Alessandro Roia è Daniele, il poliziotto sensibile ma tenace di “Non mi lasciare”

Diciamolo subito, a scanso di equivoci. Il cognome è Roia, scritto con la “i” normale e non con la “j”

Alessandro Roia con Vittoria Puccini
24 Gennaio 2022 alle 08:38

Diciamolo subito, a scanso di equivoci. Il cognome di Alessandro è Roia, scritto con la “i” normale e non con la “j”: «L’ho cambiato per questioni pratiche. Altrimenti con i documenti, a partire dai biglietti per l’aereo, era sempre un problema» ci spiega l’attore, protagonista della fiction di Rai1 “Non mi lasciare”. Qui interpreta Daniele, un poliziotto sposato con Giulia (Sarah Felberbaum), che affianca il vicequestore Elena Zonin (Vittoria Puccini), suo primo amore, tornata a Venezia sulle tracce di una rete criminale che sequestra e vende minori sul “dark web” (ossia una zona oscura di Internet utilizzata soprattutto per attività illegali, raggiungibile con appositi programmi).

Alessandro, chi è Daniele?
«È un poliziotto che vive da 20 anni a Venezia: ha fatto la sua carriera lì e si occupa di quello che avviene nel territorio, in particolare interventi subacquei. Ha sempre indagato su fatti “normali” e l’apertura di questi casi provocherà un terremoto emotivo dentro di lui, anche perché è padre di due bambini».

Rivedere Elena lo turba?
«Lo ha fatto soffrire. Ma è una cosa che fa parte del passato e che avrebbe dovuto superare, come è stato per lei. Invece cova ancora un senso di inadeguatezza. Spesso gli uomini parlano della loro adolescenza come di un periodo fondamentale e ci sembrava importante raccontarlo».

Nella serie c’è tanta azione.
«Daniele è sempre in movimento: corre, scavalca muri, scatta veloce... È un uomo d’azione, ma allo stesso tempo sensibile».

Si è allenato per reggere lo sforzo fisico?
«Di mio sono abbastanza sportivo, ma seguivo una routine anche durante le riprese, quando gli orari (spaventosi) me lo permettevano: facevo allenamento cardiovascolare e per aumentare la forza».

Almeno si scaldava, visto il freddo che c’era.
«Sì, faceva freddissimo. Il buran (il tipico vento gelido che arriva da est, ndr) mi ha graziato solo quando mi sono immerso in un canale nella prima scena della serie. Ma anche senza vento è stata una sequenza complicata da girare: avevo una muta pesantissima, con tutta l’attrezzatura, ed è stato tosto uscire dall’acqua, tirarmi su con la sola forza delle braccia e salire su una chiatta».

È stato il momento più duro, fisicamente parlando?
«No, ce ne sono stati altri. Per diversi giorni le riprese consistevano nel correre ininterrottamente per Venezia con gli anfibi, i jeans, la giacca di pelle e sotto la tuta termica. Iniziavo la mattina alle 8 e andavo avanti sino a fine riprese: correvo, saltavo, facevo scatti e inseguimenti. La sera non riuscivo più a camminare e così andavo dal fisioterapista che mi aiutava a soffrire meno e a potermi muovere il giorno dopo».

La serie tocca un tema molto forte. Lei quanto ne sapeva dei pericoli del “dark web”?
«Abbastanza. Ma condividendo le informazioni che hanno raccolto gli sceneggiatori e il regista Ciro Visco, e parlando con gli specialisti, ci siamo resi conti dell’impatto che ha Internet e di quanto siamo poco informati».

È preoccupato per i suoi figli Orlando, 7 anni, e Dorotea, quasi 3?
«Da una parte sì, perché il male oscuro dell’umanità trova territorio fertile in questi mezzi. Ma penso anche che i ragazzi hanno più capacità rispetto a noi per affrontare questi problemi, dal bullismo on line ai social e al “dark web”».

Si definirebbe un papà ansioso?
«Sono più un compagno di giochi. Però è un momento storico difficilissimo per i bambini. Vederli con le mascherine da due anni, il fatto che non possano frequentare gli amici e fare le cose di prima mi fa soffrire tantissimo, anche perché non posso promettere loro che a breve passerà. Sono un papà dispiaciuto, che si sente frustrato ed è impaurito dal futuro. Mio figlio pochi giorni fa si è vaccinato, dopo che ne ho parlato con lui, e lo ha fatto con grande coraggio e senso civico».

Sul fronte tecnologia, invece, com’è messo? È uno “smanettone”?
«Ce l’ho con me stesso perché vorrei usare meno il telefonino. Invece è sempre vicino a me e nei momenti di “buco” lo prendo automaticamente in mano. Mi rendo conto che Instagram e WhatsApp mi rubano attenzione».

A proposito, ho visto che su Instagram pubblica molti poster di film, anche vecchi. Come mai?
«Ho un buon rapporto con i miei follower e un giorno ho postato per caso la foto di un film. Ne è seguito un bel dialogo, anche in privato. Così ho continuato a farlo, mi sembrava interessante, invece di pubblicare immagini legate alla mia vita privata».

Però qualcosa ha messo, inclusa una fotografia di lei adolescente.
«Mi divertiva aver ritrovato quella foto. Ho un rapporto bello con la mia adolescenza, ma non sono un nostalgico e non ho rimpianti, al contrario di Daniele, il mio personaggio (ride)».

Invece sul suo futuro cosa ci può dire? Si farà la nuova stagione di “La compagnia del cigno”?
«No, la fine è chiara. E poi non sono un grande fan della lunga serialità. Come con “Romanzo criminale” a un certo punto la storia deve finire. Per ora non ho altre fiction in ballo. Però ho in uscita la nuova versione di “...altrimenti ci arrabbiamo!”, ma non posso svelare di più».

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