Laura Pausini: «I miei giorni di pura energia»

La cantante ci racconta le emozioni forti provate negli ultimi mesi, dai Golden Globe alla Notte degli Oscar

Laura canta “Io sì (Seen)” sul tetto dell’Academy Museum of Motion Pictures, con Diane Warren al piano
6 Maggio 2021 alle 08:41

Tre giorni dopo la Notte degli Oscar, Laura Pausini ripercorre con noi la strada che l’ha portata su quel famosissimo tappeto rosso. Era infatti candidata nella categoria Miglior canzone originale per “Io sì (Seen)”, testo e musica scritti con Diane Warren e Nicolò Agliardi, parte della colonna sonora del film di Edoardo Ponti “La vita davanti a sé” (disponibile su Netflix) di cui è protagonista un’altra star italiana, Sophia Loren.

Facciamo un passo indietro: come le è stata comunicata la nomination agli Oscar?
«Di solito in tutte le altre competizioni ti avvisa una telefonata. Con gli Oscar è diverso: nel corso dei mesi ti viene detto dalla produzione, attraverso Netflix nel mio caso, che sei in una possibile lista iniziale, che comprende un centinaio di film per ogni categoria. Poi si passa a 15 canzoni. Infine, l’Academy ci ha comunicato che il 15 marzo ci saremmo dovuti collegare in diretta video, tutti e 15, per sentire i nomi dei cinque finalisti. Ci si doveva truccare e avere una telecamera accesa: volevano che i finalisti condividessero il video della loro reazione al momento dell’annuncio. Io ho anche dato un link ai miei genitori in modo che fossero presenti. La cosa fantastica è stata che da loro, in Romagna, la mia nomination è arrivata qualche secondo prima che qui in casa a Roma: io, mia figlia Paola e Paolo, il mio fidanzato, eravamo concentratissimi, mano nella mano, e abbiamo visto mia mamma esultare. A quel punto ho sentito il nome della canzone e ho capito: abbiamo fatto degli urli pazzeschi. E poco dopo ho ricevuto i complimenti di Sophia Loren, il mio idolo, che mi ha detto che la mia era stata una reazione... da vera italiana!».

Come ha trascorso il mese fino al fatidico 25 aprile?
«Ho fatto un sacco di interviste con tv e giornali nordamericani, ho vissuto sempre con il fuso di Los Angeles, nove ore indietro».

La preparazione al viaggio è stata complessa?
«Ogni settimana venivano date nuove disposizioni, abbiamo fatto varie riunioni in video con il regista Steven Soderbergh e con un medico a cui lo Stato della California aveva affidato la questione. All’inizio non dovevamo nemmeno cantare. Nel frattempo in Italia aspettavo il permesso speciale per potermi esibire in America. A quel punto ci siamo un po’ spaventati perché non conoscevamo i tempi, rallentati causa Covid. Dovevo partire il 2 aprile e invece la data è stata spostata al 17».

Ha perso delle occasioni in America, con quel ritardo?
«Presenze importanti come lo show di James Corden e “Good Morning America” sono saltate: ci tenevo molto perché avrei potuto cantare anche lì. È stato un onore che la mia canzone fosse la prima nominata agli Oscar in lingua italiana, non del genere classico che loro conoscono, cui appartiene il lavoro di Andrea Bocelli, per intenderci. Io canto pop e poterlo fare lì mi gasava moltissimo. Ma tornando al viaggio, non sono finite le peripezie...».

Che cosa è successo?
«Avevo chiesto di portare Paola: normalmente quel tipo di visto comprende i familiari. Ma a causa del coronavirus il permesso mi è stato rifiutato per quattro volte. A un certo punto dovevo scegliere: secondo il regolamento di quest’anno, tutti sarebbero dovuti essere a Los Angeles entro il 17 aprile a mezzanotte. Per fortuna mia figlia ha capito che le cose non andavano come speravamo e mi ha anticipato: “Mamma, preferisco non venire perché dovrei fare un viaggio lunghissimo per rimanere in quarantena, non ci sono le mie amiche, voglio stare a casa”».

Come ha vissuto la settimana a Los Angeles?
«Avevamo affittato una casa, eravamo io, Paolo, Nicole, la mia assistente, e Rosaria, assistente della mia manager. Ogni giorno controllavano che non uscissimo, ogni mattina alle 11 facevamo un tampone. Abbiamo sempre lavorato senza sosta, tra interviste in diretta con canali americani, oppure cantando, con Paolo alla chitarra. Abbiamo fatto anche dei servizi fotografici: Paolo è anche un bravo fotografo e grazie a lui sono riuscita a fare tante cose».

E i bagagli? Quanti abiti aveva con sé?
«Avevo un guardaroba meraviglioso firmato dallo stilista Pierpaolo Piccioli di Valentino. Ci tengo molto a cambiarmi a ogni intervista: se ne ho quattro la mattina, allora mi cambio quattro volte, per educazione. Mi sono sempre truccata e pettinata da sola. Era tutto un fai-da-te realizzato con amore ed entusiasmo. E poi sono arrivati due “nullaosta” tanto attesi».

Che cosa è accaduto?
«Il 20 aprile, era un martedì, abbiamo registrato la canzone sul tetto dell’Academy Museum of Motion Pictures, che aprirà a settembre: dovevano essere tre ore che sono però diventate otto. E tutto è finito in un pezzo di quattro minuti. Ho chiesto se si potesse fare un’altra volta, ma mi è stato detto di no».

