Zucchero, il suo grande tour negli Stati Uniti

«Viaggiare per me è un’esigenza dell’anima» racconta da New York il bluesman, che a maggio tornerà in Italia. «Ma continuo a preferire la nostra lingua... e la nostra cucina»

Zucchero negli Stati Uniti  Credit: © Meeno
14 Aprile 2017 alle 11:46

San Diego, Los Angeles, San Francisco, Seattle, Chicago, New York, Atlanta, New Orleans… e potremmo continuare. Zucchero «Sugar» Fornaciari sta girando l’America in lungo e in largo con il suo «Black Cat World Tour 2017», cha ha toccato anche il Canada e andrà in Australia e Giappone prima di tornare in Europa. In Italia lo attendono dieci concerti all’Arena di Verona: dal 1° al 5 maggio e dal 21 al 25 settembre.

«È un tour faticoso, il più lungo che io abbia mai fatto» ci racconta Zucchero al telefono da New York. «È partito a settembre e andrà avanti fino a novembre: quasi 150 concerti. Ma va bene così, mi piace la vita in tour, lo faccio ancora con curiosità e passione. Suonare è il vero lavoro di un musicista, fare i dischi è solo la conseguenza. A un certo punto viaggiare diventa proprio un’esigenza dell’anima. A riposarmi penserò il prossimo anno».

Logisticamente sarà un tour molto complesso.
«Eccome. Siamo una quarantina. Fino a mille chilometri, ovvero l’80 per cento delle date, ci spostiamo viaggiando di notte con gli “sleeping bus”, che hanno tutte le comodità (ognuno di noi ha la sua camera, la doccia, la tv) ma restano pur sempre dei bus. Ci sentiamo un po’ come negli Anni 70: attraversi le frontiere, assapori i paesaggi, vivi intensamente anche il viaggio, non solo il concerto. Ho ancora la curiosità di vedere il mondo, mi dà ispirazione. Il mio ultimo album “Black Cat” l’ho concepito proprio dopo l’ultimo tour americano, che mi aveva portato in posti incredibili del sud degli Stati Uniti, luoghi che non avrei mai potuto visitare da turista».
Negli Stati Uniti canta in inglese o in italiano?
«Per il 90% in italiano. Lo faccio per essere fedele all’originale. D’altra parte per noi è lo stesso, abbiamo sempre ascoltato le canzoni americane comprendendo poco o nulla. Alla fine è la musica che parla, è quello che ti trasmette. Un tempo i manager mi dicevano che se volevo sfondare in America dovevo cantare in inglese, in Sudamerica in spagnolo. Io ci provavo, ma era impossibile tradurre le mie canzoni, piene di doppi sensi e modi di dire “di strada”. Sembrava che parlassi degli Ufo! Fu Miles Davis il primo a dirmi: “Devi cantare in italiano”. Aveva ragione. Gli americani amano sentir cantare in un’altra lingua».
Quanto era lontana l’America da Roncocesi, la frazione di Reggio Emilia dove è nato e cresciuto?
«Da bambino avevo l’immagine del Far West. Poi crescendo mi sono innamorato del sud degli Stati Uniti. Mi affascinavano le storie delle piantagioni di cotone del Mississippi e del Tennessee, dove è nato il blues, la musica che amo. Quando arrivai la prima volta nel Sud mi sembrava di esserci già stato, vedevo le paludi e la gente che lavorava la terra: mi sembrava di essere in una Brescello cento volte più grande!».
Da buongustaio emiliano, che rapporto ha con il cibo americano?
«Terribile. Lo trovo pericoloso, è tutto gonfiato. Mi piacciono le “buffalo wing” (ali di pollo, ndr) e c’è qualche buona bistecca, ma non molto altro. Usiamo un servizio di ristorazione italiano che ci raggiunge a ogni data. Sono di Frosinone, molto bravi».
La prima cosa che ha visto da turista negli Usa?
«All’inizio non ci venivo mai da turista, ma a cantare o a registrare. La prima volta a New York fu nel 1987 per conoscere il manager di Joe Cocker, con cui dovevo fare un tour. La seconda quando registrai “Dune mosse” con Miles Davis. L’impatto fu impressionante. Mi sentivo piccolo, sopraffatto dai grattacieli, non ero a mio agio. Poi nel Greenwich Village e a Soho respirai un’altra aria. C’erano un sacco di artisti, Sting abitava lì, incontravi musicisti in tutti i ristoranti. Era la dimensione che mi piaceva. Da un po’ di anni, quando finisco un tour, mi trattengo in America, mi prendo dei giorni per “decantare”. Stavolta credo che esplorerò il New Mexico».

E ora la sua discografia arriva in edicola

Dall’11 aprile in edicola con Sorrisi trovate l’imperdibile collana dedicata al bluesman emiliano: di settimana in settimana, tutti gli album da studio di Zucchero, i video, le migliori collaborazioni, il tutto arricchito da libretti pieni di foto e un’intervista inedita in cui Zucchero racconta la storia di ogni album. Si comincia con «Black cat», il suo ultimo album, già doppio Disco di platino, disponibile in versione deluxe a 9,99 euro (rivista esclusa). Tra le uscite successive, dischi-capolavoro come «Oro, incenso & birra», «Blue’s» e «Miserere», oltre al dvd con tutti i suoi video più belli e il concerto al Cremlino.

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