Rita Pavone: «In 58 anni di carriera non mi sono fatta mancare nulla»

Trionfi, crisi, progetti: la Gian Burrasca della canzone si racconta. Questa eterna ragazza beat ci ha fatto ballare, cantare, ridere, commuovere con le sue canzoni d’amore

Rita Pavone ha cominciato a cantare nel 1959, ma l’esordio ufficiale è del 1962, quando fu “scoperta” da Teddy Reno, che nel 1968 sarebbe anche diventato suo marito  Credit: © Iwan Palombi
5 Marzo 2020 alle 09:40

Parlare con Rita Pavone in fondo è facile. Tanto è certo che non si potrà mai raccontare tutto di questa eterna ragazza beat che ci ha fatto ballare, cantare, ridere con Gian Burrasca, commuovere con le sue canzoni d’amore. E perfino conquistare il West andando da vera star a grandi spettacoli musicali americani come l’“Ed Sullivan Show”...

E allora, non sapendo da dove cominciare, ci dica lei, signora Pavone, come vede la sua vita eccezionale: è un romanzo emozionante o una ricchissima enciclopedia?
«Un’enciclopedia, direi. In 58 anni di carriera non mi sono fatta mancare nulla, dal canto al ballo, ai film, alla scrittura di canzoni… E l’artista deve conoscere tutto del suo mestiere».

Ma è stata una vita “vera” o una vita “magica”, da star?
«È stata tutta realtà e infatti anch’io, come tutti, ho avuto dei momenti bui. Ma vado fiera del fatto che se mi abbatto, mi bastano pochi minuti per rialzare la testa. Io non cedo mai. La vita è una bilancia: ogni volta che ricevi qualcosa di buono, devi prepararti perché arriverà qualcosa di cattivo. Pensi, il mio successo ha distrutto la mia famiglia d’origine: i miei genitori si separarono dopo quasi 40 anni di matrimonio e quattro figli… Ma poi, sul palcoscenico, devi essere sempre tranquilla e solare».

Sanremo 2020: dopo 58 anni di carriera, qualcosa l’ha stupita?
«L’affetto del pubblico. Io posso avere subìto tutte le crisi e le cattiverie possibili, ma ogni volta mi dico: “Adesso arrivo sul palcoscenico e vendo cara la pelle!”. La scena è il mio habitat, lì non sono Rita alta un metro e 53 centimetri e mezzo (al mezzo ci tengo!): divento un metro e 80 e mi sento sicurissima. A Sanremo ho sceso piano la scalinata, un po’ perché era ripida e un po’ perché temevo che qualcuno gridasse qualche cattiveria. Invece un signore ha urlato: “Bentornata Rita!”. E io ho pensato: “Sono a casa!”. Il pubblico è sempre l’emozione più grande e la vera sorpresa».

La canzone “Niente (Resilienza 74)” ha un autore d’eccezione: Giorgio Merk…
«Il mio figlio più piccolo, sì. È un ottimo autore, ma non aveva mai scritto in italiano. Era un po’ che gli chiedevo una canzone ed è arrivato con questa, dicendo che mi sarebbe piaciuta perché mi avrebbe riportato al mio amato rock’n’roll. Abbiamo fatto tutto noi due, nel piccolo studio che abbiamo in casa. Quando ho sentito il provino, mi sono detta che potevo proporla per Sanremo. Come arrangiarla, però? Ho chiesto consiglio a Claudio Cecchetto e lui mi ha dato il nome giusto: Filadelfo Castro (era il direttore d’orchestra di Rita a Sanremo, ndr). Poi mi ha dato altre dritte incredibili, da amico vero, senza chiedere nulla».

Ha un rito prima di andare in scena?
«Bevo un goccetto di vodka alla pesca: non fa girare la testa ed è un toccasana per le corde vocali. Poi ho la brutta abitudine di fare un urlo all’improvviso (e infatti urla, ndr): tutti si prendono paura, ma io così “sento” la mia voce».

Da ragazzina è stata una stella in un mondo che era sospettoso di fronte ai giovani e alla loro musica. Oggi, col successo dei talent e della scena rap, i ragazzi sembrano i padroni del palcoscenico. Ha un consiglio per loro?
«Stare più attenti all’emozione che ai soldi. E “darsi” sempre al pubblico: io sono Rita Pavone grazie alla gente. Elvis Presley diceva che ciò che noi artisti siamo è dovuto tutto ai fan. Se per strada mi salutano, io mi fermo e ringrazio».

