Ermal Meta e Fabrizio Moro rappresentano l’Italia al 63° Eurovision Song Contest in Portogallo

Il 12 maggio, dopo un’intensa settimana di prove e interviste, sul palco dell’Altice Arena di Lisbona canteranno «Non mi avete fatto niente», il brano con cui meno di tre mesi fa hanno trionfato a Sanremo

4 Maggio 2018 alle 15:52

Ermal Meta e Fabrizio Moro sono pronti a partire. Il 12 maggio, dopo un’intensa settimana di prove e interviste, rappresenteranno l’Italia all’Eurovision Song Contest, la più grande gara canora mondiale, seguita da 180 milioni di spettatori. Sul palco dell’Altice Arena di Lisbona canteranno «Non mi avete fatto niente», il brano con cui meno di tre mesi fa hanno trionfato a Sanremo. E con cui ora vogliono conquistare il cuore dell’Europa.

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Sapevate già di voler andare all’Eurovision prima di vincere il Festival?
Meta: «Ne avevamo parlato, sì. Questa canzone per alcuni Paesi colpiti dalla guerra ha un messaggio persino più forte. L’Eurovision è la sua cornice ideale».

Per regolamento avete ridotto la lunghezza del brano. È stato difficile?
Moro: «Abbiamo tolto una parte strumentale. Per noi era importante non rinunciare a nessuna parte del testo, lasciare integro il messaggio. È la cosa a cui teniamo di più».

Però avete scelto di cantarlo tutto in italiano.
Meta: «Tradurre una canzone le fa perdere un po’ di spessore, vero Fabrizio?»
Moro: «E poi, sinceramente, io che canto in inglese... (ridono entrambi)».

Come farete a far arrivare il messaggio del brano al pubblico mondiale?
Meta: «Appariranno delle traduzioni, perché le frasi possano arrivare a tutti».

Cosa dobbiamo aspettarci dalla vostra esibizione?
Moro: «Canteremo come nei giorni del Festival, in modo semplice, senza coriandoli e fuochi d’artificio».
Meta: «L’Eurovision ci ha abituati a cose pirotecniche, è vero, ma noi siamo d’accordo: questa canzone non ha bisogno di “coreografie”».

Insomma, mi sembrate entrambi ancora innamorati del vostro brano.
Meta: «Ci abbiamo creduto fin dall’inizio, l’abbiamo difeso con le unghie e con i denti. Rappresentare l’Italia con questa canzone è un grande onore».

Vi ha colpito qualcuno degli altri Paesi in gara?
Moro: «Io ho conosciuto una cantante bulgara molto carina in ascensore (ride)».
Meta: «Non abbiamo studiato il “terreno di gara”, vogliamo solo andare a Lisbona e dare voce alla nostra canzone. Però ci sono artisti interessanti, come i francesi».

Ermal, lei conosce il suo compatriota Eugent Bushpepa, che rappresenta l’Albania in gara?
Meta: «In realtà non seguo tanto la musica albanese, ma so che è molto bravo. Non vedo l’ora di incontrarlo, mi piace l’idea di poter parlare di musica nella mia lingua madre».

Negli anni passati avete seguito l’Eurovision?
Meta: «L’ho visto quando c’era la mia amica Emma. È un grande evento aggregativo ed è la cosa che conta di più. La musica è un bellissimo pretesto per unire delle diversità culturali».

Il 4 maggio iniziano le prove: sarete inseparabili per una decina di giorni...
Moro: «Sono sei mesi che “conviviamo”, dieci giorni in più non ci fanno paura. Semmai mi spaventa la “lentezza” dei portoghesi, siamo stati in Portogallo tre giorni per girare una clip di mezzo minuto».
Meta: «Quella non è lentezza, Fabri’, è perfezionismo!».

Dite la verità, tra di voi c’è mai stato qualche attrito?
Meta: «Figuriamoci! In realtà siamo due gran burloni. Non lo direste mai, ma Fabrizio
è molto bravo a raccontare le barzellette».

Sentiamone una.
Moro: «(Ride) No no, non si può, sono tutte troppo sconce!».

È una gara aperta e imprevedibile

di Eddy Anselmi (giornalista, «guru» dell’Eurovision e Vice Capodelegazione a Lisbona»

Quando si partecipa a una gara lo si fa per vincere, e qualsiasi risultato diverso dal primo posto rischia di lasciare l’amaro in bocca ai telespettatori. Ma da quando siamo tornati all’Eurovision, solo Svezia e Russia hanno preso più punti dell’Italia, e solo noi, Svezia e Russia siamo arrivati cinque volte su sette in Top 10.

La verità è che l’Eurovision Song Contest è una competizione apertissima e durissima tra più di 40 Paesi diversi. Davanti alla parata delle votazioni, ogni anno c’è chi ipotizza complotti o congiunture geopolitiche.

Se fosse vero, il risultato finirebbe per essere sempre simile e prevedibile: negli ultimi vent’anni ci sono stati 17 vincitori diversi, e i favoriti sono riusciti a portare a casa il trofeo meno della metà delle volte. Esistono, certo, affinità culturali e linguistiche, e spesso chi partecipa all’Eurovision è già famoso nei Paesi vicini.

Ma può essere un vantaggio anche per noi: Malta, Albania e Svizzera sono da sempre affezionati spettatori delle trasmissioni musicali italiane.

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