Antonio Albanese: «Di questi tempi sto bene solo… facendo il ragù!»

L'attore torna su Raitre con la seconda stagione della fiction "I topi" e racconta a Sorrisi la sua vita in isolamento

Antonio Albanese è autore, interprete e regista della fiction “Topi 2”
16 Aprile 2020 alle 15:52

Di questi tempi un’intervista inizia sempre con la domanda: «Come sta?». «Sto bene» risponde Antonio Albanese al telefono. E aggiunge: «Sta bene la mia famiglia e anche mia madre che è anziana. Come dico, per rispettarci e aiutarci tutti, bisogna stare a casa, servono un po’ di sacrifici, parecchia calma e molta pazienza».

Come trascorre la quarantena?
«A Milano, cercando di inventarmi cose nuove, leggendo cose mai lette, guardando la tv. Magari facendo un ottimo ragù. Non l’avevo mai fatto, il ragù!».
Complimenti!
«Certo, non è un ragù di opussum... Diciamo che io sono per una cucina semplice, le mie stranezze di solito le metto sul lavoro».

L’ultima stranezza di Albanese, in ordine di apparizione, sono i sei nuovi episodi (due a serata) della serie “I topi”, dal 18 aprile il sabato sera su Raitre (ma tutti già disponibili su RaiPlay). La serie è scritta e diretta dallo stesso Albanese che qui torna a interpretare Sebastiano Parrini, boss malavitoso costretto dalle sue molteplici e illecite attività a nascondersi tra cunicoli sotterranei e rifugi di fortuna.

Come mai una seconda stagione?
«Sono talmente innamorato di questa famiglia che volevo farla scoprire un po’ di più nelle vite private, gli zii, la moglie, i figli. E con l’entrata di nuovi personaggi, raccontare temi diversi come il machismo e l’omofobia».

Intanto Sebastiano, il protagonista, è sempre latitante e nascosto.
«Scappa e si nasconde come un topo inseguito: è questa l’idea per creare situazioni buffe. A lui questa cosa non pesa: ignorante com’è, non apprezza il gusto della vita, non capisce la sofferenza».

Una vita da segregato. Sembra una profezia in questo periodo.
«Quattro anni fa, quando ho ideato la serie, la metafora era quella del mondo sottoterra che si contrappone al mondo esterno, uomini ignoranti che vivono senza sapere. È molto diverso da quello che succede oggi. “I topi” della serie non sono tutta la famiglia di Sebastiano, anche se poi lui li costringe a fare più o meno una vita da reclusi».

Quando l’ha ideata a che cosa si era ispirato?
«Ad alcuni casi che leggevo nelle cronache dei giornali. Volevo raccontare la vita di chi gode di vantaggi economici e vive sottoterra, una follia! Volevo raccontarla ironizzando».

A cosa paragonerebbe la nostra vita attuale?
«È un momento di sospensione totale, di riflessione, di attesa, di silenzio. Ci sono vantaggi e svantaggi. Certo, sono più gli svantaggi che i vantaggi».

Un vantaggio, per esempio?
«Può essere lo scoprirci di più, stare con la famiglia, pensare a cose che uno non pensa mai. Caricarsi di coraggio e pazienza. Eliminare la paura, perché la paura indebolisce e confonde, è una brutta cosa. E lo dico io che ho interpretato il Ministro della paura!».

Che personaggi le sono venuti in mente in queste settimane?
«In questo periodo sto osservando e metabolizzando, cercando di capire cosa si può creare. Il racconto dei disagi potrebbe trasformarsi in cose divertenti, ma ora non mi diverte, ora mi sembra banalotto».

Ha sospeso dei progetti?
«C’era il progetto di un nuovo film con Paola Cortellesi diretto da Riccardo Milani. Dopo “Come un gatto in tangenziale” c’era il desiderio di fare di nuovo qualcosa insieme».

Un sequel?
«L’idea era di tornare a lavorare insieme dopo tre anni, ci stavamo preparando. Potrebbe pure essere un seguito. In fondo i nostri personaggi si erano lasciati su una panchina al centro di Roma...».

Cosa la mette di buonumore in questi giorni?
«Il rapporto con le persone, anche via sms e WhatsApp. Io non uso i social, non ho Facebook, Twitter o Instagram, anche se purtroppo qualcuno li usa a mio nome... Con gli amici ci sentiamo spesso, ci mandiamo messaggi e molte di quelle elaborazioni che girano, video e foto, sono proprio divertenti».

La comicità aiuta?
«Ti dà conforto, c’è dell’energia, voglia di reagire, si ridacchia. La risata è una pila che ti ricarica. Anche in questo siamo un popolo fantastico».

Il suo Cetto La Qualunque come avrebbe organizzato l’emergenza coronavirus?
«Cetto è in Sudamerica, una zona incontaminata, è partito subito dopo aver visto “Apocalypse Now” e ora è con un gruppo di indios del Rio delle Amazzoni. Vuole esportare piroghe».

Ma, nel caso, con che avverbio Cetto avrebbe intercalato queste giornate?
«Sorpresamente. È arrivato il virus, sorpresamente, esattamente e senzadubbiamente».

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