Alberto Angela: «Per i miei 60 anni ho ripreso a viaggiare»

Ci racconta una vita in giro per il mondo e svela la nuova edizione di "Ulisse" che parte parlando del Titanic

8 Aprile 2022 alle 08:00

«Una volta ho preso un mappamondo e ho provato a mettere uno spillo su ogni Paese dove sono stato: sembrava un porcospino... Morale, ho rinunciato a contarli». Alberto Angela gira il mondo dal giorno in cui è nato: «A Parigi, perché papà Piero era corrispondente del telegiornale. Poi ci siamo trasferiti in Belgio, il primo posto di cui ho qualche ricordo». E da allora non si è più fermato, se non per il Covid: «La cosa meravigliosa di questa nuova edizione di “Ulisse” è che siamo tornati a viaggiare. Mi mancava troppo». E ora che un grande compleanno si avvicina (l’8 aprile Angela compie 60 anni), noi di Sorrisi lo festeggiamo facendo un bilancio di questa vita da giramondo. Ma prima...

Alberto, andiamo con ordine: dove è stato per realizzare le nuove puntate di “Ulisse”?
«Per parlare del Titanic siamo arrivati fino in Groenlandia, nella baia di Disko, dove si staccò l’iceberg che causò la tragedia. Sono posti così remoti che nell’ultimo paese attraversato ho visto un cartello stradale che diceva: divieto di passaggio per le slitte trainate dai cani! Poi sono stato nel sud della Francia, sulle tracce dell’Uomo di Neanderthal, per indagare su uno dei più affascinanti “cold case” della storia: la sua improvvisa scomparsa. E ancora in Sardegna, in Puglia, a Parigi, Londra e Belfast».

Oggi i viaggi sono cambiati?
«Sì. Il mondo è diventato più piccolo. Ricordo che a 15 anni ero andato sull’Himalaya con la famiglia. Ci volevano tre giorni solo per arrivare. Oggi ne basta uno. E magari quando sei lì trovi un souvenir fabbricato in Cina».

Cosa le rimane di tanti viaggi?
«Soprattutto foto. Le faccio per fermare il momento, quindi sono diventato velocissimo, tipo pistolero: il cervello vede una situazione irripetibile e scatta. Il problema è che ne ho migliaia e non le ho mai messe in ordine».

Il periodo più bello?
«L’età dell’oro è stato il periodo tra la caduta del Muro di Berlino e l’11 settembre. All’improvviso non c’erano più la Guerra fredda né blocchi contrapposti. Non c’erano più nemici. E ho visto luoghi che oggi non potrei mai più filmare. Come il Norad, una gigantesca base militare sotto una montagna in Colorado, dove si tiene sotto controllo qualsiasi cosa voli nell’atmosfera».

Oggi invece la Guerra fredda è tornata. E anche quella calda...
«In realtà quello che è anomalo sono, se si esclude il drammatico conflitto nella ex Jugoslavia, gli 80 anni di pace di cui ha goduto l’Europa. La regola della Storia è: se dimentichi quello che hai conquistato, lo perderai. Per questo con “Ulisse” sono voluto andare anche ad Auschwitz. Il mostro della guerra è sempre pronto a risvegliarsi. Ma in quegli anni si era addormentato e mi ha permesso di varcare ogni confine per scoprire che gli uomini, al di là delle barriere, si assomigliano tutti».

Il viaggio più bello?
«Forse quello del 1982, nel deserto del Sahara. Sembrava di essere nel film “Dune”: solo sabbia per centinaia di chilometri. Eppure il Sahara è appena a quattro ore di aereo. Amo il deserto per i suoi silenzi. È come un amico che ti accoglie, ti racconta la sua vita e il suo passato: trovi graffiti con piante e rinoceronti, capisci che ha avuto una gioventù agitata...».

Il viaggio più lungo?
«Prima di lavorare in tv ho fatto scavi per dieci anni, come paleontologo. E i viaggi duravano mesi. Ne ricordo uno nella savana tra Congo e Tanzania. Lì tutto morde, taglia o punge. Ho trovato serpenti e scorpioni dentro la tenda, ho visto passare ippopotami e leoni. Sono luoghi dove rischi davvero di essere mangiato! Io non sono imprudente, però mi piace quella tensione data dal rischio. È il “solletichio” dell’avventura... E la cosa più inutile là è l’orologio: il sole nasce e tramonta sempre alle stesse ore e persino le belve sono abitudinarie. Ti regoli sul canto degli uccelli».

Il viaggio più pericoloso?
«Una volta, in Niger, sono stato rapito. Un’altra volta, in Etiopia, mi sono ritrovato in mezzo a uno scontro a fuoco tra due gruppi di diversa etnia. Ma per fortuna sono qua».

Il viaggio più strano?
«In Antartide, dove sono stato un mese per “Superquark”. Cammini sopra due chilometri di ghiaccio, l’aria è rarefatta come se fossi a 3 mila metri d’altitudine. Capisci come sarà vivere su Marte: dentro la base puoi startene anche in maglietta, è calduccio, confortevole. Fuori, puoi morire in due minuti».

E adesso dove le piace viaggiare?
«Adesso amo muovermi... vicino a casa. La serie delle “Meraviglie” è nata così. Dopo aver viaggiato tanto ho capito che la massima varietà e i posti più belli li trovi in Italia. Siamo noi gli unici a non accorgercene, perché ci siamo abituati».

Un viaggio che non ha mai fatto e vorrebbe fare?
«Mi piacerebbe andare nello spazio. Chi è stato lassù mi dice che ti fa capire quanto è delicato e fragile il mondo».

Anche i suoi programmi viaggiano. Le “Meraviglie” sono arrivate in 40 Paesi...
«Fa piacere. Una volta ero a Cuzco, in Perù, e si sono avvicinate due signore dicendo: “La vediamo sempre in tv”. Ero tutto orgoglioso, ma poi mi hanno spiegato che lavoravano in Italia. Che dite, vale lo stesso (ride)?».

E ora ci consiglia dove andare?
«Consiglio una “mattata” che facevo da ragazzo ai tempi dell’Interrail (biglietto ferroviario che permette ai giovani di viaggiare in tutta Europa, ndr): andare in stazione, guardare il tabellone e decidere solo in quel momento dove andare. E continuare così per una settimana. Credetemi, dà un senso di libertà impagabile».

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