Alessandro Preziosi è il protagonista di “Masantonio”

Nella fiction di Canale 5 è un poliziotto con un “dono” particolare. E l’attore rivela a Sorrisi che dopo la pandemia si sente molto cambiato...

Alessandro Preziosi
24 Giugno 2021 alle 08:23

Prima cosa: Alessandro Preziosi è un gran parlatore, un affabulatore instancabile, tant’è che a teatro recita spesso lunghi monologhi. Seconda cosa: riesce a parlarvi mentre sale le scale, entra in casa, accende i fornelli, butta una pannocchia nell’acqua bollente interrogandosi sulle modalità di cottura, manda un messaggio alla figlia Elena, accoglie l’assistente, fa cadere una tazza sul pavimento, gli si scarica la batteria del telefono, ricarica il telefono, richiama. Infine trova il modo, fra una risposta e l’altra, di infilare pure un motto di spirito: «Sono in attesa del terzo figlio», lui già padre di Andrea ed Elena; quindi ridendo della credulità altrui svela che si tratta di uno scherzo. E intanto il tempo fugge via e l’intervista è conclusa.

Il motivo di tanto chiacchierare è il ritorno di Alessandro Preziosi sugli schermi di Canale 5 dal 25 giugno in prima serata con la serie tv “Masantonio - Sezione scomparsi”, dove lui è il Masantonio del titolo, un poliziotto con un passato, si intuisce, piuttosto tormentato, il fisico debordante, il passo strascicato e un linguaggio senza tanti fronzoli. Viene incaricato di cercare le persone scomparse perché lui stesso è scomparso, e poi riapparso, e ha un grande dono.

Preziosi, ci sveli il “dono” del suo personaggio.
«Masantonio è uno dei ruoli più intimi che mi è capitato di tirar fuori dalla sacca disordinata delle mie velleità attoriali. Non è un medium e non ha superpoteri, ma ha un dono, che è quello di riuscire a “sprofondare” nelle persone, tanto da parlare con loro anche quando non ci sono».

E quindi come lo spiega?
«Un po’ come quando vai dal medico, deve avere grande empatia, deve permettere al paziente di dire come si sente. Masantonio è una persona profondamente empatica, riesce a fare spazio dentro di sé per ascoltare qualcun altro. Quello che dovremmo fare nelle nostre relazioni o nel nostro lavoro».

Lei è empatico?
«Cerco di esserlo, poi a me non importa più di tanto se sono travisato, la mia responsabilità inizia e finisce nel momento in cui faccio il mio lavoro, non per quello che dico o per gli indizi che do rispetto al privato di Alessandro. Anche se a volte c’è qualcuno che pensa di capirti più di te stesso».

Gli altri cosa pensano di sapere di lei, più di lei?
«Quando dicono: “Il sex symbol”, “L’uomo inaffidabile”. Sul sex symbol mi viene da ridere e sorridere, passare ancora per un sex symbol a 50 anni... Mi verrebbe da dire: “Grazie, quant’è? Quanto vi devo pagare?”».

Da attore dovrebbe comunque avere il talento di immedesimarsi nella vita delle persone.
«Lo faccio da quando sono nato, ho una grande curiosità. Per quanto posso sembrare a volte indelicato, invadente e ingombrante. Prima ancora di fare l’attore torturavo le persone di domande, attraversavo la strada per andare dall’altra parte a chiedere una cosa a qualcuno, che magari aveva un tic, zoppicava o mi incuriosiva. Oggi, per la legge della compensazione, trovo persone che mi danno il tormento».

Nel senso che la importunano?
«Ora sto nel mio, sto tranquillo e trovo sempre persone che mi dicono: “Ti volevo conoscere”, “Ti volevo dire”, “Ti volevo fare una domanda”».

C’è sempre la fila di donne fuori dal suo camerino?
«Ci sono molti ragazzi. Con il tempo il mio mestiere ha smesso di essere oggetto di culto solo estetico e mi sono guadagnato un po’ di attenzione sui contenuti, c’è più gente curiosa e che ti ringrazia. Prima si muovevano anche solo per un autografo o una foto. Potevo leggergli l’elenco del telefono».

Il suo fascinoso conte Fabrizio Ristori di “Elisa di Rivombrosa” l’ha perseguitata per anni.
«Non ho mai pensato che mi perseguitasse. Con lui ho avuto la grande chance di farmi conoscere dal pubblico. All’inizio, un po’ da presunto intellettuale, lo snobbavo: “Il pop? No, grazie”. Invece in giro c’è ancora una grande esaltazione e un grande amore per quella storia. Poi per buona parte della mia carriera ho creduto di essere adatto a fare solo certi personaggi».

