Marco Mengoni, racconta a Sorrisi «Parole in circolo»: Nel mio album canto con il cuore in mano

In due ore, anche se un po’ acciaccati dalle influenze stagionali, abbiamo parlato di viaggi (il suo a Los Angeles per dare vita al disco), di ricette (pare che Marco sia un ottimo cuoco) e di come la cosa più difficile dell’ultimo periodo sia stata dare il titolo giusto a quest’opera. Per lui è stata una vera sfida.

16 Gennaio 2015 alle 15:43

Deve volerci proprio bene. Ancora una volta Marco Mengoni ha scelto Sorrisi per raccontare la sua storia e questa nuova avventura, quella del suo nuovo album «Parole in circolo». Il 2015 è appena cominciato e nelle ultime settimane c’è chi ha viaggiato in mete lontane, chi ha scartato i regali e chi ha mangiato troppo. Lui invece si è preparato a inaugurare la stagione musicale con un progetto molto importante. Ci siamo incontrati in un bar nel centro di Milano. «È il mio posto segreto, ci vengono pochissime persone» mi ha raccontato appena entrati, prima di sederci al tavolo.

In due ore, anche se un po’ acciaccati dalle influenze stagionali, abbiamo parlato di viaggi (il suo a Los Angeles per dare vita al disco), di ricette (pare che Marco sia un ottimo cuoco) e di come la cosa più difficile dell’ultimo periodo sia stata dare il titolo giusto a quest’opera. Per lui è stata una vera sfida. «A un certo punto credevo di essere impazzito. Ero arrivato a proporre idee estreme, come “Le cornacchie vivono solo a Milano” (ride). Poi ho pensato di fare la cosa più semplice: mettere al centro non più me stesso come negli album precedenti o il titolo di una canzone, ma la parola e le opportunità che la condivisione può creare».

In queste settimane hai avuto un po’ di tempo per festeggiare?
«Ho passato Natale con nonna, zia e i parenti, un’enorme cena tipica del Centro-sud. Tutto nel pieno rispetto della tradizione, ma devo ammettere che non amo molto le feste comandate».

Però il 25 dicembre è anche il tuo compleanno! Cosa ti hanno regalato?
«Una mano».

Cosa?
«Sì, è una mano di legno che si usa per imparare a disegnare… le mani. Sto cercando di migliorare la tecnica e riprodurre le dita non è il mio forte. Adesso sono molto impegnato, ma appena avrò del tempo mi allenerò. In cambio ho già disegnato il palco del mio prossimo tour».

Davvero?
«Lo faccio sempre. Questa volta ho iniziato molto prima di chiudere l’album».

Nel frattempo il singolo «Guerriero» è stato davvero un successo.
«Un gruppo di ragazzi mi ha fermato ieri per strada non per fare la classica foto, ma soltanto per dirmi che gli è piaciuto il pezzo. Mi hanno detto che “spacca”, così, come lo dicono i giovani. È uno dei tanti bei segnali, sono contento».

In molti si sono commossi ascoltando il brano. È successo anche a te?
«Io sfogo tutto piangendo, lo faccio di continuo. Se non mi emoziono quando scrivo una canzone, preferisco non inciderla. A volte mi fa paura il fatto che non siamo più in grado di stringere una mano, di abbracciare una persona. L’assenza di emozione mi spaventa».

Molti hanno letto anche il rapporto tra un genitore e un figlio nel testo di «Guerriero».
«Mi capita spesso di fare brani che raccontano l’amore universale, non solo quello di coppia. Dietro ogni forma d’amore ci sono spesso storie di grande sacrificio, di dedizione assoluta all’altro. È quello che volevo raccontare».

Avresti mai portato «Guerriero» a Sanremo?
«Non l’avrei mai fatto. Questa canzone è un bimbo troppo fragile e introverso per essere buttato in pasto ai leoni. Non sarebbe stata capita, mi avrebbero massacrato, ne sono certo».

Nell’album usi il verbo «rialzarsi» più di una volta.
«Si passa la vita a provare a essere invincibili. Pensiamo di dover lottare contro qualcuno, sempre e comunque. Ma alla fine lotti solo contro te stesso».

