Sanremo 2022, Amadeus: «Signore e signori, il Festival della gioia!»

Il conduttore e direttore artistico spiega tutte le sue scelte per il suo terzo Sanremo

Amadeus
1 Febbraio 2022 alle 12:29

E alla fine la settimana del 72º Festival di Sanremo è arrivata. Raggiungiamo il conduttore e direttore artistico Amadeus tra una riunione e l’altra e, soprattutto, tra... un tampone e l’altro.

Amadeus, a che quota è arrivato?
«Nell’arco di questi due anni ho perso il conto ormai. Meno male che ho il naso grande, almeno c’è spazio (ride)! In realtà questa è un’aggravante».

Perché?
«Proprio perché è un naso lungo pensano di poter salire con il bastoncino quanto vogliono... E invece non è così (ride)!».

Il suo terzo Festival in una parola?
«Non voglio usare la parola “rinascita” perché l’anno scorso non ha portato bene, allora direi che questo è il Festival della “gioia”, dove per gioia intendo serenità, un po’ di spensieratezza, il pubblico in sala».

Ben controllato?
«Certo! Il teatro è pieno al 100%, si entra con Super green pass e si tiene sempre la mascherina Ffp2».

Torniamo alla gioia.
«La gioia per noi è regalare cinque serate di bella musica, di grandi ospiti, di risate. Il palco dell’Ariston torna a popolarsi di persone, come è giusto che sia. E c’è un altro aspetto che non è stato sottolineato a sufficienza».

Quale?
«La gioia delle persone a casa che potranno tornare a vedere Sanremo in gruppo. Storicamente Sanremo ha sempre avuto dei gruppi di ascolto. Il primo anno che l’ho fatto c’era chi mi diceva: “Stasera invito a cena i miei figli, i miei nipoti, i miei amici e ci guardiamo il Festival tutti insieme”. Questa cosa non è stata possibile lo scorso anno. Ma il Festival è un po’ come una finale dei Mondiali di calcio: va condiviso. Non si può vedere da soli! E quest’anno sarà per fortuna possibile, siamo quasi vicini alla normalità».

Ci racconta come ha scelto le cinque signore che, serata dopo serata, la accompagnano sul palco?
«Sono tutte attrici. Volevo rendere omaggio al mondo del cinema, del teatro e delle fiction televisive. Volevo che il palco dell’Ariston accendesse la luce su un settore che, come la musica, ha avuto due anni di grandissima difficoltà. Set chiusi, bloccati per settimane, tamponi anche quotidiani a troupe, cast... Insomma, oggi ci gustiamo film, serie e spettacoli a teatro ma non è stato per niente facile neanche per loro».

Ornella Muti?
«Una vera icona, è una delle attrici più rappresentative del nostro cinema».

Lorena Cesarini?
«È una giovane attrice che secondo me farà molta strada. Io l’ho vista in “Suburra”. È bravissima e poi mi ha colpito la sua storia: è una ragazza colta, intelligente e quando l’ho conosciuta sono stato ancora più convinto di avere fatto bene a sceglierla».

Drusilla Foer?
«Drusilla è l’omaggio al teatro, una donna di classe ironica, divertente, di charme e, soprattutto, Drusilla ha fatto e fa tanto teatro».

Maria Chiara Giannetta?
«È la ragazza dei record: “Blanca” è stato un successo pazzesco e ho pensato a lei per il Festival proprio il giorno in cui è venuta a giocare ai “Soliti ignoti” per promuovere la fiction che partiva quella sera. Ho visto una ragazza solare, senza nessun atteggiamento da attrice che pensa di essere arrivata, e questa cosa a pelle mi è piaciuta molto».

Sabrina Ferilli?
«Sabrina è mitica. Al di là della bravissima attrice di cinema, di fiction, di teatro, è una donna di grande intelligenza, ironica, simpatica. E trasversale. Sabrina piace non solo a chi ha la mia età, ma anche ai ragazzi e ai bambini. Mio figlio José per esempio è un grande fan di Sabrina Ferilli».

L’esperienza dei primi due Festival cosa le ha insegnato?
«Che non bisogna mollare, bisogna sempre trovare qualcosa di nuovo».

E in particolare?
«Sono stati Festival molto diversi tra loro e anche da questo punto di vista mi sento fortunato. Quando fai tre edizioni nella “normalità”, bene o male possono sembrare simili».

Di certo i suoi “normali” non si può proprio dire che lo siano stati...
«II primo era quello dei 70 anni di Sanremo. C’era la voglia di festeggiare, di stare tutti insieme, ricordo una città di Sanremo strapiena. Avevamo inventato il palco esterno fuori dal teatro e c’era gente ovunque, davanti e dietro al palco. È un ricordo bellissimo di una normalità che mi auguro si possa ritrovare presto».

Il suo secondo Festival passerà alla storia.
«È vero che verrà ricordato come il Festival della pandemia, delle poltrone vuote, ma è anche quello dei Måneskin e della rivoluzione musicale. La mia idea era: in un Festival di chiusura voglio aprire le porte ancora di più alla musica attuale, quella che i giovani seguono ascoltano, scaricano. E questo mi ha permesso di avere il cast di quest’anno».

Cosa intende?
«La fiducia da parte della discografia e dei cantanti ha fatto sì che abbiano accettato il mio invito Morandi, Ranieri, Elisa, Emma, Moro, Achille Lauro, per dirne solo alcuni. C’è la signora Iva Zanicchi, che è la donna che ha vinto più Festival di Sanremo, e c’è Sangiovanni che ha 19 anni... Questo è Sanremo secondo me, aperto a tutti i generi musicali, perché io parto sempre dalla musica e mai dal nome in gara».

Ormai ci siamo: gli attimi prima di salire sul palco cosa fa?
«Do l’ultima occhiata a mia moglie Giovanna e a mio figlio José che sono seduti in prima fila: ci salutiamo a distanza. E poi mi dico: finalmente tutto il lavoro degli ultimi mesi ha un senso. E si parte. Non ho mai ansia o preoccupazione, sono sereno: faccio quello che ho sempre sognato di fare e lo faccio con gioia. Lo vede? La parola gioia torna sempre».

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