Nel 1987 Vasco Rossi era finalmente giunto al suo apice commerciale dopo i giorni cupi di metà '84, quelli del reclamizzato arresto per droga e del carcere nelle Marche. E ci arrivò per merito di un ottimo disco ("C'è Chi Dice No") che, giusto per citare il suo autore, andò a gonfie vele. Esattamente come il relativo tour che fece incetta di piccoli stadi, arene e palasport.
Il pubblico, non ancora oceanico, aveva incominciato a inquadrarlo come uno dei pochi rocker originali che il nostro Paese poteva offrire al mondo. Un sopravvissuto alle varie correnti musicali (cantautorato, punk, heavy metal, new wave) che avevano scandito il difficile passaggio tra anni '70 e '80. Uno che, in definitiva, aveva sul serio qualcosa da dire.
Nel cuore degli anni 80 Vasco era davvero uno strano animale: un po' Eugenio Finardi, un po' Rino Gaetano, ma allo stesso tempo affascinato dal tiro ritmico dei Frankie Goes To Hollywood (evidentissimo in "Bollicine", uno dei suoi dischi-capolavoro) e dal suo idolo Mick Jagger, un altro che la sapeva lunga su come tenere il palco durante un concerto.
Il suo gruppo (la mitica Steve Rogers Band messa in piedi fin dal 1980 dal produttore Guido Elmi) era a sua volta un'allegra macchina da guerra e le canzoni del futuro Kom vivevano di uno smaccato spirito anni 80 sospeso tra chitarre floydiane (la stessa "C'è Chi Dice No") brividi pop-rock (un titolo tra tutti: "Lunedì" che si permetteva di citare i Boomtown Rats) e ballate da accendino al vento ("Vivere una Favola" e "Ridere di Te").
Un trionfo artistico, insomma. Con un episodio, mai del tutto passato all'onore delle cronache, che ce la dice lunga su quanto Vasco a quei tempi credesse in se stesso e al suo innegabile carisma.
Il 2 ottobre 1987 il rocker di Zocca termina infatti il "C'è Chi Dice No Tour" con una data sold out al Palaeur di Roma: è un venerdì sera. Il giorno dopo Adriano Celentano è atteso al battesimo del fuoco su Rai1 per il debutto televisivo del suo "Fantastico 8". Nessuno ancora lo sa, ma quella del Molleggiato sarà un'edizione che farà storia tra silenzi teatrali, provocazioni situazioniste e polemiche roventi. In pratica l'orologiaio rock nato in via Gluck vorrebbe l'idolo degli emarginati anni 80 come ospite speciale della sua trasmissione.
Vasco è allettato e partecipa alle prove. Canta due canzoni al pomeriggio ("Ridere di Te" e "Blasco Rossi") ma poi - a causa di un'imitazione "sballata" e decisamente sopra le righe di Massimo Boldi - fa marcia indietro e saluta tutti. Lasciando orfano della sua presenza il programma-monarca del sabato sera italiano. Celentano non la prende bene, ma da artista consumato accetta comunque la sua decisione.
Questo in pratica era Vasco nel 1987: un intoccabile. Un idolo delle folle. Uno che poteva realmente dire no a minimo dodici milioni di telespettatori. Ma la vita è strana. Imprevedibile.
Soltanto qualche mese dopo, lo stesso Blasco sarebbe stato al palo, pronto faticosamente a ripartire da zero. Senza la sua band rodata, senza il suo produttore fidato, senza la sua etichetta storica (la Carosello Records) e soprattutto senza certezze per il futuro. Un disastro.
Ragion per cui il signor Rossi si guardò per l'ennesima volta dentro e cominciò seriamente a meditare sul passato. Si tirò su le maniche e, nella prima metà dell'aprile 1989, spedì nei negozi uno dei suoi dischi più intensi, ispirati e venduti di sempre (900mila copie solo quell'anno). Il nono della sua carriera. L'album che, tempo dodici mesi, gli avrebbe aperto i cancelli di San Siro.
