Maestro Stefano Bollani, ci spieghi che cos’è mai la musica

Abbiamo chiesto al grande pianista jazz (che ogni sera suona su Raitre) di chiarire una volta per tutte i nostri dubbi più... “inconfessabili”

Coppia nella vita e nell’arte: Stefano Bollani e Valentina Cenni
1 Aprile 2021 alle 08:59

Stefano Bollani è un’incontenibile “macchina da musica”. Pianista jazz amato in tutto il mondo, ogni sera ci accoglie su Raitre nella sua “casa” in “Via dei Matti N° 0” per raccontarci e suonarci (con la moglie Valentina Cenni, attrice e cantante) le sette note senza limiti di generi, epoche e geografie. Ha appena pubblicato un album dal vivo, “El Chakracanta”. Ha già in testa e in tastiera altre cento avventure sonore… Dev’essere allora la persona giusta a cui rivolgere quella “sporca dozzina” di domande sulla musica che ci ruggiscono dentro da sempre. Il livello di ingenuità è a rischio di presa in giro… Non per lui, però, che attacca con un: «Sono divertenti, dai!» e comincia a rispondere.

Come si fa a suonare con gli occhi chiusi?
«Non è difficile se sai il brano a memoria o stai improvvisando. Metti le mani sulla tastiera e da quella posizione sai dove andare. D’altra parte ci sono meravigliosi pianisti non vedenti: il jazzista Art Tatum, per esempio».

Una persona stonata può diventare un buon musicista?
«Sì. Conosco musicisti che quando cantano non sono il massimo dell’intonazione. Tirare fuori la voce, comunque, non è semplice, è una cosa molto personale. Magari ci si sente stonati perché non si riesce a stare rilassati, ad “aprirsi” al canto».

Ci capita davanti uno spartito senza titolo: si può leggerlo e suonarlo subito?
«Dipende dalla difficoltà del brano. La “lettura a prima vista” è un’attitudine che non tutti sviluppano allo stesso modo. Io ero bravo ai tempi del Conservatorio: accompagnavo i violinisti agli esami e non avevo voglia di studiare i loro pezzi, così suonavo a prima vista, tanto non succedeva nulla se sbagliavo, perché in fondo venivano ascoltati solamente i violinisti».

Cantante e musicisti: chi deve “seguire” chi?
«Da quando ho iniziato a suonare con altri, cioè a 15 anni, ho introiettato una legge: se chi “guida” l’esibizione (il cantante o lo strumento solista) si perde, allora si va dietro a lui. Tendenzialmente i musicisti sanno che si segue chi sbaglia, perché è inutile fermarsi a rimproverarlo».

Chi improvvisa fa quello che vuole? E i colleghi che fanno?
«Quando suoni segui sempre una struttura, un sentiero. Quando improvvisi è come se ti fermassi lungo il sentiero a raccogliere i fiori… Ma il sentiero resta quello e chi suona con te lo sa, e sa che ti ritroverà poco dopo, all’incrocio successivo».

Musicisti mai visti prima ti invitano sul palco a suonare con loro. Come fai? Devi conoscere migliaia di brani?
«Una “jam session” funziona come una conversazione: parli con persone che non conosci, ma l’argomento è noto (è la musica) e c’è un modo per affrontarlo. C’è un repertorio comune, infatti: sono i cosiddetti “standard”, brani conosciuti in tutto il mondo, pezzi come “Summertime” o “Besame mucho”, che devi sapere. Se ti accorgi che gli altri suonano in un’altra tonalità o fanno un brano che non conosci, lo ascolti e, se sei un tipo sveglio, lo assimili al momento».

Quando ascolto una canzone senza leggere il testo, come faccio a capire quali sentimenti vuole trasmettere?
«Faccio un esempio: “Summertime” di Janis Joplin è un urlo, ma in realtà è una ninna nanna, e quindi capisci che si può giocare anche con le parole. Ecco, con la musica ancora di più: dipende dall’arrangiamento e dall’intenzione che ci metti. Il segreto, che poi non è un segreto, è l’intenzione della persona che ti porge la musica: ti arriva la sua energia, che a volte è più forte di quella del brano stesso».

Perché si fa così fatica a seguire la “musica contemporanea”? Per dire: sembra impossibile ascoltarla se si sta facendo altro…
«I compositori sarebbero felici di sentirselo dire, perché la loro musica non è pensata per essere ascoltata mentre si fa altro. Ogni musica ha i suoi codici e non è detto che si apprendano consapevolmente: magari ti entrano nel subconscio. Ascoltando molto, però, si iniziano a riconoscere i “mattoni” a cui aggrapparsi per capire che cosa succede».

Si può essere grandi compositori senza essere virtuosi di uno strumento? Penso a Lennon e McCartney…
«Quei nomi sono già la risposta: si può».

Come campa un musicista non famoso?
«Ci sono tante possibilità. La prima che mi viene in mente è l’insegnamento. Magari quando uno comincia a suonare non lo prende in considerazione, tutti pensano di fare i solisti, ma insegnare musica è un’esperienza fantastica, perché trasmette passione e non solo conoscenze. E poi si può entrare in un’orchestra, in una banda… La vita dei musicisti è sempre stata complicata (e nella situazione attuale lo è ancora di più), ma se scegli di vivere di musica devi assumerti le tue responsabilità, è un “rischio d’impresa”».

È più bello suonare da soli o in gruppo?
«Tutte le situazioni sono belle. Importante è il gruppo che ti crei, e anche se sei da solo devi essere in armonia con te stesso, altrimenti non c’è modo di divertirsi. Io, per esempio, sto lavorando molto con Valentina, in teatro, alla radio e adesso su Raitre, ed è un piacere, perché so che quel che dice lei è interessante. Oggi ho la fortuna di scegliermi compagni di cui mi fido e a cui mi affido, ma da ragazzino ho suonato anch’io con certi musicisti solo perché dovevo».

Qual è la tattica per suonare senza disturbare i vicini?
«Farseli amici. È tutto un discorso di ascolto e comprensione reciproci. La musica unisce le persone!».

Seguici