La Rappresentante Di Lista: «Ci piace l’idea di dare con la nostra arte un messaggio trasversale»

Certificata disco d’oro e tra i brani più ascoltati del momento, la canzone “Amare” fa da traino al loro nuovo album “My Mamma”

La Rappresentante di Lista  Credit: © Rori Palazzo
29 Aprile 2021 alle 08:54

Certificata disco d’oro e tra i brani più ascoltati del momento, la canzone “Amare” portata in gara al Festival di Sanremo dalla cantante toscana Veronica Lucchesi e dal musicista siciliano Dario Mangiaracina dei La Rappresentante Di Lista, fa da traino al loro nuovo disco “My Mamma”. Pubblicato il 5 marzo, ha debuttato al primo posto della classifica di vendita vinili FIMI e al quinto posto della classifica album.

Ragazzi, “Amare” è arrivata soltanto undicesima al Festival, ma adesso spopola in radio. Ve lo sareste aspettato prima di partecipare a Sanremo?
Veronica: «No, non ce l’aspettavamo. Non ci aspettavamo quest’onda lunga di affetto. Vuol dire che ognuno ha recepito la canzone a modo suo. La gente ci ha aggiunto altri significati rispetto a quelli che avevamo in mente noi. E c’è una cosa che mi fa molto piacere: adesso i nostri fan la ballano anche. In molti in questi giorni ci stanno mandando le loro coreografie».
Dario:«Nel frattempo è cambiato anche il nostro modo di suonarla rispetto a quando l’avevamo immaginata. Quando l’abbiamo scritta, la pensavamo un po’ come una ballata classica. Ora invece, quando suoniamo al locale I Candelai, qui a Palermo, che usiamo come sala prove, nel momento in cui attacchiamo “Amare” la “fisicità” della canzone ci trasporta più di prima».
Veronica:  «Sarà anche l’energia del video, ma adesso c’è un grande impeto, c’è tanto corpo».

Secondo voi perché ha dovuto “carburare” prima di arrivare al pubblico?
Dario:  «Perché andava “digerita”, dato che è una canzone a più livelli, non è il classico tormentone. Lo stesso sta succedendo ora con il disco. Al primo ascolto gli amici mi mandano messaggi: “Bello, il disco”. Man mano, poi si passa a: “Ma è stupendo, meraviglioso!».

“My mamma” è il vostro quarto album in studio, che arriva come consacrazione di dieci anni di carriera. Lo considerate un punto di svolta?
Veronica: «Lo consideriamo più una tappa: ogni disco per noi è la tappa di un percorso di crescita».
Dario: «Siamo felici di non essere “esplosi” subito, di botto, ma progressivamente, in dieci anni di lavoro. La rappresentante di lista non è una band da 100 metri, ma è più da maratona. Quel che conta, nella narrazione che vogliamo fare, è il percorso. E che questo sia il disco numero quattro ha anche senso nel racconto complessivo. In qualche modo, è come quando prepari le lasagne: c’è il primo strato, poi il secondo, il terzo. Ma è arrivati al quarto che vedi veramente qualcosa (ride)».

In che senso la vostra musica è “materna”?
Veronica: «Da una parte c’è la necessità di accogliere diversi punti di vista, le sfaccettature che rappresentano la complessità senza giudicare. Una madre non è giudicante: come si dice, “Ogni scarrafone è bello a mamma soja” (ride)».
Dario: «Dall’altra però, ed è il risvolto della medaglia, una mamma non deve mentire. Può fare sì da filtro, se il racconto della realtà è troppo crudo o duro, ma a un certo punto a un figlio deve dire le cose come stanno… E noi lo facciamo, non ci freniamo mai».
Veronica: «Una madre a volte è un po’ matrigna».

