«È stato un Festival storico, visto il momento difficile. E sono felice di aver dato spazio a tanti giovani cantanti» dice il conduttore

Buongiorno Amadeus, prima di tutto: dove sei in questo momento?
«Sono nel camerino dei “Soliti ignoti”, oggi registro due puntate».
Sono le 2 del pomeriggio, hai mangiato?
«Ho mangiato un riso in bianco, una delle mie specialità... (ride). Il problema è che sono a Roma da solo, la famiglia è a Milano, io non so cucinare e devo dirti che nemmeno mi piace, non sono mai stato capace. Quando sono da solo a Roma devo ricorrere alle rosticcerie, visto che sono chiusi i ristoranti. Al massimo prendo una bresaola e via. Poi nel weekend vado a casa e mi rifaccio…».
Dunque ti sei ormai ripreso dalle notti in bianco di Sanremo.
«Macché. Sono ancora in arretrato di sonno, appena mi siedo mi addormento. La prima settimana ho tenuto botta, ho lavorato subito il lunedì successivo… Adesso dormirei sempre».
Beh, un po’ te la sei voluta: cinque sere di Festival fino alle 2 e mezzo di notte… Era proprio necessario fare un programma tanto lungo?
«L’ho fatto per dare spazio alla musica, per aiutare un settore fermo, ho ascoltato le richieste di aiuto. Poi non c’è più il Dopofestival, in termini pubblicitari le aziende preferiscono investire all’una e mezzo di notte sul Festival piuttosto che su un altro programma. Ho usato il tempo del Dopofestival per dare più spazio alla musica».
Che poi la gente stava lo stesso davanti alla tv: dalle 2 alle 2 e mezzo della serata finale c’erano 5 milioni di telespettatori, praticamente come durante una puntata dei “Soliti ignoti”.
«Sì, 74% di share e oltre 5 milioni, pazzesco».
Ci sono state alcune critiche. E tu e Fiorello ci siete rimasti male.
«Le critiche fanno parte del nostro mestiere, siamo fortunati a farlo e fa parte del gioco. Abbiamo lavorato con difficoltà a un Festival storico, questo è stato compreso da molti ma non da tutti. Il contesto era importante nella valutazione totale della kermesse».
La mancanza del pubblico dell’Ariston, un pubblico tradizionalmente caldissimo, si è sentita anche da casa. Voi sul palco come ne siete stati condizionati?
«Ce ne siamo resi conto quando l’abbiamo vissuto veramente, è facile dire che ti immagini che il pubblico è a casa che ci guarda… ma a me e a Fiorello ha aiutato l’esperienza della radio, dove il pubblico te lo devi immaginare. Ma durante le serate in teatro c’era meno gente che alle prove! Lì almeno tra discografici e addetti vari in teatro c’erano almeno 50, 60 persone. Un giorno gli abbiamo chiesto: perché non rimanete anche stasera? Quando siamo entrati per la prima volta in scena mi sono guardato attorno… L’impatto è stato duro. Mi sono detto: come facciamo per cinque sere? Poi vai avanti, e devo dire che a trascinare Fiorello e me è stata anche e soprattutto la nostra grande amicizia, il nostro affiatamento che dura da 35 anni».
In particolare le critiche si basavano sul confronto con gli ascolti dell’anno scorso.
«Gli ascolti vanno pesati e contestualizzati, quest’anno il Festival è andato in onda in un mese differente e nel pieno di una pandemia, senza ospiti stranieri, senza palco esterno, senza pubblico. Sanremo è un grande evento e quest’anno ha rappresentato qualcosa di diverso. Sono sinceramente contento di questi risultati davvero superiori alle mie aspettative».
In pratica ti sei messo nei guai da solo: l’anno scorso dovevi fare un Festival più brutto…
«Eh, ad averlo saputo… (ride). Ero consapevole che forse anche in una situazione di normalità non avremmo superato gli ascolti dell’anno scorso, anche se ci avremmo provato. Ma in questa situazione era proprio impossibile. In un momento di pandemia il pubblico magari non ha voglia di partecipare a una festa. Gli obiettivi non erano quelli di fare mezzo punto di share in più, ma di dare forza alla musica, un settore in difficoltà. Poi offrire al pubblico cinque serate di intrattenimento. E anche dare alla Rai un introito pubblicitario importante: tutti obiettivi raggiunti».
Di solito Sanremo parte con ascolti alti, poi sera dopo sera scende. Invece quest’anno dopo la seconda serata c’è stata sempre più gente davanti alla tv. Come te lo spieghi?
