Il suo nuovo album “Qualcosa di nuovo” spopola e lui si racconta: dal primo viaggio a New York alle gioie della paternità. «Mio figlio Hilo mi aiuta a tenere uno sguardo sul presente, però alla fine è bello anche avere nostalgia del passato»

Diventa grande anche Max Pezzali. O forse no, perché come dice lui: «Ho sempre avuto paura di essere troppo vecchio per essere giovane e troppo giovane per essere vecchio». Un dualismo di fondo che accompagna anche il suo ultimo disco “Qualcosa di nuovo” (uscito il 30 ottobre).
Da un lato, infatti, si porta dietro tutto il “Max pensiero” con quella sua disincantata nostalgia del passato, dall’altro è il ritratto del Pezzali di oggi: un amorevole papà che ha superato i 50 anni, ma che insegue i sogni e il mondo di suo figlio. E la sintesi è in questo bellissimo album, che ribadisce come Max sia il nostro re del pop.
Max, partiamo dal titolo dell’album. Cosa c’è di nuovo nella tua musica?
«Una consapevolezza diversa del tempo che passa: è un tema che è sempre stato una mia ossessione. Oggi, però, credo di averci fatto i conti. Anche per merito del rapporto con mio figlio Hilo (il nome è di origine hawaiana, ndr) che ha 12 anni. Lui è il nuovo che avanza ed è abbastanza grande da poter mettere a confronto la sua realtà e la mia. Questo mi serve per avere uno sguardo più completo sul passato e sul presente».
Nel video del singolo “Qualcosa di nuovo” ci sono Hilo e Fabio Volo. Come è nata questa collaborazione?
«Conosco Fabio da 25 anni e quando ho pensato che non volevo il solito video, ma un attore che interpretasse il mio pensiero, ho pensato subito a lui».
È girato in un’unica ripresa all’interno di una sala da bowling.
«Sì, abbiamo provato tre volte e poi abbiamo girato. Abbiamo fatto una decina di riprese. La cosa più divertente è stata che tra me e Fabio è scattata una sorta di sfida. Il video si apre con me che faccio un tiro e si chiude con Fabio che ne fa uno a sua volta. Mentre giravamo abbiamo iniziato a tenere i punti e alla fine ha vinto lui».
«Non basta sapersi muovere se non si ha dentro il senso del tempo». Lo canti in una canzone del disco, “Il senso del tempo”.
«A volte mi confronto con gli amici parlando dei nostri figli e capisco che tutto è una questione di millesimi di secondo, quelli che ti consentono di seguire il tempo di una canzone, ma anche di prendere le giuste decisioni nella vita».
A proposito di tempo che passa, in “7080902000”, cantata con J-Ax, racconti quattro decenni. Qual è il tuo ricordo per ciascuno di questi?
«Gli Anni 70 sono quelli dei pericoli scampati dovuti alla generazione dei nostri genitori che erano molto più “sbarazzini” di noi. Mi ricordo che ero in quinta elementare e quando tornavo a casa da solo, mia mamma mi diceva: “Se vedi del fumo, mettiti un fazzoletto davanti alla bocca”, era il fumo dei lacrimogeni delle manifestazioni».
Passiamo agli Anni 80.
«Furono quelli della mia formazione musicale. Andai a New York, grazie a un amico dj. Lì scoprii il mondo delle discoteche americane e comprai una batteria elettronica, la Roland TR-707, con cui realizzai le prime canzoni: ce l’ho ancora adesso!».
E invece degli Anni 90 e dei Duemila cosa dici?
«Ovviamente i 90 sono quelli in cui sono passato da essere uno studente fallito a uno che saliva su un palco a cantare. Il mio decennio più intenso. I Duemila, invece, sono quelli della grande attesa di… qualcosa di nuovo».
Intanto sarà presto preordinabile “Max 90” (Mondadori Electa), il tuo nuovo libro. Di cosa si tratta?
«È un’autobiografia, ma focalizzata sugli Anni 90 che, come dicevo prima, sono quelli che mi hanno visto diventare protagonista di qualcosa».
