Roby Facchinetti: «Un ritorno dei Pooh? Mai dire mai: sono possibilista sempre»

Lo storico tastierista e cantante ha presentato il suo quarto album da solista, “Symphony”

Roby Facchinetti
8 Dicembre 2021 alle 08:30

Quando hai di fronte Roby Facchinetti non lo guardi con l’aria trasognata solo perché è stato lo storico tastierista e cantante dei Pooh. Gli stai accanto e tocchi con mano l’euforia contagiosa di un bambino. E ne rimani colpita. L’occasione è stata la presentazione del suo quarto album da solista dal titolo “Symphony”, uscito il 26 novembre.

Lei è nato il 1° maggio, Festa dei lavoratori, ed è un uomo instancabile. Dopo lo scioglimento dei Pooh nel 2016 si è fermato almeno un attimo?
«La fantasia e la creatività in me non dormono mai. Questo progetto è nato a settembre 2020 quando il maestro Diego Basso, l’arrangiatore dell’album, mi chiese di suonare davanti al castello di Castelfranco Veneto (TV). In quel momento mi venne l’idea di riproporre vecchie e nuove canzoni in chiave sinfonica. Sono sempre stato appassionato di questo mondo grazie a mia madre che da bambino mi faceva ascoltare musica operistica».

Sappiamo che c’è anche Stefano D’Orazio nel suo album…
«Tra gli inediti, il brano “Grande Madre” è stato scritto da Stefano nel 2002. Gli avevo promesso che lo avrei utilizzato e l’ho fatto in sua memoria. È una preghiera rivolta a Maria, madre di tutte le mamme».

Da bambino cantava nel coro della chiesa?
«No, però a 6 anni ho fatto il chierichetto perché mio padre, che era una sorta di sagrestano del monastero vicino casa, mi portava tutte le domeniche a messa».

E la musica, il canto?
«Da piccolo sognavo di diventare direttore d’orchestra. A 4 anni aspettavo che, il giorno di sant’Antonio, arrivasse la banda per poterla vedere e dirigere».

Chiusa l’era dei Pooh, come le è cambiata la vita?
«È stata dura. Ho costruito nuovi equilibri a partire dalla famiglia: mi godo i figli e i sei nipoti. Ho imparato a fare il nonno, ma anche il papà perché, per lavoro, mi sono perso un po’ di cose».

Quali?
«La prima volta che hanno pronunciato la parola “papà” o il primo giorno di scuola…».

A un ritorno del gruppo, anche occasionale, pensa?
«Mai dire mai: sono possibilista sempre. Cinque anni fa abbiamo deciso di chiudere e sarebbe giusto rispettare la promessa che abbiamo fatto ai fan».

Sono tanti i suoi successi, ma un rimpianto ce l’ha?
«Sì, uno grandissimo. Noi vincemmo Sanremo nel 1990 e stupidamente non partecipammo all’Eurovision Song
Contest al quale andò Toto Cutugno che sbaragliò la concorrenza vincendo con “Insieme: 1992”. Lui ci sta ringraziando ancora».

La sua giornata tipo?
«Mi sveglio pensando a cosa devo fare, quindi colazione. In bagno vocalizzo e canto come un pazzo, non le canzoni dei Pooh ma brani senza senso, invento motivi che possono somigliare a testi arabi. Sfogo la fantasia e così accendo la giornata!».

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