Elvis, Ella Fitzgerald, Duke Ellington, i Beach Boys… Da ragazzina ha incontrato molti miti della musica del Novecento.
«Io ero Alice nel Paese delle meraviglie e le meraviglie erano questi grandi. Eravamo colleghi, magari ospiti alla stessa trasmissione, ma per me erano inarrivabili. E questo atteggiamento mi ha aiutato a tenere i piedi per terra. Ero come la ragazzina che oggi chiede l’autografo ad Achille Lauro: sconvolta dalla felicità».

L’incontro con Elvis avvenne a Nashville nel 1965: lei era in uno studio di registrazione…
«Quando ho saputo che sarebbe passato ho chiesto di vederlo. Ho insistito e alla sera eccolo. Mi regalò un quadro, un suo ritratto, dedicandomelo: “A Rita, tanti auguri, Elvis”. Oggi è appeso nel salone di casa mia, vicino al camino».

Che cosa ricorda di Ella Fitzgerald? Per molti è stata la più grande voce della storia del jazz.
«Eravamo nella stessa puntata dell’“Ed Sullivan Show”. Prima dell’inizio la vidi seduta in sala, stava per conto suo, con il fazzolettone che portava sempre con sé. Aspettava… Poi arrivò Duke Ellington e iniziarono a provare con l’orchestra. Fecero “Take the A Train” e io continuavo a dirmi: “Ma cosa cavolo ci faccio io qui?”. La cosa bella avvenne dopo, però: bussò al mio camerino e mi chiese una fotografia da dare a suo figlio. Mi colpì moltissimo: la Fitzgerald che chiede a me una fotografia per suo figlio!».

Ha girato una mezza dozzina di film. Ha recitato anche con Totò, Terence Hill, Lucio Dalla… Che cosa ricorda di quelle esperienze?
«Totò era un carissimo amico di mio marito Teddy Reno. Avevano girato insieme anche “Totò, Peppino e la… malafemmina”, il film con la famosa scena della lettera. Così già prima di conoscerlo lo sentivo come uno di famiglia. Quando abbiamo lavorato in “Rita, la figlia americana” era ormai cieco. Lo andai a trovare in albergo e mi fece entrare in camera pensando che fossi una cameriera. Dissi: “Commendatore, sono Rita Pavone” e lui rispose con dolcezza: “Mi perdoni! Sa, non vedo più nulla”. Prima di iniziare a recitare con lui mi dissero: “Lui non segue il copione: attenta a non ridere!”, e infatti faceva battute imprevedibili e incredibili, ed era dura non ridere. Con Terence Hill abbiamo girato “Little Rita nel West” e “La feldmarescialla”. Bellissimo, bravissimo… Mi ha anche insegnato ad andare a cavallo. Modestamente l’ho anche baciato, ma in punta di piedi. Lucio Dalla l’ho conosciuto che ancora suonava nei Flippers. Quando dissero che avrebbe voluto fare un film con me, risposi: “Lucio? Ma sono io che faccio di tutto per lavorare con lui!”. Anche Dalla era in “Little Rita nel West” e lì, forse, ha fatto con me il suo primo duetto: “Pirulirulì”».

Lei è anche Gian Burrasca. Per lo sceneggiato incise “Viva la pappa col pomodoro”, la canzone a cui lavorarono tre Oscar: musica di Nino Rota (Oscar nel 1975), parole di Lina Wertmüller (2019, alla carriera) e direzione d’orchestra di Luis Bacalov (1996). È vero che non le piaceva?
«Nino Rota aveva già alle spalle dei trionfi. Ma aveva composto una specie di minuetto che mi spaventò: come lo canto? Fui sfacciata: “Maestro, non potremmo farla un po’ più moderna?”. Fu umilissimo: “Mi dica, mi dica…”. “Non so: un po’ di batteria?”. Poi mio marito Teddy andò a cercare il suo amico Anton Karas, l’autore della famosa canzone del film “Il terzo uomo” di Orson Welles, e lui inventò un’introduzione con la cetra, a cui attaccammo il break di batteria e poi il mio “Yeah!”. Ecco, la “Pappa” era diventata una specie di twist. Ma io comunque sapevo che quella canzone aveva una marcia in più».

Dove trova tutta questa energia?
«Credo sia nel mio Dna. Dico sempre che sono una donna troppo grande per tornare indietro e troppo piccola per non realizzare ancora nuovi sogni».

È tornata con un doppio cd

È in esclusiva in edicola con Sorrisi a 14,90 euro “raRità!”, nuovo album di Rita Pavone. È un cd doppio con 37 canzoni (classici, duetti, chicche, il pezzo di Sanremo…).

Seguici