Un'opera, gira e rigira, composta da sette hit più un pezzo lasciatogli in eredità dalla Steve Rogers Band. Il titolo? Semplice, due parole appena, perdipiù gemelle: "Liberi Liberi". E da allora nulla sarebbe stato più lo stesso...
Domenica Lunatica
Liberi Liberi appartiene senza dubbio alla sfera di quei bei dischi che si facevano una volta. Canzoni selezionate ad hoc (le session raccontano di 18 brani scesi poi a 8 nella versione finale), durata abbordabile (appena 35 minuti), scaletta studiata a puntino e suoni costosi (si parlò di un investimento di 500 milioni di lire...) modellati su un "mostro" tecnologico chiamato Mitsubishi X-850, un campionatore mica da ridere.
Liberi Liberi, paradossalmente, è un disco molto "cantautorale" esattamente come i primi del Blasco (tipo il debutto del 1978 ...Ma Cosa Vuoi Che Sia Una Canzone... recentemente ristampato), ma trasferito in un'epoca dove a imperare erano le sonorità digitali. Per farvela breve è un album dove non suona un vero e proprio gruppo.
La Steve Rogers Band, inebriata dai sold out collezionati nel 1987, tentò la carta "solista" (nel 1988 pubblicheranno il moscio Alzati La Gonna) e lasciò Vasco privo dei suoi musicisti preferiti, con i due chitarristi Massimo Riva e Maurizio Solieri in cima alla lista dei rimpianti. Solieri, a dircela tutta, in Liberi Liberi c'è in versione virtuale (sua la musica di "Stasera!") e suona pure qualcosina di reale nella titletrack. L'assolo, ad esempio.
Il batterista Daniele Tedeschi (che comunque parteciperà al 'Blasco Tour' del 1989 in compagnia del sassofonista Andrea Innesto) non marca visita mentre il bassista Claudio Golinelli si limita a tessere la ritmica sempre in "Stasera!". Troppo poco. Briciole rispetto alla tenace amalgama dei dischi precedenti.
E poi, last but not least, manca pure Guido Elmi, il produttore-guru di Vasco, con lui fin dai tempi del fondamentale Colpa D'Alfredo.
Le cronache ci dicono che i due provino a collaborare nelle fasi primordiali di Liberi Liberi, tra la primavera e l'estate del 1988, ma gli ego stavolta non si conciliano. Elmi (mancato nell'estate 2017) è abituato bene e vorrebbe costantemente avere l'ultima parola su tutto. Blasco, nel frattempo, è cresciuto e si ribella spesso e volentieri al "padre padrone". A quel punto è perfino scontato che le strade dei due litiganti si dividano. Per poi ritrovarsi qualche anno dopo, quando ci sarà da mettere in cantiere Gli Spari Sopra, ma questa è un'altra storia.
Vasco, di suo, soffre ma non si perde d'animo e questo suo struggimento tra passato e presente sarà uno dei cavalli di battaglia del disco. Si circonda di ottimi turnisti (gli amici fidati Tullio Ferro, Rudy Trevisi e Davide Romani; un Paolo Gianolio non ancora reso celebre da Claudio Baglioni) e con Domenica Lunatica - storia di una love story finita male ed opener fortunatissima dell'LP - mostra immediatamente al suo pubblico questa sua nuova "filosofia dell'essenziale". Un colpo di teatro che si avvinghia in maniera efficace alla base del suo nono album.
Racconta lo stesso rocker in un'intervista dell'epoca: «Se proprio lo vuoi sapere Liberi Liberi è un'opera molto istintiva e poco ragionata. Mi sono preoccupato di curare gli arrangiamenti e le atmosfere in maniera tale che si potessero sentire bene i miei testi. Volevo insomma valorizzare le parole con la musica. Quindi prendilo come un lavoro diretto. Non ho inseguito sonorità strane e ricercate, ma sono andato piuttosto alla ricerca dell'impatto».
