Si chiama Daniele, ma per tutti è Lele: è passato alla Rai, spopola a "90° Minuto" e si prepara al Mondiale del 2022

Il suo modo di raccontare il calcio è sanguigno, diretto, implacabile: parole che arrivano allo stomaco del tifoso per fargli vivere al 100% le emozioni di una partita. Daniele Adani, ma per tutti è solo Lele, è uno che di pallone vive, 24 ore su 24. Da sempre. Oggi, a 10 anni dall’addio al campo e dopo una carriera da commentatore a Sky, è il volto nuovo del calcio alla Rai: è ospite fisso a “90° minuto” e nel prepartita delle gare della Nazionale.
Racconta Lele: «La scorsa estate stavo scendendo le scale dello stadio di Wembley dopo la semifinale degli Europei Danimarca-Inghilterra. Avevo appena annunciato il mio addio a Sky e mi arrivò il messaggio di Giulio Delfino di Rai Sport, spalla del direttore Auro Bulbarelli. Mi stava già chiedendo di entrare nella squadra della Rai».
Insomma il “calciomercato” per accaparrarsi Adani era iniziato…
«Eh sì (ride). Poi ci è voluto un mese e mezzo per mettersi d’accordo, ma alla fine Giulio e Auro hanno toccato le giuste corde. C’è stato rispetto, delicatezza e stima nei miei confronti».
E così il 26 settembre ha debuttato a “90° minuto”. Com’è stato?
«Guardi, quando ho sentito la sigla e ho visto il logo del programma mi sono emozionato. Mi ha fatto ricordare di quando da bambino passavo la domenica pomeriggio ad aspettarlo. È stato bello».
La vediamo in studio, ma ha fatto anche la telecronaca della finale di Nations League Spagna-Francia e di Irlanda del Nord-Italia, dove l’Italia ha fallito (per ora...) la qualificazione al Mondiale in Qatar. Quanto le piace andare allo stadio?
«Tanto. Ammetto che fare quella parte del mio lavoro tutte le settimane mi manca. Ma tra un annetto c’è un grande appuntamento...».
Il Mondiale in Qatar del 2022 sarà trasmesso proprio dalla Rai.
«Esatto. E io credo che il Mondiale sia il massimo per una voce tecnica. Commentare la più importante competizione calcistica internazionale, in chiaro, è una possibilità straordinaria. È stata la carta vincente che alla fine mi ha fatto scegliere l’offerta della Rai rispetto a quelle degli altri».
Lei è sempre informatissimo: anche sul più sconosciuto dei giocatori sa sempre qualcosa.
«Studio, studio tanto. A volte guardo anche due partite alla volta: una sul televisore e una sul tablet. Poi ci sono tante letture e le analisi video degli incontri. Voglio essere informato su qualsiasi cosa. Qualcuno è convinto che sia sufficiente essere stato un calciatore per poter parlare di pallone in tv. Invece è sbagliato: se non ti prepari bene, il pubblico se ne accorge. E infatti molte volte ne sanno di più le persone a casa che i cosiddetti esperti».
Ci faccia un esempio.
«Se la Juve prende un giocatore brasiliano dal Santos, come è successo l’estate scorsa con il giovane Kaio Jorge, devi sapere esattamente chi è e come gioca. Altrimenti la prima volta che va in campo fai una figuraccia e perdi credibilità».
Cita il Brasile, anche perché il calcio sudamericano è una sua passione.
«Tutto merito di un mio ex compagno all’Inter, Matías Almeyda, che mi fece innamorare del calcio argentino. Se faccio tv lo devo a lui».
Racconti.
«Quando Almeyda tornò in Argentina, al River Plate, guardavo sempre le sue partite e quelle del campionato argentino. Le trasmetteva Sportitalia con la telecronaca di Stefano Borghi. Un giorno fui invitato proprio a Sportitalia per un programma sulla Serie B e nei corridoi incontrai Stefano. Così iniziammo a parlare di calcio argentino e lui rimase così stupito da quanto ne sapevo che mi chiese di fare una telecronaca di prova insieme con lui».
Come andò?
«Così bene che a fine gara mi disse: “Tu diventerai uno straordinario commentatore”».
Fu un buon profeta.
«Diciamo che me la cavo abbastanza... (sorride)».
Senta, ma come è nata questa voglia di raccontare il calcio?
«Ce l’ho da sempre. Si figuri che quando andavo alle elementari, il lunedì mattina, prima che arrivasse l’insegnante, mi mettevo in cattedra e spiegavo ai miei compagni in dettaglio come si erano svolte le partite».
Insomma, Adani era già un “professore”?
«La verità è che allora, come oggi, non mi accontento di leggere il risultato di una partita. Ho bisogno di capire perché una gara sia finita in un modo e non in un altro».
A questo punto ci faccia un pronostico per questa Serie A. Chi vince?
«Mai come quest’anno la sfida è aperta. Ci sono almeno sette squadre che se la giocano: Inter, Milan, il Napoli che è fortissimo, la Roma, la Lazio, l’Atalanta e naturalmente la Juventus. Ha iniziato male, ma ricordiamoci che ha la rosa più forte di tutte».