sono totalmente sordo, quindi non conosco tanto il mondo del suono, della musica, e non potrei indicare alcun cantante italiano. Io ho già realizzato un sogno cantando con le mie mani per Sanremo Accessibile! Penso, però, che sarebbe bello poter tradurre e interpretare le canzoni vicino agli artisti, poterli conoscere e sentire le loro emozioni, i loro pensieri. Sono sicuro che vedendoci performare sul palco si emozionerebbero moltissimo».

Andrea Falanga, lei il Festival lo ha vissuto al cento per cento…
«In effetti ho messo il mio zampino un po' su tutte le canzoni, perché ho coordinato il gruppo dei performer (dieci, affiancati da cinque interpreti di Lis, ndr)».

Parliamo del duetto Morandi-Jovanotti: qual è stata la parte più entusiasmante da interpretare?
«L'aspetto più bello è stato il crescendo di emozioni dei brani, per cui ho dovuto segnare l'aumento di ritmo dell'esibizione anche attraverso il mio corpo e le mie mani. In “Un mondo d'amore” ho trovato l'ostacolo più difficile: rendere i versi “C'è un grande prato verde dove nascono speranze che si chiamano ragazzi, quello è il grande prato dell'amore”… Io ho fatto nascere dal prato dei cuori che si amavano tra loro. La parte più bella, invece, è stata l'immagine dell'onda in “Penso positivo”, quell'onda “che viene e che va” e che si porta via tutti i pensieri negativi, che diventa un terremoto di emozioni che travolge tutto».

Lei non è sordo. Quando le è nata l'idea di imparare la Lingua dei Segni?
«Rimarrà stupito: sono circa 25 anni. L'ho conosciuta attorno agli 11, 12 anni un po' per caso, un po' per gioco: per amicizia con una bambina udente, figlia di genitori sordi. Ci siamo conosciuti con le famiglie e allora… Poi quell'amicizia si è trasformata in innamoramento e, 19 anni fa, in matrimonio: oggi abbiamo due figli e parliamo tutti la Lis. Siamo una “famiglia di artisti”, perché facciamo queste performance da tanto: prima che il Covid ci fermasse, abbiamo anche portato in giro per l'Italia il musical in lingua dei segni».

Anche a lei chiedo con quale cantante vorrebbe collaborare…
«Sparo altissimo e dico i Maneskin: al Festival ho avuto il piacere di tradurre la loro “Coraline” ed è stato bellissimo. Io, però, sono molto più vicino al musical e ho già avuto l'onore di collaborare con artisti come Giò Di Tonno, Vittorio Matteucci, Matteo Setti… Con Riccardo Cocciante… Ecco, una performance con Cocciante sarebbe fantastica: l'ho incontrato, gli ho parlato, ma non ho mai potuto “cantare con le mani” al suo fianco durante una sua esibizione».

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