Già, le cose stanno esattamente così. Musiche calibrate e strumenti sempre al posto giusto per mettere in risalto liriche che giostrano tra amori finiti (Domenica Lunatica), struggenti nostalgie (Ormai è tardi e la titletrack), tradimenti inaspettati (Vivere senza te), momenti introspettivi (Tango... Della Gelosia e Dillo alla Luna) e banali storie di sesso (Stasera!).
Da questo punto di vista la plettrata di basso che apre la stessa Domenica Lunatica è emblematica. Il minimale che dà il largo alla leggenda. Il piccolo seme che, poco alla volta, genera la quercia.
Ormai è tardi
Ormai è tardi, traccia numero due del disco, anche se poco nota, è una canzone fondamentale di Liberi Liberi.
Anticipa infatti le tematiche della nostalgia e del tempo che scorre inesorabile sulle esistenze collettive che saranno trattate meglio nel corso della famosissima titletrack dell'album.
Le sonorità del brano sono perfino minimali (basso squadrato, synth mai invadente e chitarre arpeggiate che devono molto ai Police di Synchronicity), ma il cantato è decisamente rock, quasi sgradevole, con Vasco che spinge non poco su di un ritornello oltremodo vissuto e sofferto.
Il concetto è lampante: inutile indugiare sul tempo passato anche se la malinconia resta sempre una bella bestia con cui fare i conti giorno dopo giorno. La vita, però, è un viaggio che va condotto esclusivamente in avanti. Altre opzioni non sono ammesse.
Gran bel pezzo, amatissimo dai fan storici, ma forse troppo scomodo per Vasco che lo chiuderà volentieri nel cassetto fin dal tour di supporto a Liberi Liberi.
Poi, nell'estate del 1996, la mano di poker che fa saltare il banco. Ormai è tardi rifiorisce e pompa sangue hard rock nel corso del 'Nessuno Pericolo Per Te Tour'. Una bomba. E dodici anni dopo tornerà in medley per il 'Vasco.08' ribaltando di conseguenza il concetto alla base della canzone. Non è mai troppo tardi...
...Muoviti!
...Muoviti!, assieme al primo singolo Vivere Senza Te (classico hard rock californiano, un po' alla Sammy Hagar) e alla già citata Stasera!, fa parte di quella sezione di anima dura come l'acciaio contenuta in Liberi Liberi.
E senza mancare di rispetto alla versione in studio (che dura 5 minuti scarsi) è la sua sorella live, contenuta nel successivo album dal vivo Fronte del Palco, che lancia definitivamente Blasco nell'empireo degli stadi (a luglio del '90 riempirà per la prima volta San Siro) e nell'immaginario collettivo di chi mastica rock.
Sorella live che dura tre minuti in più per questioni tecniche come racconta lo stesso Rossi: «...Muoviti! è nata così, esattamente come la senti in concerto. Nel mixaggio finale per Liberi Liberi l'ho tagliata perché era troppo lunga». Poco male, dal vivo interviene un certo Andrea Braido, guitar hero funambolico e innamorato pazzo di Hendrix che assumerà un ruolo importantissimo nel futuro di Vasco. E qui la storia merita davvero di essere raccontata.
Braido fu notato per la prima volta dal sassofonista Andrea Innesto in un pub di San Cristoforo al Lago, minuscola frazione in provincia di Trento. Reazione di Cucchia al termine della sua esibizione: «Và che te sei una bestia alla chitarra! Ti andrebbe di suonare per Vasco?». Andrea, orgoglioso della sua bella chance, accetta e al Gran Capo il suo stile sulle sei corde piace non poco. Anche se a volte la "Bestia" si prende troppe libertà nel riarrangiare gli assoli.
Nella primavera del 1989 il 'Blasco Tour' è alle porte e c'è da scegliere gli abiti di scena. Il management di Vasco vorrebbe Braido capellone, con un look da safari e soprattutto senza barba. Andrea cede al fascino della lametta, ma sul suo outfit non transige. Intercetta lo stilista giusto e quest'ultimo lo veste con camicia nera, pantaloni di cuoio neri e spolverino leggero (sempre nero) che sotto i riflettori svolazza alla grande. Ricorda il chitarrista trentino: «Sul palco sembravo Batman e le canzoni, quando era il momento di partire col mio assolo, diventavano immediatamente puro heavy metal». E così sia.
