Parla Ultimo: «Tutta la mia verità, soltanto la mia verità»

Ha già dimenticato Sanremo: «Le polemiche del Festival sono acqua passata. Ora penso solo alla musica ed è per questo che mi auguro di finire sulla copertina di Sorrisi»

Ultimo (nome d’arte di Niccolò Moriconi) è amatissimo dai ragazzi. I suoi primi due album sono sempre in classifica. Il 5 aprile esce il nuovo disco: “Colpa delle favole”  Credit: © Pigi Cipelli
1 Marzo 2019 alle 09:00

E finalmente arriva Ultimo. Passata la bufera su Sanremo, archiviate le polemiche sul televoto del popolo contro il voto dell’élite delle giurie e della sala stampa, sfogate tutte le arrabbiature del caso, Niccolò Moriconi parla con noi. Di tutto, di più: del nuovo album in uscita il 5 aprile, “Colpa delle favole”, del singolo in dialetto romanesco “Fateme cantà”, del tour tutto sold out, cui si sono aggiunte due tappe, il 25 aprile al Palasport di Vigevano e il 29 giugno allo Stadio Teghil di Lignano Sabbiadoro. Ma per prima cosa serve una risposta definitiva. Un segno di pace, un gesto “distensivo” sulla mancata copertina di Sorrisi.

Niccolò, lasciatelo dire da una vecchia zia, ti tocca.
«Togliamoci subito il pensiero, dai».

Spiegaci perché non ti sei presentato sul set. Alla fine la tua assenza nella cover ha portato bene. Per citare il regista Nanni Moretti, «Mi si nota di più se non vado»...
«Non è stata una mossa premeditata, come alcuni dicono. Se capitano certe cose, uno reagisce in modo particolare».

Infatti non sei andato neanche a “Domenica in”, ma con Mara Venier ti sei scusato.
«Vero, l’ho chiamata».

Amore della zia, appunto. E a noi di Sorrisi niente scuse?
«Mi farò perdonare, prometto. Magari con un’altra copertina insieme».

Sanremo è un capitolo chiuso o conti di tornarci prima o poi?
«Mah, sai che c’è? Si decide a ottobre. Non è che lo escludo, ma per adesso voglio concentrarmi sulle cose mie e continuare a cantare».

“Fateme cantà” appunto, come il titolo del nuovo singolo.
«È una canzone molto importante per il momento che sto vivendo. L’ho scritta tre-quattro mesi fa, è una delle ultime dell’album. Per me è una sorta di liberazione, l’ho scritta in romanesco, nel mio dialetto, perché è come se parlassi a un amico. L’accento è diretto, il testo è molto crudo, ti entra dentro».

Cosa c’è dentro di te adesso?
«Una grande voglia di darmi da fare, di continuare a lavorare».

Parlavo di sentimenti.
«Io ho sempre avuto una gran voglia di dimostrare qualcosa. E far capire che la mia musica ha determinate caratteristiche. Fateme cantà, ecco (ride). Avevo voglia di fotografarmi dentro. Finora ho parlato per metafore, di cose astratte, “Pianeti”, “Peter Pan”. Stavolta più diretto di così non potevo essere».

Ti ha aiutato qualcuno?
«Sì, Antonello Venditti fa un cameo nel video, un gesto molto simbolico. Poi c’è una regia quasi alla Sorrentino, nel senso de “La grande bellezza”. Volevo metterci la mia città delle osterie, quelle dove il vino sta nelle brocche, non nelle bottiglie. Uno squarcio di Roma dell’amatriciana, delle tovaglie sporche».

Chi è per te Antonello Venditti?
«Una persona generosa e altruista, che mi dà sempre buoni consigli».

Uno zione, insomma.
«Esatto. Tifiamo pure per la stessa squadra, la fede giallorossa ci unisce. Ma io lo guardo sempre dal basso verso l’alto perché è un faro, un punto di riferimento. Quando andavo a scuola, sull’autobus ascoltavo le sue canzoni: “Lo stambecco ferito”, “Sora Rosa”, “Stella”... Senza la sua musica, quella del cantautorato romano, io non sarei quello che sono oggi».