Che genere di personaggi?
«Tutti i personaggi che ho fatto all’inizio erano in costume, “Elisa di Rivombrosa”, “I Viceré”, “La masseria delle allodole”, “L’uomo che rubò la Gioconda”, e a teatro “Amleto”, “Re Lear”. Erano una maschera anche dal punto di vista psicologico».

Quando si è tolto la maschera?
«Con “Mine vaganti”, il film di Ferzan Ozpetek. A un certo punto Ferzan mi disse: “Facciamo così, questa versione la mandiamo al teatro Valle, ora ne facciamo un’altra per il cinema”. Come mi avesse detto: “Scendi un po’ su questo mondo”. Mi ha insegnato un modo di recitare che fosse per un pubblico vicino alla mia punta del naso».

Le è difficile scrollarsi di dosso certi ruoli?
«Con Masantonio è stata dura, già mi corrispondeva come modi di fare che irrompono o rompono gli schemi. Il teatro da questo punto di vista è clamoroso: finisci uno spettacolo alle 11 di sera, il giorno dopo lo rifai e poi lo rifai ancora. Con Amleto ebbi grandi difficoltà».

Una passione sconfinata.
«Io mi sono sempre detto che la passione e il talento possono camminare insieme per tutta la vita, ma c’è bisogno di una cosa che le unisca, l’impiego».

Cioè?
«Essere pagati per fare questo lavoro. Nel mio ambito non è scontato».

A lei è andata bene.
«Sono stato molto fortunato. Recitavo nella soap “Vivere” e contemporaneamente facevo teatro impegnato, mi dovevo spostare nelle varie piazze. I Bassetti, all’epoca proprietari di Endemol, mi pagavano tutto l’anno per “Vivere” e io lavoravo sei mesi, il resto lo dedicavo al teatro. Loro capivano che questa mia passione avrebbe creato un attore migliore».

Per recitare a 25 anni si trasferì da Napoli a Milano.
«Milano, polifunzionale, editoriale, imprenditoriale, nel periodo in cui sono arrivato io, vent’anni fa, è stata un contraltare straordinario alla mia esperienza di napoletano che aveva le sue regole scriteriate e pensava di portarsi il proprio mondo».

E l’impatto come fu?
«La mia insegnante di dizione all’Accademia dei Filodrammatici, quando le dissi: “Io ho il fuoco dentro”, mi rispose: “Sì, vabbè, Preziosi, leva il sole dallo zaino e ritorna qui con noi”».

Recentemente ha detto: «Il Covid umanamente ci migliorerà». Ancora dell’opinione?
«Sì, penso che gli effetti di questa situazione si possano in parte già vedere in contesti sociali molto diversi. Migliorarsi vuol dire andare a scoprire qualcosa».

Lei in cosa si è migliorato?
«Nel tempo che sono stato costretto a dedicarmi. Mi sono preso cura di me leggendo tantissimo, riscoprendo tanti libri, sono anche stato molto più tempo con mia figlia e mio figlio».

È vero che sua figlia Elena l’aiuta a ripassare la parte?
«Sì, mi aiuta sui copioni teatrali che hanno bisogno di una memoria serrata. Elena è molto precisa: “Papà, se questa battuta la vuoi dire così ok, ma sappi che è scritta in un altro modo”. E poi ho fatto ginnastica, ho imparato a cucinare meglio, ho finalmente capito dove stanno le cose».

Quali cose?
«Adesso so dove stanno le magliette, so dove sta la mia tessera sanitaria. Ho messo in ordine. Ho avuto la possibilità di guardare il cielo e sentire di far parte di una cosa molto più grande di me. Una cosa vissuta in intimità. Migliorarsi vuol dire cambiare il ritmo, il tuo tempo, non buttarlo al vento».

Ha messo ordine anche nella sua vita sentimentale?
«In questo momento non c’è niente, ma sono molto ben predisposto. Prima ci vuole ordine, poi le cose belle arrivano e non c’è cosa più bella dell’amore».

Così sono cambiato (e ingrassato) per interpretare un poliziotto speciale

Masantonio è la storia, in cinque prime serate, di un poliziotto che torna a Genova dopo 17 anni incaricato dal prefetto (Bebo Storti) di costituire con il collega Riva (Davide Iacopini) una squadra per rintracciare le persone scomparse. In città, Masantonio ritrova l’amica e vicina di casa Valeria (Claudia Pandolfi), tra le poche a conoscere il suo passato. «Per interpretarlo ho cambiato il mio modo di camminare» racconta l’attore. «Masantonio è un personaggio strascicante, uno che si affatica per tutto, ha pure una bella pancia e così sono ingrassato dieci chili. Ha la struttura fisica di chi si difende, di chi si chiude contro il mondo. Manifesta delle leggerissime irregolarità: come camminare con un piede un po’ storto o non guardare negli occhi la persona con cui sta parlando»

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