Enrico Mentana, l’uomo delle maratone da record

Il volto-simbolo di La7 (che festeggia i 20 anni) ci parla della sua lunga carriera

Enrico Mentana
5 Luglio 2021 alle 09:04

In questi giorni La7 compie 20 anni (è nata nel giugno 2001). E se nel corso della sua storia l’emittente si è sempre più focalizzata sull’informazione il merito è in buona parte di Enrico Mentana, approdato alla guida del Tg La7 nel 2010. Quello che lui ricorda come «l’inizio della mia terza vita professionale», dopo gli esordi in Rai e il lungo periodo al Tg5. Tre vite, quindi, che ora vorremmo ripercorrere con lui...

Mentana, come si trova oggi a La7?
«Bene, perché è una rete che si è ritagliata uno spazio tutto suo, incentrato sull’informazione».

Tra il tg e le “maratone” lei ha raccontato ogni genere di evento. Quale ha lasciato il segno più profondo?
«Difficile scegliere. La politica italiana ha subito un acceleramento pazzesco: dopo Berlusconi abbiamo raccontato le parabole di Monti, Renzi, Salvini, Conte, il governo “gialloverde” e quello “giallorosso”... Ancora più sorprendente la cronaca estera. Chi avrebbe pensato di raccontare la Brexit? E l’assalto al Campidoglio dopo la sconfitta elettorale di Trump? E la pandemia? Un altro momento clamoroso è stata la “maratona” per il referendum greco sul piano economico proposto dall’Europa, nel 2015: era un evento straniero, facemmo ascolti come per le elezioni italiane».

E ora che progetti ha?
«Nessuno. Ci sono colleghi che vivono ogni testata come una tappa di un percorso e magari mentre sono in un posto già pensano al prossimo... Io non faccio così. Per me ogni posto è “per sempre”. Anche oggi qui a La7 mi sento ancora come quando approdai alla Rai a 25 anni e dissi: “Questa è casa mia”».

Ripartiamo da lì, allora. Uno dei primi eventi che seguì fu il matrimonio di Carlo e Diana. Aveva idea che sarebbe entrato nella storia?
«Sì. Perché a tutti piacciono le fiabe, e quel giorno la fiaba della monarchia inglese, ormai da un quarantennio incarnata da Elisabetta, si rinnovava con due volti giovani. Quando poi arrivò la tragedia di Diana, tutta quella storia è diventata epocale. Io dico sempre ai miei giornalisti: piuttosto che raccontare i fatti normali che capitano a persone straordinarie, raccontiamo i fatti straordinari che accadono a persone normali. Questa è la cronaca. Ma se poi il fatto straordinario accade a una persona straordinaria, capite che si entra direttamente nel mito».

Trent’anni fa stava fondando il Tg5. E per farlo lasciò la Rai.
«Allora non potevo dirlo ma oggi sì: ci sarei andato anche gratis. Volevo fare un tg meno paludato, con tanta cronaca e senza pastoni politici. Il primo grande evento da coprire fu il rapimento del piccolo Farouk. Subito dopo arrivarono Tangentopoli e la strage di Capaci. Per seguirla ci affidammo a un corrispondente da Palermo di appena 19 anni: si chiamava Salvo Sottile...».

Poi vennero i grandi duelli elettorali: Berlusconi contro Occhetto e poi contro Prodi. Scelsero lei e suonò come un sigillo di imparzialità. Ma furono davvero decisivi?
«Dovrei dire di sì ma penso di no. Molti sostengono che Occhetto perse le elezioni nel mio studio. Di certo giocava fuori casa, nel senso che Berlusconi era un uomo di tv e lui no. Era come assistere a una finale di Champions, era lo scontro finale tra due blocchi. Ma oggi si potrebbe fare un confronto così? No, quella breve stagione è già finita».

Già, oggi è l’epoca delle “maratone Mentana” su La7. Ne sta preparando altre?
«Sicuramente le faremo per le elezioni di settembre nelle grandi città: Roma, Milano, Bologna, Napoli, Torino... Ma sia chiaro che una maratona non si prepara: più la prepari e peggio è».

Ma come, niente appunti, testi, scalette?
«No. Servono solo a farti leggere il “gobbo” e a togliere freschezza. L’unica vera preparazione è la conoscenza della materia, e quella la fai sul campo, seguendo le vicende giorno dopo giorno. Il testo scritto serve solo a ingannare l’ansia. E io non ho mai sofferto di ansia».

E se poi ci scappa la gaffe?
«Pazienza, ci sta. Qualche giorno fa ho chiamato Speranza “il ministro Sapienza”. Non era neanche così terribile, sembra un complimento...».

Qual è il suo record di maratona? Sul sito di La7 ne ho trovata una di 9 ore, 32 minuti e 12 secondi.
«Ma figuriamoci! Credo di aver toccato le 22 ore... Però non sto a contarle. Quello che conta è la tensione, non la durata. È l’adrenalina che ti spinge. E vale anche per Sardoni, Celata e tutta la squadra. Come mi disse una volta un inviato: “Restiamo qui ad aspettare i dati definitivi”. E ci mancherebbe! E che vuoi, andare a dormire?».

Beh, ecco, magari una bella dormita prima della maratona...
«Non serve. Meglio un buon pasto».

Il soprannome “Mitraglia” le piace?
«Ma sì, anche se oggi non parlo più così velocemente come quando me lo affibbiarono, all’inizio della carriera. In una maratona, poi, sarebbe impossibile. Devi dare alla gente il tempo di capire tutto. E per la stessa ragione uso frasi semplici e poche subordinate».

Lei ha visto cambiare il giornalismo... come se la passa oggi?
«È un momento difficile, inutile negarlo. Noi “novecenteschi” siamo legati all’idea dell’appuntamento fisso (il tg delle 20, il giornale del mattino) che per i giovani semplicemente non ha senso. I social e il web, poi, hanno diffuso l’illusione che si possa avere informazione gratis, ma non è vero: l’informazione costa. Scopiazzare, quello sì che è gratis. E anche far polemica. Infatti oggi i nomi più seguiti sono quelli di chi si inventa uno scandalo o un’indignazione al giorno».

Della serie: se parli di Tizio si offende Caio...
«Io invece non ho problemi con Tizio e neppure con Cairo, ah ah (Urbano Cairo è l’editore di La7, ndr)».

Chiudiamo con un sorriso? Ho controllato, lei è già apparso in sei film. Mi dice com’è finito in “Tolo Tolo” di Zalone o nel videoclip “Senza pensieri” di Rovazzi? Non è che sotto sotto vuol fare l’attore?
«Ma no, guardi che la media è di un titolo ogni cinque anni. E Indro Montanelli ha pure diretto un film. La verità è che tutti direbbero di sì a Zalone o a Rovazzi: il vero punto è se loro te lo chiedono o no. E agli altri non lo chiedono...».

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