Come avevi vissuto il successo?
«Fu strano, perché con gli 883 anche dopo essere stati al primo posto in classifica con “Hanno ucciso l’uomo ragno” io e Mauro Repetto eravamo semisconosciuti. In tv eravamo apparsi solo al Festival di Castrocaro nel 1991. Nessuno ci riconosceva, nemmeno quando andavamo in discoteca...».
Racconta.
«Era il 1992. Nicola Savino, che avevamo conosciuto a Radio Deejay ed era diventato nostro amico, doveva fare una serata in una discoteca di Alessandria. Ci invitò, ma quando arrivammo, sebbene fossimo nella “lista” del dj, il buttafuori non ci fece entrare perché eravamo in scarpe da tennis e maglietta. Fu inutile insistere (ride)».
Poi, però, l’anno dopo arrivò il video di “Sei un mito”. Che cosa ha rappresentato per te?
«Claudio Cecchetto, il nostro produttore, disse a me e a Mauro che era ora di apparire. Però… non avevamo facce da star. Così decidemmo di spostare l’attenzione coinvolgendo alcune modelle come Yasmeen Ghauri. Funzionò e tornammo al primo posto».
L’altra grande hit di quell’album fu “Come mai”.
«E non volevo nemmeno metterla… Rifiutavo l’idea di una canzone d’amore, ero ancora in quel momento in cui dovevo spaccare tutto. Mi convinse Claudio, dicendo: “Se il disco va male per questa canzone, mi prendo io la responsabilità”. Ebbe ragione lui».
Musica e libri: questo è anche un modo per raccontarti a Hilo?
«Quando trova le mie vecchie cose in garage, si diverte a chiedermi a cosa servissero. Hilo è la mia coscienza critica: mi ha ridato un occhio sul presente, però mi piace fargli conoscere il mio passato. Sebbene spesso mi prenda in giro dandomi del “Boomer”, ossia un vecchio che si crede giovane (ride)».
Tu vivi a Pavia e lui a Roma con la madre (Martina Marinucci, prima moglie di Max). Come si conciliano due realtà così diverse?
«Pavia è il luogo di addestramento a una mentalità ristretta, ma se riesci a strutturarti in un posto di provincia così, poi sei imbattibile. Roma, invece, è faticosissima. Quando abbiamo girato il video di “Qualcosa di nuovo”, dopo le riprese, Hilo mi ha chiesto di portarlo in un negozio di “softair” (un gioco di simulazione di guerra con pistole giocattolo, ndr): siamo partiti alle tre del pomeriggio, siamo arrivati a casa alle otto di sera… Per me che a Pavia sono abituato ad avere tutto a portata di pochi minuti è una follia!».
Come avete vissuto questi mesi di spostamenti limitati?
«Come tutti, videochiamandoci. La cosa incredibile è stato rivederlo dopo il primo lockdown, era cresciutissimo, sia fisicamente che a livello di testa».
Che cosa ascolta Hilo?
«Ultimamente è fissato con TikTok, gli piace la trap a partire da tha Supreme. Ma ho capito che per lui conta soprattutto la tendenza del momento».
Chi della generazione di oggi vedi come il nuovo Max Pezzali?
«Forse Riccardo Zanotti coi suoi Pinguini Tattici Nucleari: pure loro vengono dalla provincia, Bergamo, e hanno un modo di comunicare diretto. Anche se sono molto più bravi di me».
Un atto di umiltà.
«Sono sincero. Non sono un grande cantante e non ho particolari doti fisiche. Ho tanti micro talenti che cerco di sfruttare. E ha funzionato. Sono il classico figlio degli Anni 90, un outsider che ce l’ha fatta».
I concerti previsti a San Siro per quest’anno sono stati, per ora, spostati al 2021. Credi che si faranno?
«Non voglio unirmi al coro degli incompetenti che dicono la loro su una cosa che non conoscono. Posso sperare che non solo i miei concerti, ma un intero settore, quello dei concerti dal vivo, torni a respirare. È una luce che ho bisogno di vedere».