Pippo Baudo, i momenti più folli e sorprendenti dei suoi 13 Festival di Sanremo

«Signore e signori, buonasera». Quante decine di migliaia di volte Pippo Baudo avrà pronunciato questa frase nei suoi 60 anni di carriera? E se parliamo di Sanremo, non ci sono storie: con le sue 13 edizioni condotte, Baudo è l’uomo dei record

Pippo Baudo. Con i suoi 13 Festival ha il record di conduzione  Credit: © Iwan Palombi
6 Dicembre 2019 alle 14:32

«Signore e signori, buonasera». Quante decine di migliaia di volte Pippo Baudo avrà pronunciato questa frase nei suoi 60 anni di carriera? E se parliamo di Festival di Sanremo, non ci sono storie: con le sue 13 edizioni condotte, Baudo è l’uomo dei record. Nessuno nella storia del Festival, che quest’anno taglia il traguardo dei 70 anni di vita, lo ha mai superato. E allora…«Signore e signori, “Super Pippo”! Anzi, “il Pippo Nazionale”. Meglio: “Sua Pippità”.

Pippo, cosa ricorda del suo primo Festival? Era il 1968…
«Arrivò in maniera inattesa. L’anno precedente ci fu la morte di Luigi Tenco proprio al Festival. Presentava Mike Bongiorno e allora nel ’68 credettero opportuno cambiare completamente. Mi chiamarono, io non me l’aspettavo. Anzi, mi sentivo impreparato per l’occasione».

Lei che si sente impreparato? L’uomo che ha “inventato la televisione”? L’uomo che ha lanciato lo stile “baudiano”? Impossibile crederlo...
«(Ride) No no, era proprio così. Ricordo che sul treno incontrai Paolo Limiti che aveva una canzone bellissima in concorso (“La voce del silenzio”, cantata da Tony Del Monaco e Dionne Warwick, ndr). Abbiamo fatto amicizia e gli chiesi: “Paolo, ma io faccio bene a fare Sanremo?”. Quasi quasi volevo tornare indietro. E lui mi disse: “Ma ormai ci sei, fallo!”. Allora il Festival si teneva nel salone delle feste del Casinò: quando ho visto quelle scale ho avuto un momento di vera paura: “Chi me l’ha fatto fare a venire?” ho pensato».

E poi quelle scale le ha scese.
«Mi ricordo che un dirigente Rai prima che iniziasse la trasmissione disse: “Baudo, devo dirle una cosa”. “Cosa, dottore?”. “Lei stasera si gioca tutta la carriera”. Come augurio non era il massimo della delicatezza. Infatti alla fine della serata sono andato da lui e gli ho detto in faccia: “A proposito di quello che mi ha detto prima di cominciare: lei è stato un cretino».

Ma andò bene…
«La prima sera è successo di tutto. Louis Armstrong era in gara ma non gliel’avevano detto. Ha cantato la sua canzone in italiano, “Mi va di cantare”, e alla fine dell’esecuzione ha attaccato a suonare con la tromba “When the saints go marching in” con il complesso che l’accompagnava. Dietro le quinte mi dissero: “Fallo smettere sennò dobbiamo squalificarlo!”. Io ho preso un fazzoletto bianco, sono uscito sul palco, gli ho asciugato la faccia e l’ho accompagnato via dal palcoscenico togliendoli letteralmente la tromba dalla bocca… (ride)».

Si ricorda un momento particolarmente emozionante?
«La più grande emozione dei miei Festival è stata quando ho lanciato Whitney Houston. Fu un momento bellissimo: aveva cantato “All at once”, una canzone straordinaria, il pubblico si era alzato in piedi e non finiva più di applaudirla. Era un’ospite, non in concorso, e allora ho creduto fosse opportuno farle fare un bis, ma il nastro con la base era già stato tolto. Ho fatto avvisare il regista Gino Landi di chiamare il tecnico audio per recuperare il nastro di corsa. Whitney, giovanissima, era accompagnata dai genitori che erano dietro le quinte e non volevano che lei facesse il bis perché pensavano a uno sfruttamento eccessivo. Dicevano “No bis, no bis” e io “Yes bis, yes bis”... In tutto questo macello l’ho presa per un braccio, l’ho portata in proscenio per far continuare l’applauso e dare il tempo al regista di recuperare il nastro con la base. Fece il bis ed è stata l’unica artista che ha cantato a Sanremo due volte la stessa canzone nella stessa serata».

Incomprensioni?
«Ho avuto un rapporto strano con Madonna. Alloggiava a Montecarlo, venne alle prove della sua canzone (“Take a bow”, ndr) che si chiudeva sfumando. A me sembrava inopportuno perché il pubblico non avrebbe saputo dove applaudire, allora le dissi: “Il pezzo è molto bello ma ci vorrebbe un finale più netto, in maniera che il pubblico abbia una reazione forte”. E Madonna: “Lei è in grado di tagliare il nastro con la base al punto giusto?”. “Mi assumo la responsabilità” dissi. E andai personalmente sul pullman della regia che era nella piazza accanto all’Ariston, mi misi seduto accanto al tecnico, stando attento a fare un taglio giusto. Riportai il nastro in teatro, con una certa apprensione, lei provò e mi disse: “Ottimo lavoro, d’ora in poi questa canzone la chiuderò sempre così. Lei mi ha fatto un grande regalo...”».

