Dal 4 aprile l'attore riveste i panni del commissario Carlo Guerrieri
Claudio Amendola riappare in questa primavera in triplice veste: attore, qual è da 40 anni, regista, come gli piace da qualche tempo, e autore di un soggetto cinematografico. Da una parte c’è l’uscita di “I cassamortari”, film da tempo ideato e realizzato (disponibile su Prime Video), dall’altra la terza stagione della serie “Nero a metà” (dal 4 aprile su Rai1) in cui Amendola riveste i panni del commissario Carlo Guerrieri.
Qual è la prima cosa che le viene da dire quando si cala nei panni di Carlo Guerrieri?
«Urlo: “Cantabella!!!” (chiamando il poliziotto interpretato da Alessandro Sperduti, ndr). Comunque io diffido degli attori che si “calano” nei personaggi, non credo a questo metodo. Penso che i personaggi vadano interpretati, se no poi te li porti a casa e non è mai un bene».
Questo personaggio l’ha interpretato già in 36 episodi, siamo lontani dai 142 di “I Cesaroni”, però ci è affezionato.
«Molto affezionato, e mi sta dando grandi soddisfazioni. Ormai lo conosco bene, sono tre stagioni! E mi diverto a farlo: Guerrieri mi è sempre più simpatico».
Cosa la diverte?
«Mi piace il suo aspetto informale, il suo essere un po’ cinico e dissacrante, stufo delle regole. E allo stesso tempo mi piace la sua integrità, è un capo severo ma capace di ironizzare, un poliziotto pulito. Ed è leggero».
Cosa intende per “leggero”?
«Che riesce a superare certe situazioni senza farle diventare troppo pesanti. A me non piace chi “porta la croce”. Tutti abbiamo tante cose che non vanno bene, ma bisogna cercare sempre un sorriso in fondo all’animo. Accettare alcune cose ti rende la vita meno pesante. Siamo fatti per star bene e, invece, facciamo di tutto per non starci».
Tanta saggezza è una conquista recente?
«Ce l’ho sempre avuta, ma prima mi sono sforzato di combatterla, volevo essere il numero uno, il migliore, il più bravo. Alla fine è una fatica inutile. L’importante è stare in pace con se stessi, accettarsi e volersi bene. Ho imparato a volermi bene e a riconoscere che in fondo sono una bella persona».
Una moglie fuggita, un altro matrimonio lampo, una storia con una collega: ora il suo commissario ha messo il cuore in pace?
«Ha messo il cuore in pace, ma verrà corteggiato.Diciamo che ci sarà un gioco di “stuzzicamenti” con una collega della Narcotici e ci sarà pure un ritorno di fiamma, perché il matrimonio lampo non è stato così lampo».
Tra le novità della serie c’è anche che lei si è messo dietro la macchina da presa a fare il regista.
«Il regista Marco Pontecorvo era impegnato e siamo partiti senza di lui, così la casa di produzione Cattleya mi ha offerto la possibilità di girare i primi episodi. Mi piace e mi appaga fare il regista, anche per il mio ego smisurato: ho detto subito di sì. È bello, hai la possibilità di studiare e raccontare le psicologie di tutti i personaggi, di entrare nei particolari».
Seguirà a questa una quarta stagione?
«Siamo nelle mani della Rai, anzi la verità è che siamo nelle mani del pubblico. Con questi nuovi episodi si va a chiudere la trilogia che racconta la storia di Clara, la ex moglie di Guerrieri, e il suo passato, però siamo pronti a inventarci qualunque altra avventura».
Ora è sul set, come attore e regista, della fiction Mediaset “Il patriarca”. Di che si tratta?
«È un poliziesco dove interpreto un imprenditore e benefattore che in realtà è un narcotrafficante e un giorno scopre di essere malato di Alzheimer. Mi ha molto affascinato questo personaggio duro e spietato di fronte alla debolezza della malattia. Lo racconteremo in tre stagioni della serie».
È un periodo intenso per lei. Un film uscito dopo due anni di attesa, una serie tv in arrivo, un nuovo set...
«Il film era pronto già a Natale del 2020 e “Nero a metà” l’abbiamo girato l’anno scorso. Nel frattempo, è vero, sono di nuovo su un altro set. È un momento casualmente ricco, un bel periodo intenso, ma sono abbastanza abituato, più o meno è sempre stato così, per fortuna! Non mi spaventa, anche se con il passare degli anni un po’ di fatica si comincia a sentire».
Il tratto ironico e dissacrante l’ha ereditato da papà, mamma, gli amici, i romani...
«Sicuramente dall’essere romano. Faccio mia una frase che prima o poi mi tatuerò: “Una risata vi seppellirà”. Non rinuncio mai a una battuta, se mi fa ridere la devo dire. Da ragazzo quando venivo rimproverato da mamma e papà avevo sempre un commento ironico e dissacrante che li faceva arrabbiare di più. Trovo sempre il modo di farmi una risata. È la famosa leggerezza».