È il quinto Festival consecutivo per il conduttore e direttore artistico: lui lo definisce «una specie di fine anno scolastico»
«Come sto? Nella “centrifuga”, ma bene» ride Amadeus, arrivato al blocco di partenza di questo suo quinto (e ultimo?) Sanremo.
Chiariamolo subito: sarà davvero il suo ultimo Festival da conduttore e direttore artistico?
«Qualsiasi mia risposta ora, per il sì o per il no, sarebbe sbagliata: questa settimana ho bisogno della massima concentrazione sul Festival che stiamo vivendo».
Quindi c’è spazio per eventuali ripensamenti?
«Nella conferenza stampa finale di domenica lo dirò, di certo non la tirerò troppo per le lunghe! (Ride)».
Allora concentriamoci su questo 74° Festival di Sanremo. Una definizione che lo differenzi dai suoi precedenti?
«Ho dato sempre un appellativo ai miei Festival. Il primo è stato “la sorpresa”, il secondo quello “storico” del Covid, il terzo quello della “rinascita” perché tornavamo a un teatro pieno, anche se con le mascherine, l’anno scorso è stato il “Festival della gioia” perché finalmente siamo tornati in modalità normale e questo per me è “la festa”. Una sorta di festa di fine anno scolastico, con trenta cantanti, tanti giovani pieni di energia, gli amici con cui condividere il palco, Fiorello fuori dall’Ariston in una modalità nuova con il suo “glass”. Insomma, per dirla con Jovanotti: “È qui la festa!”».
Numero di caffè consumati in questi giorni?
«Pochi in realtà. Io prendo un cappuccino a colazione, bevo un caffè a metà mattinata e uno dopo pranzo, sono tre al giorno. In questa settimana magari posso prendere un goccetto di caffè anche al pomeriggio perché so che devo fare le tre di notte, ma è un’eccezione».
Numero di ore che dormirà (e che dormiremo) in questa settimana?
«Pochissime (ride). Andrò a letto verso le 4.30 e alle 9 sarò in piedi».
Vede che il caffè serve?
«Ma ci pensa l’adrenalina a tenermi sveglio!».
Cosa le piacerebbe che le persone pensassero dopo i titoli di coda della finale?
«Il primo pensiero è per le canzoni in gara: mi piacerebbe che tutti avessero voglia di ascoltarle e riascoltarle. Che se ne innamorassero, insomma. E poi sarebbe bello che la gente potesse dire: “Beh, abbiamo dormito poco ma… quanto ci siamo divertiti!”. Il divertimento del pubblico in queste cinque sere è l’obiettivo mio, di Fiorello, e di tutti i co-conduttori, i… “co.co” come li chiama lui».
Se si volta indietro quale è stato il momento di cui va più fiero dei suoi Festival precedenti?
«Ovviamente sono affezionato a tutti quanti. Ma mi viene in mente il Festival del 2021, l’anno del Covid, perché non eravamo in tanti a volerlo fare. Io l’ho difeso ad ogni costo perché pensavo che rinunciarvi fosse una macchia di sofferenza per Sanremo, per la musica, per la discografia e per il pubblico a casa. Annullare la cosa televisivamente più aggregante che abbiamo lo ritenevo un danno. Ed essere riusciti a farlo in quella situazione anche di pericolo, perché avevamo paura di essere contagiati, è stato molto difficile ma mi ha dato una enorme soddisfazione».
C’è qualche cosa che, col senno di poi, non avrebbe fatto o magari avrebbe fatto in modo diverso?
«Senza presunzione, non c’è. Quello che è accaduto era giusto che accadesse e se tornassi indietro rifarei le stesse cose. Non ho nessun tipo di pentimento né qualcosa che mi abbia lasciato l’amaro in bocca. Nelle cinque ore di diretta per cinque sere può accadere di tutto. E quello che accade è giusto che accada, fa parte del Festival».
Alla luce dell’esperienza fatta, la preparazione di questo Festival è stata più semplice? Oppure sente il peso della responsabilità degli ascolti straordinari degli anni passati?
