Mario Lavezzi, gli scherzi con Battisti e le emozioni con Ornella Vanoni

Il musicista celebra 50 anni di carriera con un triplo cd. E per noi ripercorre una vita fatta di successi e di grandi incontri

Mario Lavezzi. Qui, è con Ornella Vanoni, per la quale ha prodotto numerosi album
31 Ottobre 2019 alle 09:50

Cinquant’anni di carriera. Mario Lavezzi ha scritto, cantato, prodotto, arrangiato, suonato per sé e per quasi tutti i grandi nomi della musica. Ora il triplo album “...e la vita bussò” celebra la sua storia mettendo in fila, in versione originale, tutti i suoi brani più importanti. Tante le chicche e le rarità, compreso l’ultimo inedito di Franco Califano “Canti di sirene”.

E dire che ha cominciato “copiando” i Beatles...
«Già, nel 1965 con I Trappers, il mio primo gruppo, facemmo “Ieri a lei”, la cover di “Yesterday”. Avevamo 17 anni, non ci filò nessuno».

L’anno dopo, però, era uno dei Camaleonti.
«Purtroppo fu un’esperienza breve. Fui chiamato per il servizio militare, loro nel frattempo dividevano in quattro invece che in cinque e mi scaricarono».

Che batosta!
«Sì, ma non mi arresi. Avevo composto una canzone ispirata alla band Procol Harum. Il paroliere Cristiano Minellono ne aveva scritto il testo e l’aveva intitolata “Giovedì 19”. La offrimmo ai Dik Dik, che erano prodotti da Lucio Battisti e Mogol. Quest’ultimo migliorò il testo e cambiò il titolo. Divenne “Il primo giorno di primavera”, il “mio” primo disco diventato numero uno in classifica: 850 mila copie vendute!».

Quindi sbarca alla Numero Uno, l’etichetta di Battisti e Mogol.
«Entrai come autore e produttore. Grazie a Lucio vennero tutti lì: Bennato, la Nannini, Tozzi, la Pfm, Lauzi, Pappalardo».

E lei fonda i Flora Fauna & Cemento...
«Nacquero per musicare un jingle della Coca-Cola. Il pezzo era “Superstar”, la versione italiana di “Jesus Christ Superstar”. Inaspettatamente divenne un successo, così Battisti ci battezzò Flora Fauna & Cemento e ci scrisse due pezzi: “Mondo blu” e “Un papavero”».

Com’era lavorare con Battisti?
«Era un casinista, si scherzava, si giocava a ping pong. All’improvviso ci chiamava: “Ahò raga, venite in studio”. Ho fatto il coro di “E penso a te” e “Il mio canto libero”. Era tutto genuino, collaborativo. Condividevamo la passione per la fotografia. Lui comprava le fotocamere e aveva pure creato una camera oscura».

Il gruppo durò poco.
«Cambiò l’epoca e dai “figli dei fiori” si passò all’impegno politico. Sciolsi i Flora e creai un altro gruppo, Il Volo. Il problema è che non guadagnavamo niente perché c’erano gli “sfondamenti” (per motivi ideologici molti entravano ai concerti senza pagare, ndr). Gli organizzatori ci pagavano con le collette. Così dopo cinque anni alla Numero Uno firmai un contratto con le edizioni Sugar Music come compositore e con la Cgd/Cbs in qualità di cantautore».

Qui conosce la Bertè.
«Nel ’75 Marcella Bella viene a vederci e porta questa sua amica, Loredana. Persi la testa. Ricambiato».

La Bertè aveva avuto una falsa partenza.
«La Cdg voleva lanciarla come cantante sexy, trasgressiva. Poi aveva fatto “Sei bellissima”, che era stata prima censurata e poi eliminata a “Un disco per l’estate”. Ai concerti le gridavano “nuda, nuda”. Lei ne soffriva e allora le promisi che avrei prodotto io il suo nuovo disco e spiegai alla Cgd che con Loredana dovevamo fare un’operazione di ribaltamento».

Una mossa coraggiosa.
«Eccome! In copertina la vestimmo con una palandrana lunga fino ai piedi. In concerto, quando eseguiva “Indocina”, un pezzo impegnato, indossava un lenzuolo su cui venivano proiettate immagini della guerra in Vietnam. Qualcuno s’arrabbiava, ma è servito ad allontanare un certo pubblico e ad attrarne un altro».

Bella sfida gestire la giovane Bertè...
«Era dinamite pura. Tutta istinto, affascinante, bellissima e con una grande testa. Era molto creativa e in studio con lei era sempre “buona la prima”, dove concentrava tutta la sua energia. Abbiamo avuto un momento di collaborazione professionale molto proficuo, ma la vita sentimentale era un disastro. Alla fine non se ne poteva più».

Nell’83, dopo la Bertè, è arrivata Fiorella Mannoia.
«Avevo appena pubblicato “Dolcissima” e la Cgd mi chiese di produrla. Veniva da un duetto con Pierangelo Bertoli e da un paio di singoli che non avevano funzionato. Con lei feci “Torneranno gli angeli”, che piacque, così mi chiesero di produrre il suo album d’esordio. Non so oggi, ma all’epoca la Mannoia non era puntuale: doveva fare un servizio fotografico e si presentò con un’ora e mezzo di ritardo. Caterina Caselli, boss della Cgd, era arrabbiatissima: “Chi si crede di essere, una diva?”. Per ripicca le tagliarono la promozione del disco e il contratto, che era per altri due anni e mezzo».

Un grosso errore, direi.
«Erano altri tempi. Le case discografiche avevano molte risorse e potevano permettersi di buttare nel cestino un album. Dopo la proposi a tutte le etichette. Avevamo un provino di “Come si cambia”, di cui Fiorella non era convinta. La Ariston Records, che aveva perso la Rettore, accettò di portarla a Sanremo. Il brano ebbe un successo enorme e la carriera della Mannoia decollò».

Anna Oxa, invece, aveva già avuto dei successi.
«Aveva bisogno di una ripartenza. Era maturata. Con lei ho fatto “Io no”, “Non scendo”, “È tutto un attimo” ed “Eclissi totale”. L’abbiamo costruita con un modello. Purtroppo anche Anna ha una testa...».

E Ornella Vanoni?
«Ho faticato a farle cantare “Insieme a te”, che inizialmente non le era piaciuta e poi è stata un successo. Lei è di un altro pianeta, come apre bocca ti dà emozione. In studio non è facile, le prendono momenti di ansia e di nervosismo e a volte devo impormi. È un’artista e gli artisti sono così, ma siamo molto amici e ci capiamo».

Lavezzi solista poteva fare meglio?
«Non ho mai avuto la determinazione di fare solo quello. Per fare il salto devi pensare solo a te stesso. I miei dischi hanno fatto bene ma a quei tempi i numeri erano tali che se vendevi 100 mila copie era solo... benino. Ma non ho rimpianti. Nel 1983 Sorrisi mi ha dato il Telegatto come “Music maker”, la figura, con le dovute proporzioni, di un Quincy Jones. In Italia non c’è un mio omologo».

Le date del tour

Il 2020 si aprirà con quattro eventi in teatro: il 20 gennaio a Milano (Teatro Dal Verme); il 24 gennaio a Bologna (Teatro Duse); il 28 gennaio a Roma (Auditorium Parco della Musica) e il 31 gennaio  a Torino (Teatro Colosseo).

Seguici