Irama: «“Ovunque sarai” tiene vivo il ricordo di mia nonna»

Dopo le fatiche di Sanremo l’artista presenta il suo nuovo album

25 Febbraio 2022 alle 08:07

Pochi anni fa scriveva: «Di certo non ho preso da te, signora professoressa, ma gli occhi sì. Quelli sono identici ai tuoi. Freddi come ghiaccio, talmente freddi da ingannare chi li fissa, perché basterebbe solo guardarli nel modo giusto per iniziare a farli diluviare». Queste parole Irama le ha dedicate alla nonna materna nel 2018, durante l’edizione di “Amici” di cui è stato vincitore. Lei era Adriana, un’amata insegnante di Lettere. Una dedica scritta molto prima di “Ovunque sarai”, canzone nata da quello stesso ricordo che poi Irama ha presentato al Festival di Sanremo.

Irama non è molto diverso dalla nonna: è un ragazzo dallo sguardo glaciale, sì, ma che ha fatto del canto la fonte più potente del suo calore. Il 25 febbraio esce il suo nuovo album “Il giorno in cui ho smesso di pensare”, ricco di emozioni. Per un attimo, però, torniamo con lui al Teatro Ariston.

Irama, qual è stato il momento più bello del tuo Sanremo?
«Onestamente? Quando è finito! C’era molta preoccupazione dopo lo scorso anno quando un membro del mio staff è risultato positivo al Covid e non mi sono potuto esibire. Avevo il terrore che questa cosa si ripetesse. Ma non avevo solo quel pensiero in testa».

Qual era l’altro pensiero?
«Avevo paura che la canzone non venisse capita. È senza batteria, non è alla moda. Invece è arrivata al cuore delle persone di tutte le età. La cosa, sono sincero, mi ha sorpreso».

Sei anche arrivato quarto! Mara Venier ti ha detto commossa che le ricorda la mamma che non c’è più.
«Quando Mara l’ha confessato, ho sentito il bisogno di abbracciarla. Penso che questo brano aiuti a riappropriarci delle emozioni, anche quando non sono felici. E a condividerle».

Il brano non parla solo di un ricordo, parla di una ricerca in atto. Stai ancora cercando tua nonna?
«Sì, ogni giorno. Quando si perde qualcuno si cerca rifugio, a volte nella solitudine, altre nel dolore o nella religione. Io ho un tatuaggio, un simbolo egizio che rappresenta l’immortalità. Il compito per noi che rimaniamo qui, secondo me, è tenere vivo chi abbiamo perso».

Tu sei un ragazzo pieno di pensieri molto profondi, eppure hai appena chiamato il tuo album “Il giorno in cui ho smesso di pensare”. Perché?
«È una chiara contraddizione con la mia realtà. Ho mille fissazioni. Penso troppo, sempre».

Non riesci a lasciarti andare?
«Faccio fatica nella vita, molta meno sul palco. Quando sono stato ad “Amici”, pochi giorni fa, Maria De Filippi ha ricordato che il mio soprannome per tutti era... “Paranoia”. Non sono cambiato di una virgola».

Però hai iniziato a fare duetti. In passato nei tuoi dischi si faceva fatica a trovarne uno. In questo ce ne sono ben sette.
«Sì, almeno ho smesso di fare il lupo solitario e ho cominciato a essere un lupo da branco (ride)! Da sempre faccio musica contaminata, curiosa, ascolto molto quello che succede all’estero. Finora però non ero pronto a cantare con altre persone. Qui ho ritrovato il mio amico Rkomi, ci sono Sfera Ebbasta, Gué… alcuni dei nomi della scena cosiddetta “urbana” che da sempre amo».

Nei brani c’è riflessione ma anche tanto divertimento.
«Io non ho mai nascosto di essere un “tamarro”. E oltre a essere tamarro non ho mezze misure. Sentirete brani che fanno “spingere la cassa” e scatenare con una potenza di fuoco da me mai sentita».

C’è il fuoco, ma parli tanto anche di acqua: lacrime, pioggia, gocce, mare. Canti la sensazione di toccare il fondo e affogare. Perché?
«Perché è così che di solito mi sento. Il dolore però non mi blocca... è il propulsore più forte che ho per riemergere. La mia più grande sfida è continuare a vivere anche quando tutto sembra fare schifo».

È un tormento che ha a che fare con tuo padre? Anche in questo album, nel brano “Moncherie”, ti scusi con lui. Come mai?
«Quando mi sveglio e mi guardo allo specchio lo rivedo in me, è inevitabile. Ho un ottimo rapporto con papà, ma sono ben lontano da ogni sua aspettativa. In una famiglia dalla mentalità fredda e razionale, ero lo “storto” di casa. L’aver scelto un mio percorso senza binari fissi, incurante all’idea di schiantarmi per le mie scelte, alla fine mi ha portato a testa alta fino a qui. Ancora oggi non è facile ma con questa esigenza che ho di esprimermi, non avrei potuto fare altrimenti».

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