“Cuori”: tutti i dettagli e le curosità, direttamente dal 1967

Nella serie di Raiuno ambientata nel ‘67 è (quasi) tutto dell’epoca: bisturi, carta da parati e perfino i calzini!

Matteo Martari, Pilar Fogliati e Daniele Pecci in "Cuori"  Credit: © Rai
31 Ottobre 2021 alle 08:43

Una cosa è certa. Per realizzare questa serie, diretta da Riccardo Donna e ambientata all’ospedale Molinette di Torino nel 1967, ci hanno messo tutti il cuore. A partire dallo scenografo Maurizio Zecchin, la costumista Carola Fenocchio, la produttrice di Aurora Tv Benedetta Fabbri, la sceneggiatrice Simona Coppini e il cardiochirurgo Guglielmo Actis Dato che, oltre a fare da consulente, è figlio di Angelo, il cardiochirurgo a cui è ispirato Alberto Ferraris (Matteo Martari), allievo prediletto di Cesare Corvara (Daniele Pecci). Corvara è disegnato a sua volta sulla figura di Achille Mario Dogliotti, il primo al mondo a perfezionare l’applicazione della macchina cuore-polmone per la circolazione extracorporea. Sono tutti loro che ci hanno svelato i segreti di “Cuori”.

Com’è nata l’idea?
«A ispirarla, circa quattro anni fa, è stata la serie americana “The knick”. La produzione ha quindi cercato una storia italiana altrettanto epica in cui i nostri medici avessero dato un contributo alla ricerca. E l’ha trovata nella cardiochirurgia, esplosa in Italia nel decennio che va dalla metà degli Anni 50 alla metà degli Anni 60».

Quali sono state le fonti “mediche” di ispirazione?
«Il libro del cardiochirurgo Ugo Filippo Tesler: “Viaggio nel cuore. Storia e storie della cardiochirurgia”. Grazie a lui, la produzione ha conosciuto Guglielmo Actis Dato. Per ricreare l’ambiente ospedaliero, la fonte è stata il documentario “Il caso 127” del 1959 in cui il vero Dogliotti mostra le Molinette».

I casi trattati in ogni episodio sono reali?
«Molti sono casi trattati dallo stesso Angelo Actis Dato, altri sono verosimili».

Gli oggetti in sala operatoria sono veri?
«Sì, appartenevano ad Angelo Actis Dato che li ha donati a un museo legato all’università. Nel magazzino, c’era di tutto: barelle, lettini, lampade, respiratori, bisturi, divaricatori e la famosa macchina cuore-polmone per la circolazione extracorporea che si vede nella prima puntata. Per mettere in funzione quei vecchi macchinari Gugliemo Actis Dato ha contattato il perfusionista di suo padre, Gino Lavista, che ha fatto funzionare sia la macchina cuore-polmone che tutte le altre attrezzature dell’epoca».

Anche le vicende sentimentali dei protagonisti sono vere?
«No, sono frutto della fantasia, anche se le storie tra medici e infermieri erano un dato di fatto».

Le riprese quando sono avvenute?
«Sono cominciate il 14 settembre 2020 e terminate il 23 marzo 2021. Si è girato tutto a Torino. Nei teatri di posa sono stati ricostruiti gli interni dell’ospedale. Gli esterni e i cortili, invece, sono dell’ex ospedale militare “Riberi” di Torino, di cui si vedono anche luoghi simbolo come i Magazzini Docks Dora, Palazzo Cisterna, la Cavallerizza Reale, il Parco del Valentino, il Circolo canottieri, Monte dei Cappuccini, il Villaggio Leumann e la Galleria Subalpina».

Anche allora si ascoltava musica in sala operatoria?
«No. La sala operatoria era un luogo sacro. Il fatto di fare ascoltare a Ferraris (Martari) musica americana mentre operava è una licenza mutuata dal presente».

Nella seconda puntata si vede un paziente immerso in una vasca di ghiaccio.
«Si tratta di una tecnica di ipotermia utilizzata negli anni precedenti a quelli della fiction, ma è stata inserita perché era molto scenografica».