«Col passaparola: chi l’aveva visto ha capito che il clima c’era, le canzoni erano più conosciute, i ragazzi hanno trascinato i genitori. È stata impressionante la quantità di giovani, un pubblico nuovo anche rispetto all’anno scorso. La gente ha ritrovato la voglia di normalità nonostante fosse un Sanremo “svuotato”: niente pubblico in sala, niente resse fuori dall’Ariston, una città deserta attorno a noi, nessuna trasmissione televisiva ad affiancarci. Per me è stato una sorta di miracolo. E il pubblico lo ha capito, sapessi quanti mi fermano per strada e mi ringraziano».
In effetti parliamo di ascolti clamorosi, sempre superiori ai 10 milioni. Altra questione: c’è chi ha detto che c’erano pochi cantanti conosciuti e mancavano i “classici”.
«Per me era importante che Sanremo rispecchiasse la realtà discografica. In passato c’erano due o tre canzoni forti, ma dopo poco sparivano anche dalle radio. Questa per me non è la missione del Festival. A me arrivano 300 brani da chiunque, dal giovanissimo al cantante dal nome importante. Io non decido prima, scelgo le canzoni che possono entrare in classifica e scelgo a prescindere dal cognome. Pensa a Diodato lo scorso anno, o ai Måneskin, a Colapesce Dimartino: la canzone per me vince sul cognome».
Capisco, ma qualche nome famoso in più…
«Da quando sono ragazzo sento dire che Sanremo va svecchiato. A parole è facile, quando poi però uno lo fa…».
Risultato: le classifiche di streaming e le programmazioni delle radio sono invase dalle canzoni di Sanremo di quest’anno. Altra questione, Zlatan Ibrahimovic: qualcuno non ha capito la tua scelta di averlo tutte le sere.
«L’idea di avere Zlatan è nata quasi per caso, lo scorso anno c’era in platea Cristiano Ronaldo e volevo qualcosa di forte, di non scontato: avere Ibra una volta sola sarebbe stato banale. Lui è una persona eccezionale, si è divertito, ha dimostrato quanto ci tenesse la sera che è rimasto bloccato nell’ingorgo in autostrada ed è saltato su una moto di uno sconosciuto per arrivare in tempo. Quando è arrivato, dopo 70 chilometri solo con un giubbino addosso, tremava dal freddo: se ci fosse stato il pubblico all’Ariston pensa che casino, sarebbe esploso il teatro!».
È vero che vorresti fare un “Sanremo Estate”?
«Mi piacerebbe riportare i cantanti a Sanremo, fare una festa all’aperto. Spero che ci siano le condizioni per farlo».
Quanto ha inciso su di voi il continuo fare tamponi, seguire i protocolli, non avere gente non solo in platea, ma nemmeno dietro al palco?
«Molto sul clima generale, di solito dietro al palco c’è un’aria di festa. Le difficoltà erano continue. La prima sera ho avuto un problema per il bacio sulla fronte che mi ha dato Fiorello col rossetto. Non volevano fare entrare la truccatrice per toglierlo. Allora ho detto: va bene, vorrà dire che starò col rossetto tutta la sera… Comunque ci siamo piano piano abituati, non credo che si sia avvertito il problema essendo tutti tamponati».
A parte i fiori portati sul carrello la prima sera…
«Dopo la prima sera abbiamo detto: “Il carrello no, basta, non possiamo avere sempre comportamenti anomali”. Ma se pensi alle centinaia di persone che girano attorno al Festival si può dire che il protocollo ha funzionato, solo un paio di positivi e nessuno che è stato male. Un altro miracolo, reso possibile dall’attenzione di tutti».
È proprio escluso che tu e Fiorello facciate un altro Sanremo l’anno prossimo? Non ci vuoi pensare su?
«È escluso il terzo di seguito, il Festival non è una routine. Mi piacerebbe rifarlo con Fiorello, ma non uno… a metà come quest’anno. Vorrei un Festival libero da tutti i problemi, anzi vorrei aggiungere più pubblico possibile in teatro».
Ultimissima cosa che non c’entra niente: non è che la tua attuale stanchezza è dovuta anche alla tua (e mia…) amata Inter?
«Forse sì, perché io seguo tutte le partite dell’Inter in piedi, non mi siedo mai, mi agito più di Conte, l’allenatore. E soffro così tanto che poi mi rivedo la partita con calma, seduto sul divano, perché in diretta ci ho capito poco a causa dello stress».
Bene, instancabile Ama, ti lascio andare a lavorare. Grazie per tutto l’aiuto che hai dato a Sorrisi durante i tuoi due Festival.
«Grazie a te e a Sorrisi, dai giornalisti ai lettori. Quei giornali io li conservo gelosamente, per me appartengono alla storia».
Ah, dimenticavo: mangia qualcosa, altrimenti come ci arrivi a sera solo con un riso in bianco?
«Ma sì. Una bresaola, magari».