È trascorso un anno dalla scomparsa di Frizzi, grande amico di Sorrisi. E noi lo ricordiamo così
Caro Fabrizio,
è così che si comincia una lettera, un messaggio, una telefonata. Ed è così che vorrei cominciare questa chiacchierata con te. Sì. Perché tu sei ancora qui. Nei pensieri e nel cuore di tutti noi. Anche solo perché quando partono le note della sigla de “L’eredità” tutti i giorni alle sette di sera, la prima immagine che attraversa la mente è quella del tuo faccione sorridente che saluta il pubblico a casa.
È passato un anno da quando te ne sei andato. Trecentosessantacinque giorni. O giù di lì. Trecentosessantacinque giorni e non ce n’è stato uno nel quale il mio pensiero non sia venuto a trovarti. Ovunque tu sia. Il tempo aiuta ad alleviare il dolore, dicono. È vero, in fondo. Le lacrime si sono asciugate e sono successe anche cose belle da allora.
Lo sai che gli studi Dear ora portano il tuo nome? Sono diventati gli “Studi Fabrizio Frizzi”. È casa tua. È casa nostra. E tutte le volte che passo davanti a quel cartello col tuo nome, sento un tuffo al cuore e subito si accende un sorriso. Già. Il sorriso. È su quello che mi vorrei concentrare. Il giorno della tua scomparsa ti ho scritto una lettera di saluto su Sorrisi. Cominciava così: «“Gli sorridono gli occhi” si dice. No. A Fabrizio Frizzi sorrideva il cuore. Perché quell’attitudine di amore per la vita e per chi gli stava accanto partiva da lì. Dal cuore».
Dentro alle tue risate così vere c’era un mondo intero. Il tuo mondo. Che negli anni hai fatto conoscere e amare a tutti noi. Il 26 marzo del 2018 poco prima dell’alba quel mondo si è fermato per una emorragia cerebrale. Ricordo la corsa all’Ospedale Sant’Andrea e il piazzale che si riempiva poco a poco. Giornalisti, troupe televisive. Ma anche tanta gente comune. Quella stessa gente che il giorno dopo si è messa in fila per ore per regalarti l’ultimo saluto nella camera ardente allestita a viale Mazzini. Ricordo il silenzio innaturale, il senso di sospensione il giorno dei tuoi funerali in una piazza del Popolo gremita di gente. Ero lì anch’io. Durante la cerimonia nessuno parlava. Solo qualche soffiata di naso di tanto in tanto ad asciugare la commozione. Alla fine è esploso un applauso interminabile, che ti ha accompagnato finché non sei uscito dalla piazza per andare a raggiungere mamma Laura e papà Fulvio nella tomba di famiglia.
Quanto amore per te Fabrizio! Don Walter, il cappellano della Rai che ha officiato i funerali ha parlato della tua generosità. «Fabrizio si sentiva fortunato» ha detto «e voleva mettersi al servizio degli altri. E ora sta raccogliendo quello che ha seminato». Hai seminato tanto pure nella nostra amicizia: tanto divertimento e tante risate. Era un rito ormai: le nostre interviste terminavano con un brindisi fatto con delle centrifughe colorate. Ci mettevamo dentro di tutto: carote, sedano, finocchi, arancia, mela, zenzero… e poi facevamo a gara a chi avesse composto quella più buona e dal colore più bello. Lo sai che adesso va di moda metterci anche la curcuma? Non abbiamo fatto in tempo a sperimentarla insieme. Ma te lo dico io: erano più buone le nostre… Quanto abbiamo scherzato sulle zeta che ci sono nei nostri nomi e cognomi! E negli ultimi messaggi che ci siamo scambiati ricordo che tutte le zeta le infilavo nelle mille volte che ti ho scritto «Forzzzzzzzzza!!!!».
Lo sapevo che stavi lottando come un leone contro la malattia. Per la nostra ultima intervista per la copertina di Sorrisi, in occasione dei tuoi 60 anni, sono venuta a trovarti durante le registrazioni de “L’eredità”. «Bisogna essere forti, e io lo sono» mi hai detto. «Combatto con l’entusiasmo e l’energia che ho sempre avuto nell’affrontare le cose della vita. E ora lo faccio per la mia famiglia, per la mia bambina, perché queste sono le cose che poi aiutano a vincere le battaglie importanti». Purtroppo quella battaglia non sei riuscito a vincerla, mio caro amico. Ma mi piace ricordare cosa mi hai detto in quella occasione «Sono felice della vita che ho vissuto. Mi sono impegnato tanto, ho vissuto intensamente: solo in questo periodo mi sono preso un po’ di riposo. Anche se ne avrei fatto a meno...» e sei scoppiato a ridere.
Il sorriso: la meravigliosa costante della tua vita. Di cose belle, dicevo, da quando te ne sei andato ne sono successe, Fabrizio. L’amore che hai seminato nei tuoi soli 60 anni di vita è cresciuto e ha abbracciato te e le tue adorate Carlotta e Stella. Tua moglie e tua figlia, il tuo tesoro più prezioso. «Le cose più importanti sono quelle della vita privata» hai detto in quella nostra intervista. «E io mi sono sposato, ho avuto Stella, una figlia meravigliosa che, sembra una frase fatta ma è proprio così, è la gioia dei miei occhi perché il tempo che passo con lei è oro puro. Sono già felice così e grato alla vita per quello che mi ha dato».
Spero che Stella crescendo possa riguardare cosa “ha mosso” suo padre nella vita e poi quando se n’è andato. E che tutto questo amore che ha scatenato le faccia capire che suo padre era un uomo semplice eppure speciale. Era un uomo perbene. Era uno di noi. Ciao Fabrizio.