È vero che cast e regista hanno preso lezioni per imparare a muoversi in una sala operatoria?
«Sì. Nel febbraio del 2020, lo scenografo ha perfino assistito a un vero intervento a cuore aperto eseguito da Actis Dato, che durante il lockdown attraverso lezioni (anche online) e un manichino ha insegnato la postura del chirurgo e i movimenti dei ferristi. Nelle scene in cui si vede operare in primo piano, le mani sono di Actis Dato, della figlia laureanda in Medicina e di altri chirurghi».

Esiste l’“orecchio assoluto” in medicina?
«No, è una forzatura, anche se la cardiologa Brunello (Pilar Fogliati) è ispirata a Helen Brooke Taussig, una pioniera della cardiologia pediatrica degli Anni 40, che avendo perso l’udito ascoltava le pulsazioni attraverso le dita».

Anche gli arredi delle case sono originali?
«Sì. Sono stati affittati circa 12 appartamenti vuoti e arredati con oggetti originali e tutti diversi, inclusa la carta da parati, comprati nei mercatini delle pulci di Torino e Milano, oppure online, da qualche antiquario o affittati».

Come avete ricreato l’ospedale?
«Sono più di 2 mila metri quadrati che sono stati ricostruiti basandosi su disegni e documenti dell’epoca. Molti vecchi ospedali hanno prestato oggetti e mobili dismessi. Anche l’ascensore è stato ricostruito sui disegni originali di allora ed è perfettamente funzionante».

La cupola panoramica esisteva davvero?
«Sì, e pare sia stata la prima in Italia per dare la possibilità agli studenti di vedere le operazioni. Oggi non c’è più ed è stata ricostruita nei teatri di posa Lumiq Studios di Torino. È una struttura di otto metri di metallo rivestito, fatta di legno, piastrelle finte di plastica lucidata e polistirolo. Le colonne nascondono delle putrelle in acciaio per reggere il piano superiore, dove salivano attori e cinepresa».

Camici e mascherine come sono stati realizzati?
«Quasi tutte le divise di medici, suore e infermiere sono state create in sartoria. I modelli sono ispirati alle divise che si vedono nel documentario “Il caso 127”. Sono stati fatti a mano con tessuti di cotonaccio per un’apparenza più grezza, per un totale di circa 50 camici (tre o quattro per ogni attore). Anche le mascherine, che coprono tutto il capo e lasciano liberi solo gli occhi, erano così. Ne sono state fatte circa 200 con una garza di cotone che permettesse di intravedere il viso dell’attore».

Le suore avevano davvero quei cappelli enormi?
«Si, appartenevano alle Figlie della carità di San Vincenzo de’ Paoli. I cappelli sono stati fatti a mano usando un tessuto inamidato proveniente da un laboratorio di Milano. Suor Florenza (Carola Stagnaro) ne usava due di misure diverse: uno più piccolo per le inquadrature in primo piano, uno classico, largo 90 centimetri, nei piani lunghi».

I vestiti della dottoressa Brunello da dove vengono?
«Tutti gli abiti di Pilar (circa 30) sono stati realizzati dalla sartoria con tessuti originali, prendendo i modelli su “Vogue” Parigi e America dell’epoca. Anche i bottoni sono originali e vengono da un bottonificio di Torino. L’abito che ha alla festa nella prima puntata è ispirato a quello di Paco Rabanne indossato da Audrey Hepburn nel film “Due per la strada”. I cappelli sono stati fatti su misura basandosi sulle forme originali di un cappellaio di Torino».

Gli altri abiti invece?
«A parte quelli della dottoressa Brunello e di Beatrice (Chiara Degani), che sono stati fatti su misura, gli altri sono tutti originali, inclusi quelli maschili, e sono stati trovati in 15 sartorie italiane. Si tratta di completi, camicie, papillon, cravatte e in alcuni casi perfino di calzini, come quelli che indossa Corvara (Pecci) su un aereo».

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