Tu ti consideri un cantautore?
«Ancora non lo so, non riesco a capire cosa sono. Posso scrivere una canzone rap, posso fare pop. Perché mettere limiti, definizioni?».

Il tuo nuovo album si intitola “Colpa delle favole”. Che colpa hanno le favole?
«Le favole forse non c’entrano niente. Io ho sempre pensato che ce l’avessero tutti con me, anche se non era vero. Ce l’ho ancora, questa sensazione. Ho dato spesso la colpa agli altri, pure alle favole, per non dare la colpa a me stesso».

Tra i brani del disco ce n’è uno che si chiama “Ipocondria”. Non è un mistero che tu ne soffra. Avete fatto amicizia con l’ipocondria, avete fatto pace?
«No, quale pace... Anzi. Ma l’ipocondria è un pretesto. Io non ho paura di morire. Ho paura di avere paura, ma quando la paura ce l’hai addosso, sticavoli: non fa più paura».

Un’altra canzone dal titolo curioso è “Aperitivo grezzo”. Cioè?
«La mia fase del 2017, prima dell’uscita di “Pianeti”. Con i miei due amici più cari andavamo nel solito bar e magnavamo tantissimo (ride). Lo chiamavamo il nostro “aperitivo grezzo”».

Il tuo drink preferito?
«Il Campari gin. “Aperitivo grezzo” è un pezzo reggae. Mi piace sperimentare».

Come dobbiamo immaginarti quando non sei su un palco o su Instagram?
«Io mi sveglio la mattina e faccio un’oretta e mezzo di palestra. Poi, se non ho impegni di lavoro, guardo un film, suono, vado a pranzo o a cena fuori. Mi piace il cibo, il vino, assaggio tutto».

Che musica ascolti?
«Tanta musica italiana, ma mi piacciono anche Ed Sheeran e John Mayer, la musica semplice. Non è facile fare musica semplice».

La tv la guardi o ti annoia?
«La accendo. Perché, anche se non la seguo, mi fa compagnia».

Davvero sogni di andare a vivere in posto sperduto in Austria?
«Questa è un po’ come l’ipocondria. Lo dico, ma un conto è l’idea, un altro è farlo. Dopo tre giorni mi mancherebbe Roma da morire».

Dagli amici, dalle donne, dai fan, da tutti: ti senti capito, compreso?
«Serve tempo per essere capiti, io ho solo 23 anni. Bisogna avere uno “storico”, serve lavoro, serve costanza».

C’è qualcosa che ti rimproveri o che i tuoi genitori ti rimproverano?
«Abbiamo tutti qualcosa da rimproverarci, sbagliamo tutti, siamo tutti peccatori».

Ad aprile inizi il tour. Con che spirito lo affronti?
«Con l’ansia! Con uno schiocco delle dita, per magia, vorrei essere già alla fine. Sto per affrontare un’onda troppo grande, vasta».

E alla fine c’è lo Stadio Olimpico, a Roma. Il 4 luglio, che è la data del giorno dell’indipendenza in America. Una festa nazionale.
«E forse non è un caso, no?».

La tua ex fidanzata, Federica, ci sarà?
«Se vuole, sì. Oppure poi lo guarda su Internet. Ma sono convinto che in qualche modo lo vedrà il concerto».

L’amore ti manca o la mancanza d’amore ti ispira?
«Una cosa tira l’altra. La mancanza crea il vuoto e il vuoto ti riempie: è un cerchio. Io per scrivere ho bisogno del vuoto dentro».

Ti va di fare il gioco “Obbligo o verità”?
«Sì, lo facevo da bambino».

Scegli, allora.
«Obbligo, dai».

Giura di non dire mai più parolacce ai giornalisti.
«Visto che è un obbligo, lo giuro».

Peccato, avevo pronta anche la “verità”: «Quanto hai “rosicato” da 1 a 10 per il secondo posto?».
«Non vale, ormai ho scelto l’obbligo e questa domanda non me la puoi più fare» (ride).

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