A livello di suoni, cosa avete cercato di ottenere in “My Mamma”?
Dario: «Per il periodo storico in cui è stato concepito, nei primi mesi della pandemia, la cosa che abbiamo cercato di più è restituire l’emozione di un’esperienza dal vivo. Avevamo bisogno di quella esplosività. L’abbiamo messa, per esempio, in certi cori che aprono, che danno l’idea della collettività che ci manca tanto ancora adesso. E l’abbiamo ricreata anche nei grandi arrangiamenti: il quartetto d’archi, i fiati… Nonostante la quarantena, abbiamo girato l’Italia a caccia dei musicisti giusti per avere quei suoni, quelle ritmiche. A tratti è un disco direi quasi “sinfonico”».

Come mai nel disco non ci sono featuring?
Dario: «Ce li teniamo per un altro momento… (ride)».
Veronica: «In realtà ce lo siamo chiesto anche noi, il perché. Forse preferiamo le collaborazioni live».
Dario: «I feat. sono qualcosa di importante nella discografia attuale e non demonizziamo o critichiamo chi le fa, anzi. Ma forse questo disco era già un discorso completo così, tra noi due».

In “My Mamma” ci sono 10 tracce. Quale somiglia più a Veronica e quale più a Dario?
Veronica: «“Resistere” mi somiglia».
Dario: «Io canto solamente in “Fragile”, ma a me piace molto “Oh Ma Oh Pa”».

State pensando a eventuali date di un tour?
Veronica: «Un tour lo sogniamo!».
Dario: «Ci sono artisti che stanno spostando i concerti addirittura al 2023 e quindi siamo preoccupati, perché non si può bloccare così a lungo un intero settore. Certo, con il booking c’è chi lavora a fissare delle date e le blocca, ma la situazione sanitaria dovuta alla pandemia al momento non consente ancora di renderle effettive e pubbliche».

Avete singoli inediti in uscita a breve?
Veronica: «Stiamo scrivendo qualcosa…».
Dario: «Poi, come diciamo noi a Palermo “comu veni si cunta” (Come viene si racconta, ovvero chi vivrà vedrà, ndr)».      

L’aggettivo che contraddistingue il vostro pop è “queer”. In che senso lo usate e lo siete?
Veronica: «Quando abbiamo iniziato, tutti ci chiedevano che genere di musica facessimo. E dovevamo spiegare che ogni definizione a noi va stretta: non è solo pop o solo rock, o solo punk o solo folk. Quindi abbiamo preso in prestito questo termine che nasceva come offesa, ma poi è diventato invece proprio una “non definizione” riferita al genere sessuale. E ci piace l’idea di dare con la nostra arte proprio un messaggio trasversale. Non siamo attivisti in modo classico, ma agogniamo una società più aperta e rispettosa di tutte le individualità».

Lo sarete per sempre?
Dario: «Il bello di essere queer è che a un certo punto puoi anche scegliere di non esserlo più».
Veronica: «Ma in fondo al cuore lo saremo sempre».

E cosa invece non sarete mai?
Dario: «Calvo, direi. Sia mio padre che mia madre hanno un sacco di capelli».
Veronica: «Confermo: calvi. Anche nella mia famiglia hanno tutti chiome foltissime».

Quali sono i vostri obiettivi extraprofessionali?
Veronica: «Ci pensavo proprio stamattina. Mi dicevo che vorrei partire per la Cina e sperimentare, come se fosse una sorta di campus estivo, la vita tra i monaci shaolin, perché pratico la disciplina e mi piacerebbe approfondire questa passione. Vorrei anche imparare il cinese per comunicare con la figlia di una mia cugina, che ha sposato un cinese. La bambina si chiama Amelia, ha due anni. La madre le parla in italiano, ma vive immersa in un’altra lingua. Mi piacerebbe tanto trovare un punto d’incontro tra noi».
Dario: «Io invece entro il 2021 vorrei finire di leggere tutti i libri che ho sul mio comodino. Se non ci riesco, va bene lo stesso. Ogni tanto li apro a caso, pure a metà, per cercare delle risposte. E non importa se leggendo non capisco nulla della trama».

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