Alessio Boni è Luca Marioni, il severo direttore d’orchestra di La compagnia del cigno

Ogni lunedì lo vediamo nei panni del severissimo insegnante di violino e direttore d’orchestra dei ragazzi del conservatorio. E pensare che nella vita reale non sa neppure leggere uno spartito

Alessio Boni
28 Gennaio 2019 alle 09:30

Ogni lunedì in “La compagnia del cigno” vediamo Alessio Boni nei panni del professor Luca Marioni, severissimo insegnante di violino e direttore d’orchestra dei ragazzi del conservatorio. E pensare che nella vita reale Boni non sa neppure leggere uno spartito. La musica classica, però, la ama eccome.

Si aspettava il successo della fiction?
«Te lo auguri sempre, ma quando poi arriva un po’ ti meravigli. Guardando il primo episodio da spettatore ho pensato che era davvero una fiction di qualità, ma questo non è per forza un requisito per il successo. Comunque ne sarei stato orgoglioso anche se fosse andata male».

Ma l’orchestra la dirige davvero? Come ha imparato?
«Ci mancherebbe, non sono gesti a caso. A guidarmi è stato un vero direttore d’orchestra, Roberto De Maio, che mi ha “massacrato” per tre mesi. Ogni brano richiede tempi e movimenti diversi e per me è stato difficile: non so leggere la musica, quindi ho dovuto imparare tutto a memoria, dovevo sapere anche in che punto esatto attaccavano i diversi strumenti. Avevo sempre nelle orecchie i brani che poi avrei dovuto dirigere. Sì, direi che è stata la cosa più impegnativa di questo lavoro».

Ci racconta le scene più impegnative dei ruoli passati?
«In “Caravaggio” ho dovuto duellare con uno spadone del ‘500, ci sono voluti mesi di prove. Per “Walter Chiari” ho preso vere lezioni di boxe e in “Guerra e pace” ho dovuto estrarre una sciabola mentre mi lanciavo al galoppo contro l’esercito napoleonico. Ricordo che mi sono venuti i brividi a vedere quelle 500 comparse vestite da soldati lì davanti a me. Ho avuto paura di farmi male sul serio...».

Viste da fuori sembrano imprese difficilissime.
«È difficile ma affascinante. E a me il difficile attrae...».

E a proposito di complessità, il suo Luca Marioni non ha esattamente un carattere facile.
«Gli insegnanti severi spesso sono i più bravi, solo che ne riconosci il valore a 25 anni e non a 15. Ora per i propri figli tutti vogliono solo gli insegnanti più accomodanti e carini, ma io mi ricordo che i miei nonni cercavano il maestro più severo per i loro figli, perché gli avrebbe insegnato come sarebbe stata poi la vita».

E adesso?
«Ora invece sentiamo di genitori che vanno a scuola per insultare o addirittura picchiare i maestri che fanno solo il loro lavoro. Io ho un grande rispetto per i maestri delle elementari e i professori delle medie: sono eroi in ombra che forgiano una società, e in più devono sottostare a tutte le stupidaggini dei ragazzi e a volte anche alle angherie di quei genitori che viziano troppo i figli».

Che rapporto ha con la musica?
«Non potrei stare senza musica, la adoro. E amo tantissimo anche la musica classica: se potessi andrei sempre all’Opera. A volte per prepararmi ad alcune scene ascolto proprio musica classica, ne avverto la necessità fisica. La ascolto persino mentre faccio yoga».

E ora la musica classica è al centro di una fiction.
«La Rai ha avuto il coraggio di portare la terza sinfonia di Brahms in prima serata. E la musica classica non è una cosa vecchia e passata, la sentiremo ancora per millenni. È universale perché non ha lingue: la puoi sentire dal Canada al Giappone e ti emoziona sempre. Pensi quante potenzialità hanno quelle sette note. E il Conservatorio Giuseppe Verdi è famoso in tutto il mondo, mentre noi magari nemmeno sappiamo dove sia a Milano».

“La compagnia del cigno” mette anche in risalto il nostro patrimonio di bellezza e cultura.
«È giusto essere orgogliosi di ciò che portiamo in giro per il mondo. Non siamo mafia, pizza e mandolino: l’Italia è Dante, siamo i discendenti di Verdi, di Tintoretto, di Caravaggio… abbiamo tanto di cui andare orgogliosi ed è giusto mostrare la nostra cultura anche in tv».

Quindi la tv può anche insegnare qualcosa?
«La tv può fare tutto, come qualunque forma d’arte. Io come tanti non sapevo chi fosse Peppino Impastato prima di vedere “I cento passi” (il film diretto nel 2000 da Marco Tullio Giordana che racconta la vita e l’uccisione dell’eroe antimafia, ndr). Spesso le persone tornano a casa stanche dal lavoro, mettono a letto i figli e non hanno più la forza di leggere. Ma forse davanti alla tv riescono a imparare qualcosa. La fiction “Guerra e pace” ha avuto successo anche perché in pochi hanno il tempo o la voglia di leggere un romanzo russo di 800 pagine».

Da come ne parla si vede che ama l’arte.
«Per me è fondamentale. Tra le migliaia di invenzioni dell’uomo l’arte è quella che mente di meno: un pittore, così come uno scrittore, un poeta o un cantante, quando crea non si dona a metà, ma dà tutto se stesso. Davanti a un quadro ci emozioniamo perché riusciamo a sentire quella verità».

Vale lo stesso per la musica classica?
«Speriamo! La musica classica e l’Opera sono bellissime e non c’è bisogno di essere colti e di capirle a fondo per apprezzarle. Vale il discorso appena fatto per il quadro: l’arte arriva al cuore, non al cervello. Poi magari una fiction non può avvicinare proprio tutti alla musica classica, ma fa capire il sacrificio che c’è dietro ogni membro di un’orchestra, quanta dedizione, quanto studio e quanta tenacia ci vogliono per diventarlo».

È un percorso durissimo.
«E, oltre a questo, è lunghissimo. Ci vogliono anni, occorre dedicare tutta la vita alla musica. Uno immagina gli adolescenti che tornano a casa e non hanno voglia di far niente, ma qui vediamo 14enni che dopo la scuola non solo devono studiare per il giorno dopo, ma dedicano sei, sette ore a uno strumento musicale. E lo fanno tutti i giorni, soltanto per portare avanti la loro passione. Questa sì, è proprio una bella lezione».

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