Sanremo 2019, Claudio Baglioni: «ll mio Festival sarà l’incontro di due mondi»

Abbiamo accompagnato in auto Claudio Baglioni allo studio fotografico di Sorrisi. Il viaggio è trascorso tra battute e musica non in sottofondo, ma ascoltata con le cuffiette sull’iPad, qualche telefonata e una pausa per un caffè nero senza zucchero


17 Gennaio 2019 alle 08:01

Un grande mazzo di fiori arrivato il giorno dopo la fine del Festival di Sanremo dello scorso anno. Così la Rai ha chiesto a Claudio Baglioni, alla luce del successo di ascolti, di fare il bis. «Era un enorme mazzo di rose rosse, un “mazzolon di fiori”. A un invito così appassionato non potevo dire di no» scherza il conduttore.

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Ed eccoci qui, un anno dopo, con Claudio Baglioni direttore artistico del 69º Festival di Sanremo. La conferenza stampa di presentazione è appena terminata nella Città dei fiori e Baglioni ci ospita nel suo van con i vetri scuri, che ci porterà alle porte di Milano per il servizio fotografico della copertina di Sorrisi assieme a tutti i cantanti che lui ha scelto come protagonisti sul palco dell’Ariston.

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Il viaggio trascorre tra battute e musica non in sottofondo, ma ascoltata con le cuffiette sull’iPad, qualche telefonata e una pausa per un caffè nero senza zucchero. Unico vezzo, un paio di chewing gum alla menta: «Perché il chewing gum fa compagnia» ride.

Claudio, a parte il bellissimo «mazzolon di fiori», come mai ha deciso di fare il bis?
«Mai avrei immaginato di tornare sul luogo del Festival. Ma poi mi ha preso un senso di responsabilità, non mi piaceva che si pensasse: “Ci ha provato una volta, gli ha detto bene, ha vinto e se ne è andato portando via tutta la posta”. Mi sono detto: il cammino non è proprio finito e si può fare in modo che ci sia una seconda edizione, andando a creare ancora di più il connubio tra innovazione e tradizione».

In che modo?
«Il Festival è la tradizione per eccellenza perché lo è l’Ariston, il luogo in cui si tiene, ma l’innovazione può consistere nel fare una fotografia della musica pop italiana contemporanea, e far vedere che è in movimento. E la composizione del concorso di questa 69ª edizione guarda a questo: affinché Sanremo non sia solo il museo, ma una vera e propria mostra attuale».

Quale sarà la parola d’ordine?
«L’armonia al Festival. È il numero 69 e allora ho pensato al simbolo cinese dello Yin e dello Yang dove gli opposti si incontrano. L’idea è di composizione, di armonizzazione di mondi diversi, sia dal punto di vista musicale che dal punto di vista dello spettacolo».

Sta facendo il conto alla rovescia?
«Non sai se sei come i carcerati o i soldati che fanno le X sul calendario... (ride). Sì, il conto alla rovescia parte da lontano, perché il Festival è una macchina complessa con tanti aspetti che vanno tutti curati nello stesso modo. È un pensiero fisso, è impensabile non avere ogni giorno davanti il calendario con i fogli che vanno via avvicinandosi alla data. E pur avendo avuto un percorso di un mese e mezzo di tournée («Al centro», ndr), anche molto impegnativa, il pensiero del Festival c’è sempre stato per la responsabilità di portarlo a compimento nel migliore dei modi».

Quando le viene in mente un’idea per il Sanremo, dove se la appunta?
«Se non ho altro a portata di mano, anche sui tovagliolini di carta, perché sono ancora abituato a scrivere parecchio a mano. Sul tablet rimetto in ordine i pensieri. Come l’anno passato, l’idea è quella di pensare al Festival come un racconto che abbia come stella polare la canzone italiana, le parole, la musica e le emozioni che certe canzoni si portano dietro».

L’anno scorso si era definito il «dittatore artistico», quest’anno il «dirottatore artistico».
«Qualche notte prima della presentazione mi è capitato di fare l’ultimo sogno, quello prima del risveglio, pensando che stessi pilotando un aeroplano fantastico. Qualcuno mi chiedeva: “Dove stiamo andando?”. Io rispondevo: “Probabilmente a Sanremo”. E l’altro: “Ma non si va di qua per Sanremo”. E io: “Sì, ma io sono il dirottatore. Il dirottatore artistico”(ride)».

Dove lo vuole portare questo aereo?
«A Sanremo, ma con una direzione sorprendente, immaginandolo come un luogo fantasioso, sconosciuto e favoloso».

Ha scelto come compagni di viaggio Claudio Bisio e Virginia Raffaele: come mai?
«Perché l’anno scorso avevo finito tutta la mia dose di autoironia e mi sono detto: “Devo trovare due che si prendano sulle spalle la leggerezza, la voglia di intrattenere e la voglia di appassionare”. E poi perché sono due talenti incredibili».

Cosa le ha insegnato l’esperienza dello scorso Festival?
«Che il gioco di squadra è fondamentale e che ci devono essere delle sorprese. L’anno scorso abbiamo avuto Pierfrancesco Favino, sorprendente per tanti suoi aspetti che non si conoscevano, e Michelle Hunziker, che ha dimostrato ottime doti di showgirl. Quest’anno ce ne saranno altrettante. Claudio e Virginia sono due artisti con una poliedricità e una versatilità enormi e verranno fuori delle loro facce che il pubblico ancora non conosce. Il palco dell’Ariston poi è l’occasione migliore per la complicità e il gioco di squadra perché fa paura a tutti. C’è bisogno di rispetto, di umiltà e di tante cure. Non sa quanti mostri sacri, tra cantanti, comici, attori e performer vari, rifuggono quel palcoscenico: “Sanremo? Ma che sei matto?” mi sono sentito dire».

Quali raccomandazioni ha fatto a Claudio e Virginia?
«Non bisogna entrare in ansia da prestazione. Anche se il Festival è una cosa seria che richiede lavoro e attenzione, la leggerezza ci deve essere, bisogna cercare armonia, bellezza, racconto ed emozione perché il Festival non è una supertrasmissione televisiva. È qualcosa che sfugge a ogni definizione. È piuttosto un evento ripreso dalle telecamere. Mi auguro che questa mia intenzione venga fuori».

Claudio, a conti fatti qual è l’aspetto più difficile del ruolo del direttore artistico?
«È che ti senti come se fossi alla plancia di comando dell’aereo più pazzo del mondo».

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