Avrebbe voluto rifare l’esibizione?
«In questi ultimi mesi uso la voce solo per le interviste e mi manca moltissimo cantare: dopo un paio di strofe ti viene così tanta voglia che puoi fare un concerto. Avrei potuto intonare altre canzoni, fare un po’ di pianobar: ridevano tutti, ma non me lo hanno concesso!».

Ha cantato una nuova versione in italiano e inglese.
«Quando è uscito il film ho chiesto di realizzare una versione in tutte le lingue in cui canto, solo per i miei fan, in modo che potessero ascoltare il messaggio del testo e le parole (oltre che in inglese e in italiano, “Io sì (Seen)” è in francese, spagnolo e portoghese, ndr). Da sola ho fatto le traduzioni e registrato. Poi la produzione degli Oscar mi ha chiesto questa versione speciale: non volevo farla perché volevo che fosse tutta in italiano, per quell’occasione. Ma poi mi hanno convinta a fare due ritornelli in inglese».

È stato emozionante?
«Ho fatto l’ultimo concerto ad agosto 2019, poi ho cantato solo una volta la scorsa estate. A capo dell’orchestra c’era Rickey Minor, che ha diretto Whitney Houston al Super Bowl del 1991. Ho fatto milioni di foto e autografi, ero felice».

Non ha fatto nemmeno una passeggiata di svago?
«No, le regole sono sempre state ferree e le abbiamo ovviamente rispettate».

Ci racconti la domenica delle premiazioni.
«La mattina una macchina ci ha portato a fare un tampone. Tutti i partecipanti alla serata erano lì allo stesso orario: potevo venire dopo Brad Pitt e non lo sapevo! Dopo tre ore è arrivato il secondo tampone, in casa. Poi sono venuti truccatori e parrucchieri, per la prima volta in quella settimana. Alle 12.30 siamo usciti. Potevo portare una persona e Paolo è venuto con me: in quella giornata ha fatto di tutto! Dove c’era la cerimonia, a Union Station, non potevano esserci postazioni di ritocco del look quindi l’accompagnatore doveva occuparsi anche di cipria e rossetto. Lì abbiamo fatto il terzo tampone».

Ed è arrivata finalmente sul tappeto rosso.
«Ero a mio agio, più io che Diane Warren, la coautrice della canzone. Avevo il mio portafortuna: una bacchetta magica di quelle che si trovano nelle bancarelle, un regalo di Giuseppe, il mio migliore amico che è mancato un po’ di anni fa, per il Grammy del 2006, la mia prima vittoria americana. Quando ho raccontato a Piccioli della bacchetta magica lui ha deciso di disegnarmi una tasca ad hoc nel vestito».

Come ha reagito al fatto di non avere vinto l’Oscar?
«In un anno così, dove molte persone hanno perso i loro cari, e dopo il successo dei Golden Globe, ho iniziato a riflettere su come spiegare a mia figlia che si può anche perdere. Eravamo le favorite, sulla carta: quando H.E.R. ha vinto, ho però tirato un sospiro di sollievo e ho detto a Diane che questo era il nostro destino. Il giorno dopo, io sarei stata sempre Laura e lei sempre Diane, e ancora mi emoziono. Così ho insegnato a Paola, che alle 5 del mattino mi seguiva dall’Italia, che si è felici anche se non si vince, che si può continuare a fare le cose bene anche in casi come questo. Ho rappresentato l’Italia e cantato al mio meglio, e al contempo ho lasciato un messaggio alla mia famiglia di estrema importanza».

Quali ricordi porterà sempre con sé?
«Ho parlato con Glenn Close e Viola Davis, che è molto schietta e solare. E poi c’erano tutte quelle star, a un metro da me: eravamo sedute in prima fila e ho visto da molto vicino Harrison Ford e Renée Zellweger, tutti gentilissimi, sorridenti come non mai. Sembrava proprio di stare dentro a un film. E poi ho concluso la serata con il mio solito rito».

Che sarebbe?
«Dopo una dieta pazzesca mi concedo un hamburger che cola sul vestito da sera. Ero in una limousine, in quei fast food dove prendi il cibo direttamente dall’auto e lo porti via».

Ha sentito il tifo e l’affetto dal nostro Paese?
«È stata una delle cose più belle. Sono 28 anni che faccio questo mestiere e ho già vissuto red carpet importanti, so cosa significa partire e rappresentare una nazione ma questa volta è stato più forte che mai. Ne avevo bisogno. Questo è stata l’altro aspetto della mia vittoria».

Che progetti l’aspettano ora?
«L’11 maggio sarò a Roma per i David di Donatello. È la prima volta che vengo nominata in Italia per un premio così prestigioso per il cinema e sono molto onorata di partecipare. Non vedo l’ora di stare un po’ insieme al mondo del cinema italiano che mi manca tanto. E poi voglio fare un disco. Tutti si aspettavano un mio lavoro nuovo a fine 2020 ma la pandemia mi ha bloccato. Non ho scritto e nemmeno ascoltato musica. Ho iniziato qualche mese fa, ma ero confusa: ora mi sento libera. Da lunedì ricomincio».

Come festeggerà il compleanno, il 16 maggio?
«Mi regalo la prima vacanza noi tre da soli: io, Paolo e Paola, tre giorni in Italia».

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