Ci sono mai stati problemi?
«C’è un personaggio che mi ha inseguito in tutta la mia carriera: dovunque io arrivassi, in albergo trovavo una lettera indirizzata a me: “Caro Pippo, ti comunico che sono qui: ti farò una sorpresa. Firmato: Cavallo Pazzo”. Io chiamavo la polizia, loro avvisavano il questore di Imperia: “Stia tranquillo, è tutto sotto controllo”. E invece poi puntualmente Cavallo Pazzo saliva sul palcoscenico: mi ha sempre fregato...».

E a proposito delle sue partner?
«Nel 2002 Manuela Arcuri l’avevo invitata come una delle due presentatrici. Ma 15 giorni prima dell’inizio mi comunicò che aveva preso il morbillo. L’importante, con questa malattia, è non grattarsi, nonostante la forte tentazione, per evitare di rimanere con dei brutti segni, soprattutto in viso. Lei si ritirò a Latina, la sua città di nascita, e ogni giorno la chiamavo: “Ti stai grattando?” “No, tranquillo”. Lei fu bravissima e arrivò in tempo per partecipare. E senza neanche un segno».

Altri inconvenienti?
«Nel 2008 Bianca Guaccero era una delle due presentatrici, doveva ballare e cantare. Alla prova generale si presentò completamente senza voce, non riusciva nemmeno a parlare… L’abbiamo fatta ballare mentre cantava in playback sulla voce di un’altra cantante. Ma il pubblico capì, anche perché era del tutto afona, l’ha perdonata e applaudita lo stesso perché era una grande ballerina e pure una bravissima cantante».

Tra tutte le partner che ha avuto sul palco dell’Ariston, qual è quella che l’ha sorpresa di più?
«È stata Valeria Mazza. Era una bellissima modella argentina che avevo visto in una foto durante una sfilata. L’avevo chiamata per incontrarla a Roma. Quando è arrivata all’appuntamento a Cinecittà aveva fatto 48 ore di viaggio, non si era pettinata, non si era fatta una doccia, era venuta direttamente lì dall’aeroporto. L’ho vista e ho pensato: “Ammazza che racchia che ho preso!”. Lei ha capito che io ero rimasto sorpreso da questa sua poca avvenenza e ha detto: “Mi dà un po’ di tempo?”. È andata in bagno, si è rinfrescata, si è pettinata e si è messa un velo di fondotinta. Quando è riapparsa sembrava una Madonna, era di una bellezza straordinaria. Mi ha colpito anche perché lei, nata in Argentina e figlia di padre portoghese, parlava un italiano perfetto: non ha mai fatto nemmeno una papera».

Scene di pianto, agitazione, nervosismo dietro le quinte?
«Direi di no. Io prima di cominciare andavo camerino per camerino a fare un “in bocca al lupo” a tutti: un bacio, un abbraccio, una rosa. La rosa è stato sempre il mio cavallo di battaglia, era l’omaggio che facevo a ogni ospite e in questo modo tutti si tranquillizzavano».

C’è stato qualcuno che l’ha fatta arrabbiare?
«Mah, io ero talmente tranquillo delle scelte fatte che neutralizzavo qualunque nervosismo. La cosa più brutta fu quando ho dovuto squalificare Loredana Bertè nel 2008. La sua canzone “Musica e parole” era molto bella, la cantò la prima serata, poi si presentò un maestro e mi disse: “Guardi che la canzone della Bertè non è inedita. È stata depositata alla Siae con un altro titolo e sono stati venduti anche dei dischi”. Io telefonai alla Siae, che me lo confermò. Loredana era all’oscuro di tutto ma mio malgrado dovetti squalificarla. Per non umiliarla però la misi come ospite e le assegnai il premio della Sala stampa per poterla portare in palcoscenico lo stesso. Situazione antipatica, ma… le regole sono regole».

Un momento difficile da gestire?
«Alla vittoria di “Si può dare di più” del trio Morandi-Tozzi-Ruggeri, al momento della riesecuzione del brano Gianni Morandi era seduto sulle scale della scenografia e piangeva. Gli chiesi: “Piangi per l’emozione?”. E lui: “No, piango perché è la più brutta vittoria della mia vita: io sto vincendo Sanremo e in questo stesso giorno muore Claudio Villa, il mio cantante di riferimento”. Gianni Morandi era cresciuto nella bottega del padre calzolaio con le canzoni di Claudio Villa e l’idea di vincere Sanremo mentre Claudio se ne stava andando gli metteva una tristezza infinita. Quello fu un momento delicato».

L’ospite che non è mai riuscito a portare sul palco?
«Mina. Era il mio sogno, ho fatto tutto il possibile per averla ma non c’è mai stato niente da fare. Per me Mina rimane ancora oggi a 79 anni la più grande cantante italiana».

Festeggia i 60 anni di carriera, che regalo vorrebbe ricevere?
«Non lo so, questo mestiere non bisogna farlo per ricevere gratitudine perché la gratitudine non è dell’uomo. Mi piacerebbe che la Rai mi dicesse: “Grazie”. Ma non me lo dirà mai».

Vuole fare un augurio ad Amadeus per il prossimo Festival?
«Con tutto il cuore, perché mi è simpatico, è un bravo ragazzo e ci ritroviamo spesso nello stesso ristorante. Abbiamo parlato tanto, lui aveva delle titubanze su Sanremo e gli ho sempre detto: “Fallo!”. Sono convinto che andrà benissimo».

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