«Ogni Festival ha una storia a sé. La semplicità è arrivata dal fatto di poter cominciare a organizzarlo in anticipo. Mentre i primi tre anni mi è stato affidato il Festival ad agosto e cominciare a lavorare a settembre è tardissimo, quando l’amministratore delegato Carlo Fuortes mi ha dato un mandato di due anni mi ha agevolato. E per gli ultimi due Festival ho potuto iniziare a lavorare già ad aprile. Sembra una banalità ma non lo è. Pensate al lavoro sulla scenografia: con più mesi a disposizione io e Gaetano Castelli abbiamo potuto ragionare, provare, modificare. Lo stesso vale per la musica: un conto è cominciare ad ascoltare canzoni a maggio e un conto è cominciare a metà settembre, quando arrivano le proposte dei giovani e dei Big insieme».
L’aspetto più complicato nella preparazione di questo Festival?
«Cercare di alleggerire le cose. Snellire le procedure. Lo show è improvvisazione... soprattutto se lo fai fare a me e a Fiorello (ride). È quello che dico ai cantanti: sentitevi liberi di fare quello che volete. I miei Festival di Sanremo sono psicologicamente e culturalmente liberi».
Di cosa è più orgoglioso quest’anno?
«Delle canzoni in gara, che sono la cosa più importante. E poi sono orgoglioso di condividere l’ultimo Festival interamente con Fiorello. Lui c’è sempre stato, con la sua allegria, la sua energia e la sua imprevedibilità, le sue battute. Mi sento di dire che questi sono stati non i miei ma i nostri Festival».
Oltre alla co-conduzione della serata finale, in questi giorni Fiorello è sempre vicino a lei nel “glass”.
«Dal punto di vista psicologico, saperlo nel “glass” a venti metri dall’Ariston mi tranquillizza ed è una grande innovazione nella storia del Festival: è una vera figata!».
All’Ariston il suo camerino è lo stesso?
«Sì».
Ci sono cose che si porta sempre dietro?
«In realtà non sono uno che si allestisce il camerino, ci sto molto poco dentro. Lo utilizzo solo per cambiarmi. Per il resto sono all’Ariston o in redazione».
Ma qualche oggetto personale ci sarà.
«Qualcosa di nerazzurro c’è sempre (ride). E poi dei cornetti rossi portafortuna, che non guastano mai».
Dall’11 febbraio avrà “solo” “Affari tuoi” tutti i giorni...
«Bello!».
Visti i suoi ritmi degli ultimi anni rischierà di annoiarsi.
«No no, svuoterò la mente. Sanremo ti occupa moltissimo, ci sono mille telefonate, mille richieste, mille problemi da risolvere e tanti inconvenienti che si verificano strada facendo. È una macchina bellissima ma complessa. Bisogna seguire tutto, non ti può sfuggire nulla. Pippo Baudo mi disse: “Al di là della scelta delle canzoni e dello spettacolo che hai costruito intorno, devi conoscere qualsiasi dettaglio del tuo Festival, tutta la macchina alla perfezione, solo così quando sarai sul palco saprai gestire anche gli imprevisti”».
E per svuotare la mente a cosa ha pensato? Lezioni di curling, un corso di ceramica o imparare la lingua giapponese?
«(Ride). No, vorrei dedicarmi ad “Affari tuoi”, il mio programma quotidiano è la mia isola felice. E poi vorrei avere più tempo per me stesso e quindi per la mia famiglia».
È vero che colleziona tutte le copertine di Sorrisi a Sanremo?
«Certo! E anche i poster. Li ho tutti incorniciati e appesi… avrei bisogno di prendermi un bilocale anche solo per questo! Sorrisi è legato alla storia del Festival e vedere la copertina con tutti i cantanti insieme fa sempre un certo effetto».
Torniamo alla prima domanda. Se questo fosse davvero il suo ultimo Festival, cosa le mancherà di più il prossimo anno?
«Mi piace qualunque cosa del Festival, ma io non vivo mai la nostalgia. Quando finisce una cosa è perché sono convinto di finirla, non guardo mai indietro. Pensi che non amo neanche riguardare le fotografie del passato».
Suvvia Amadeus qualcosa le mancherà pure...
«Davvero, sono fatto così. Non ho nostalgia di quello che decido di lasciarmi alle spalle perché me lo godo talmente appieno quando lo vivo, che se una cosa finisce, perché è giusto che finisca, il giorno dopo penso ad altro. Se poi nella vita si dovesse ripresentare l’occasione la respirerò ancora, sennò li ricorderò come i cinque anni artisticamente forse più importanti della mia vita. Perché Sanremo, decisamente, non è una trasmissione come le altre...».