A proposito, in cinque anni di carriera non ti sei mai fatto coinvolgere in una lite, né sul web né sui giornali. Non è frequente tra gli artisti emergenti, lo sai?
«Più volte, di fronte a delle provocazioni, ma anche a delle scelte lavorative che mi avrebbero messo in gioco in vesti diverse da quelle dove canto e basta, mi è capitato di rispondere: adesso io faccio musica e la seguo, è questa la mia priorità».

Hai annunciato un secondo album in uscita nel 2015. «Parole in circolo» va ascoltato come se fosse il primo tempo di un film?
«Va ascoltato così com’è. Tutto quello che succederà da oggi e nei prossimi mesi segnerà la strada per il prossimo capitolo. Potrebbe avere una pelle anche diversa, sarà anche il pubblico a indicarmi la strada. È un rischio, ma anche una sfida per superare me stesso. Cerco di diventare sempre più forte, come un Super Sayan! (una citazione del cartone animato «Dragon ball», ndr)».

Nell’album si possono sentire molti suoni e ispirazioni differenti. Ma a ricorrere è la positività, anche nella sofferenza.
«Il mio sogno è vedere me stesso sempre in movimento, mai fermo. Mi sto allontanando sempre di più dalla negatività, anche quando sto male».

C’è un bel brano scritto con Luca Carboni, «Se io fossi te». Come è andato il vostro incontro?
«È la persona più buona del mondo. Abbiamo fatto una conversazione di circa 200 email su quella canzone. Io sono un noto rompiscatole, ma a ogni mia richiesta Luca mi ha sempre aiutato. La sua storia e la sincera amicizia con tutti gli artisti della musica italiana dimostrano quanto sia tangibile la sua grandezza, umana e professionale».

Quest’anno a «X Factor» quasi tutti gli inediti erano in inglese. Sei d’accordo con questa scelta?
«È davvero un peccato, non tanto per gli inediti. So che si lavora spesso in velocità e i brani erano scritti anche dai ragazzi, quindi è giusto così. Ma non mi è piaciuto vedere un’intera edizione dove alcune voci hanno cantato poco o niente nella nostra lingua. Abbiamo un catalogo di canzoni stupende e poco ricordate. È giusto che in “X Factor” vengano portate alla luce. Altrimenti facciamo tutti come Andrea Faustini e andiamo a fare “X Factor” in Inghilterra!».

A proposito, come mai nei live non canti mai «Dove si vola», il tuo inedito di «X Factor»?
«Perché odiavo quel pezzo. Quando l’ho cantato per la prima volta ho pianto. Era qualcosa di così lontano da me da spingermi, in seguito, a rifiutarne l’esistenza. Ho capito oggi che era un atteggiamento stupido e irrispettoso per chi ha iniziato ad apprezzarmi proprio in quei tre mesi nel talent. La canterò nel mio prossimo tour, la rifarò a modo mio».

Come mai in così tanti anni di carriera non hai mai inciso un duetto in un tuo album?
«Il duetto lo vedo davvero come un atto d’amore tra due persone. Se c’è del sentimento è bellissimo, altrimenti è meglio lasciar perdere. Io parecchi anni fa avrei voluto lavorare con un grande talento, ma mi fu detto che era troppo sconosciuto per una collaborazione. Il suo nome era Stromae».

In «Esseri umani» canti: «Oggi la gente ti giudica per quale immagine hai. Vede soltanto le maschere, non sa nemmeno chi sei». Dopo tutti questi anni pensi che le persone ti vedano ancora nel modo sbagliato?
«Nei rapporti sono sempre stato sincero, fino a fare del male. A Ronciglione, in provincia di Viterbo, dove sono nato, dicevano che ero “pizzuttato” (“spigoloso” in dialetto, ndr) ma soltanto perché parlavo poco e non trattavo tutti come fratelli se non lo sentivo. Non ho mai saputo fingere, per questo ho avuto delle difficoltà con le persone. Se costruisci maschere, prima o poi cadono. Io devo essere quello che sono, come cantante e come ragazzo di 26 anni. Critico verso me stesso, testardo, a volte timido, vero».

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