Biagio Izzo: «La vita a volte sembra proprio una barzelletta»

L’attore comico in onda ogni sabato su Canale 5 con "La sai l’ultima?" racconta i segreti per far ridere in ogni situazione

Biagio Izzo
30 Luglio 2020 alle 10:47

L'estate di Biagio Izzo si divide fra la televisione e il teatro. Dopo aver partecipato fino alla scorsa settimana all’ultima edizione di “Made in Sud” («Senza pubblico è stato molto complicato, ma è andata benissimo»), Biagio continuerà ad apparire tutta l’estate su Canale 5 con “La sai l’ultima?” (sono le repliche della “Digital Edition” del 2019). Presentato scherzosamente da Ezio Greggio come «il napoletano più amato d’Italia», Biagio ha il ruolo di caposquadra di un team di cinque barzellettieri che si sfidano a suon di applausi. Fuori dal teleschermo, invece, l’attore in questi giorni è occupato con le prove di “Un angelo per custode”, lo spettacolo teatrale con cui debutterà il 5 agosto all’Arena Flegrea di Napoli e che porterà in tournée in varie piazze e arene all’aperto. La trama? «Sono un uomo talmente pessimo che per punizione il mio angelo custode mi farà continuare a vivere». Ma com’è veramente Biagio Izzo? Ecco come si racconta, con le sue parole.

Due nomi, un destino
«Ormai da vent’anni sono Biagio per tutti, ma da bambino mia nonna mi chiamava Bibì e pure i miei amici mi chiamavano “Bibì-into-bosco” perché abitavo a Portici in via Bosco Catena, c’era anche un bosco lì vicino. Da ragazzo facevo teatro amatoriale con un amico, Ciro Maggio; un giorno mio cognato, Peppino Attanasio, che cantava, mi disse che c’era l’occasione di recitare. Andammo e il presentatore ci chiese i nostri nomi, “Biagio e Ciro”, dicemmo, e lui invece ci presentò come “Bibì e Cocò”. Senza sapere nulla di me mi chiamò Bibì. Continuai come Bibì per molti anni. E andò bene».

Scaramanzie
«Sono un tipo scaramantico. Ho due riti imprescindibili. A teatro, prima di entrare in scena, guardo sempre la graticcia, ossia le travi di legno del soffitto, e mi faccio il segno della croce. Dove non c’è graticcia cerco sempre qualcosa che ricordi delle strisce parallele, un ring, un’inferriata. E poi ho il mio personale rito calcistico: il giorno che gioca il Napoli, la mattina quando mi sveglio, devo scendere a terra con il piede sinistro. Siccome dormo sul lato destro del letto, mi devo girare a pancia in giù, poggiare le mani per sollevarmi e quindi scendere con il piede giusto. Capita spesso che, se mi sveglio “stonato” perché la sera ho fatto tardi, mi ritrovo per terra».

Il segreto della comicità
«La cosa che mi ha divertito di più l’anno scorso a “La sai l’ultima?” non è stata una barzelletta. Bensì Nino Formicola, che tutti conoscono come Gaspare e che nello show fa il notaio. Una sera eravamo tutti pronti per iniziare, lui fa per uscire da dietro le quinte e inciampa. Una caduta a pancia a terra colossale, pum pum pum, noi stavamo morendo dalle risate con le lacrime agli occhi e lui si alza come se niente fosse. Per fortuna si era fatto solo una piccola escoriazione. Ecco, l’umorismo è anche questo, la comicità nasce da una brutta figura che si trasforma in una risata».

La barzelletta perfetta
«Nel raccontare le barzellette io credo che ognuno abbia una sua regola. Io, essendo un attore comico, interpreto le barzellette. Interpreto una situazione. Ho infatti detto ai concorrenti della mia squadra che raccontare una barzelletta significa raccontare la scena, il luogo dove si svolge, metterci dei dettagli magari insulsi che però fanno ridere. Creare l’atmosfera. E poi tenere conto dei tempi: nel dire le battute la barzelletta passa da zero a cento o viceversa in un attimo. Bisogna saper cogliere il tempo giusto».

L’improvvisazione
«Lavoravo a “Buona Domenica” con Maurizio Costanzo, ma ero partito per l’India per girare il film “Natale in India”. E Costanzo mi chiamava in continuazione e mi diceva: “Devi tornare!”. E io gli rispondevo: “Sto in India!”. Era pazzesco, mi chiedeva di tornare come fossi lì dietro e io: “Non posso, sto girando il film!”. Costanzo parla poco, ma con precisione. Nel suo camerino, prima dell’inizio del “Costanzo Show”, gli raccontavi il pezzo che avresti fatto in scena e poi lui diceva: “Stai attento che ti chiedo all’improvviso qualcosa e devi esser pronto”. Gli piaceva metterti in difficoltà e tirarti fuori delle cose. Dovevi saper improvvisare».

L’istinto prima di tutto
«Vincenzo Salemme stava preparando il film “L’amico del cuore”, mentre io stavo facendo le prove in teatro di uno spettacolo. Salemme mi vide, si fermò a guardare e scrisse per me il personaggio del tassinaro. Il primo giorno dovevo girare la prima scena, mi presentai con la parte imparata a memoria e non gli andava bene. Provai dalle 9 del mattino fino all’ora di pranzo, non riuscivo ad accontentarlo. Salemme mi diceva che dovevo andare sull’istinto. Dopo la pausa mi liberai e il mio tassinaro è diventato un cult».

La paura del set
«Non ho paura di stare in scena. Tranne quella volta sul set del film “Io & Marilyn” di Leonardo Pieraccioni. Lì ho lavorato con una tigre vera. Mi dicevano che era solo un gattino “esagerato”. Io interpretavo un domatore di circo, avevo una frusta in mano e gridavo. Indossavo un accappatoio con una cintura che penzolava e, a un tratto, la tigre che era a un passo da me ha alzato la zampa per prendere la cintura e mi ha sfiorato il piede. Mi ha mancato per tre centimetri! Che paura!».

Lo sport
«Non faccio nulla, qualche addominale, un po’ di mantenimento. Da giovane giocavo a calcetto, ma non ce la faccio più, e comunque ero una “chiavica” anche allora. I miei amici dicevano: “Eh mo’ chi se lo prende in squadra?”. Quando ho partecipato al programma di Carlo Conti “Si può fare!” su Raiuno il massimo che ho fatto è stato andare su una mountain bike senza sellino, mentre fra gli altri concorrenti anche più atletici uno si ruppe una spalla, qualcun altro finì all’ospedale. Io ero quello che non sapeva fare nulla e ho vinto. Forse, come disse Pippo Baudo, ha vinto la simpatia».

Il giardinaggio
«Amo la natura, mi rilassa.Passo molto tempo in giardino. Parlo con le piante, quando ne arriva una nuova le do il benvenuto, le faccio fare amicizia con le altre e quando una pianta muore sono triste».

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