Vasco, in quel 1989, non se n'è ancora accorto del tutto, ma ha appena trovato il suo Ritchie Blackmore. Un man in black che suona con la scioltezza fotonica di un Yngwie Malmsteen. Un musicista impressionante. E ...Muoviti! in versione live è l'apoteosi di tutto ciò. Ascoltatela a tutto volume.
Liberi...Liberi
Liberi Liberi,più di altri dischi di Vasco, è sì un'opera di sonorità tenute a bada, ma il sassofono ha decisamente il suo peso specifico. Sax suonato in studio da Rudy Trevisi e che dal vivo, nel corso dei decenni, si tramuterà in materia rovente grazie all'abilità strumentale di Andrea Innesto detto "Cucchia".
La titletrack, da questo punto di vista, è un capolavoro sia musicale che lirico. Perché unisce il concept floydiano di un pezzo come Time ad una ballata in minore che potrebbe essere uscita dalla penna di Francesco De Gregori, altro caposaldo assoluto per il Blasco.
E poi, curiosamente, anticipa di ben sedici anni un evento allora imprevedibile nel percorso intellettuale del signor Rossi. Il celebre verso cantato migliaia di volte da milioni di spettatori "Son convinto che se/ fosse stato per me/ adesso forse sarei laureato!" diventa finalmente realtà nella primavera del 2005 quando l'Università IULM di Milano decide di concedere al rocker di Zocca la laurea ad honorem in Scienze della Comunicazione. I giornali parlano di una cerimonia in pompa magna con il rettore dell'ateneo Giovanni Pugliesi che si mangia con gli occhi un Blasco bello emozionato.
Insomma, nel 2019 uno come Vasco "letterario" e "comunicatore" lo è anche per meriti accademici acquisiti e non solo perché glielo ripetono in continuazione i suoi fan più devoti e integralisti...
Dillo alla Luna
Dillo alla Luna è il penultimo brano di Liberi Liberi e anche qui il sax è grande protagonista. Il torrenziale assolo conclusivo, se su disco è commovente, dal vivo assume ancora più colore e vibrazioni rock; anche perché, come spiega Vasco, «Cucchia è un sassofonista eccezionale. Lui fa con grande naturalezza cose che sulla carta non sono affatto semplici». Concordiamo.
Il testo di Dillo alla Luna è condotto sui consueti binari della più spietata autoanalisi ed è un dialogo privo di sconti tra l'autore e la sua coscienza. La morale è palese: nella vita è sempre meglio prendere i problemi di petto ed affrontarli a muso duro piuttosto che tergiversare e girarci attorno.
Piùo meno come fece Vasco nel corso dei mesi che portarono alla genesi di Liberi Liberi. Disco anomalo che gli permetterà di uscire per la prima volta nella sua vita dalla comfort zone della "band" per accompagnarsi, via via, ai migliori session men sulla piazza. Probabilmente senza quest'album non avremmo mai avuto nell'evoluzione della combriccola gente del calibro di Alberto Rocchetti, Stef Burns, Vince Pastano, Matt Laug o Frank Nemola, giusto per citarne alcuni.
Liberi Liberi, per concludere, fu essenzialmente questo: il disco dopo il quale è impossibile voltarsi indietro. Perché farebbe troppo male. Perché, una volta che la fase adulta irrompe nelle nostre vite, l'unica cosa da fare è viverla a pieno. Muoverci. E, nella peggiore delle ipotesi, non dare la colpa a noi stessi, ma ad una inevitabile, "maledetta sfortuna".
Alla vigilia dei sei concerti a San Siro, abbiamo incontrato l’artista che, tra una battuta e l’altra, ci racconta come sta vivendo l’inizio di una nuova avventura