In occasione dell’anniversario, Renzo Arbore riporta in tv lo storico programma “Cari amici vicini e lontani”
Buon compleanno radio! Cento anni fa iniziavano le trasmissioni nel nostro Paese (il 6 ottobre del 1924). E per festeggiare, chi meglio del primo “disc jockey” d’Italia? Così Renzo Arbore torna su Rai Storia (canale 54, dal 2 ottobre in prima serata) per riproporre “Cari amici vicini e lontani”, il programma che nel 1984 aveva già dedicato all’argomento con enorme successo. Ogni puntata sarà preceduta da una sua nuova introduzione, come sempre ricca di aneddoti e ricordi. Per l’occasione, ne abbiamo chiesto qualcuno anche noi...
Arbore, come nacque quel programma?
«Era una festa. Ma una festa vera e propria, con i camerieri che passavano tra gli ospiti, tutti grandi protagonisti della storia della radio. L’idea mi era venuta a Sassuolo (MO), partecipando a un party aziendale insieme con Ugo Tognazzi. Il mio unico cruccio è che dovevamo riproporre le canzoni dei vecchi tempi e io mi sentivo moderno, “beat”, un dj. “Qui finisce che mi metto contro il pubblico giovane” pensavo. Per cui chiamai la mia orchestrina i “Senza vergogna”».
Il momento più bello di quella festa?
«L’esibizione di Claudio Villa. Lui, appunto, incarnava la “musica dei genitori” e a programmi come “Speciale per voi” veniva regolarmente contestato. Si commosse, e quando gli chiesi di esibirsi nell’acuto più lungo del mondo, fu un trionfo! Monica Vitti invece eseguì una canzoncina “audace” piena di doppi sensi che oggi fanno sorridere, “La Paloma Blanca” che “lasciò le mute-Ande sotto la neve”...».
Ma lei se le ricorda le sue prime canzoni ascoltate alla radio?
«Erano quelle di “I quattro moschettieri”, programma che fu un vero fenomeno di costume. Da bambino avevo pure i dischi e le figurine. E naturalmente il costume da moschettiere».
E come ci finì a lavorare in radio?
«Era il mio sogno. Ogni tanto partivo da Napoli per Roma dove l’usciera di via del Babuino, la signora Vittoria, mi aveva preso in simpatia. Prima dell’ultimo viaggio papà mi disse: “Questo è l’ultimo tentativo, se no fai l’avvocato!”. Lei mi disse che c’era un concorso che scadeva proprio quel giorno per Maestro programmatore di musica leggera. Modestamente, arrivai primo. E il mio compagno di banco era un certo Giandomenico Boncompagni».
Insieme avete fatto la storia della radio.
«Io e Boncompagni fummo i primi dj. Allora in onda parlavano solo gli annunciatori e la radio era una cosa “per vecchi”, che l’ascoltavano vicino al caminetto. Con l’arrivo delle radio portatili cambiò tutto. Si decise di puntare sul pubblico giovane e lo conquistammo con “Bandiera gialla” e “Per voi giovani”. Poi “Alto gradimento”, con Bracardi e Marenco, fu l’apoteosi del divertimento e dell’improvvisazione».
Oggi chi ha raccolto quel testimone?
«Mi piacciono molto Lillo & Greg e Luca Barbarossa».
Però poi lei ha smesso di fare radio. Perché?
«Sono stato travolto dal successo televisivo. Ma nel cuore resto un dj. Del resto, quasi tutti i grandi della tv vengono dalla radio: da Fiorello a Gerry Scotti, da Amadeus a Carlo Conti fino a Corrado e a Mike Bongiorno».
Differenze tra la radio di ieri e quella di oggi?
«Due su tutte, una buona e una cattiva. Quella cattiva è che oggi i dj non scelgono più le canzoni: gli arrivano le “scalette” già decise dai dirigenti con le case discografiche. Invece io e Gianni potevamo, anzi dovevamo, scegliere la musica buona e scartare la cattiva. Abbiamo lanciato i “beat”: Renato Zero, Patty Pravo, Loredana Bertè... Quando Lucio Battisti venne a trovarci con l’Equipe 84, non voleva cantare: “Ma no, ho una brutta voce”. E noi l’abbiamo convinto».
E la cosa buona?
«Con il web, oggi la radio la fanno gli ascoltatori. Puoi vedere in tempo reale i commenti, capisci subito cosa piace e cosa no. E si può inventare ancora tanto».
Oggi anche lei ascolta la radio sul telefonino?
«Il telefonino lo uso perché c’è una app che mi permette di sentire le emittenti locali di tutto il mondo, da New Orleans al Brasile. Per il resto, mi piace usare le radio vere. Anche perché le colleziono. A casa mia ne ho una sessantina!».
La più bella?
«A Los Angeles ne avevo vista una degli Anni 50, tutta in plastica rosa, bellissima. Ma il proprietario si rifiutò di vendermela. Ero disperato. Poi l’ho ritrovata in un mercatino di New York. Erano le radio che vedevo nei film americani quando le nostre erano ancora mastodontiche, veri mobiletti di legno. Le vedevo lì sullo schermo e me ne innamoravo. Ma nel cuore resta la “radio a galena” che mi costruii da solo a 14 anni. Allora le radio le potevi comprare e assemblare pezzo per pezzo!».