Nella serie di Rai1 si raccontano due storie: quella privata e quella professionale dei medici protagonisti, in corsa verso il primo trapianto di cuore

Nella fiction “Cuori”, in onda su Rai1, si raccontano due storie: quella privata e quella professionale dei medici protagonisti, in corsa verso il primo trapianto di cuore. Il primario Cesare Corvara (Daniele Pecci) e il suo pupillo Alberto Ferraris (Matteo Martari) sono ispirati a due veri cardiochirurghi delle Molinette di Torino di quegli anni: Achille Mario Dogliotti e Angelo Actis Dato, il cui figlio Guglielmo, anche lui cardiochirurgo a Torino, ha fatto da consulente scientifico per la serie insegnando anche agli attori come muoversi in sala operatoria (ma nelle scene in primo piano le mani che operano sono le sue o di altri veri chirurghi). Quella corsa però non fu vinta da Dogliotti e Actis Dato. Suo figlio Guglielmo ci ha spiegato perché e com’è andata nella realtà.
Cosa c’è di vero
«Il trapianto di cuore non era la priorità nell’ambito della ricerca che si eseguiva in quel periodo alle Molinette di Torino» ci spiega Guglielmo Actis Dato. «In Italia nel 1967, nell’epoca della fiction, la sperimentazione era concentrata verso il cuore artificiale (nella serie è l’obiettivo della dottoressa Brunello, interpretata da Pilar Fogliati, ndr). E questo per motivi sia di carattere etico (non si sapeva bene quando dichiarare una persona morta per espiantare gli organi e il Vaticano premeva molto verso la cautela) sia di carattere scientifico, vista l’incognita legata al rigetto. Infatti dopo il primo trapianto di Barnard, nel 1967 ne seguirono altre centinaia in tutto il mondo, ma sopravvissero in pochissimi a causa del rigetto. Detto questo, il trapianto venne abbandonato per circa un decennio e in questo lasso di tempo fu portata avanti una massiccia sperimentazione e ricerca per trovare i farmaci adatti a evitare il rigetto. La curiosità che emergerà nelle prossime puntate è che il farmaco che si rivelò il più importante per il trattamento dei pazienti trapiantati, la ciclosporina, è legato a un ricercatore italiano: Giuseppe Brotzu, che l’aveva scoperta anni prima, non conoscendone però gli aspetti di tipo immunodepressivo».
L’intervento oggi…
«Per quanto riguarda la durata dell’intervento, non ci sono grosse differenze tra ieri e oggi» spiega Actis Dato. «In media passano cinque ore da che il paziente arriva in ospedale a quando viene operato. L’espianto invece dura di più, circa dieci ore. A essere cambiata è la sincronizzazione tra espianto e donazione, perché la comunicazione oggi è molto più veloce, mentre un tempo ci si coordinava con strumenti come i ponti radio. Se il decorso è regolare, già in giornata il paziente viene spostato dalla rianimazione al reparto degenza, dove resta per un paio di settimane e fa due biopsie per vedere che non ci sia un rigetto acuto. Se invece ci sono problemi legati al rigetto, puòe rimanere ricoverato qualche mese». I dati oggi sono comunque incoraggianti: «In Italia si fanno circa 250 trapianti di cuore all’anno. La sopravvivenza a 30 giorni è del 90%, a 10 anni del 60%. Mentre il 10% dei pazienti ha un rigetto che richiede un trattamento nel corso del primo anno» conclude Actis Dato. Una bella differenza rispetto a quella fatidica, prima volta avvenuta nel 1967.
...e la conquista del mitico Barnard

Il 3 dicembre del 1967 Christiaan Barnard, un giovane chirurgo di 45 anni del Groote Schuur Hospital di Città del Capo, in Sudafrica, esegue il primo trapianto di cuore. Il paziente è Louis Washkansky, un commerciante polacco di 55 anni che riceve il cuore da Denise Ann Darvall, morta in un incidente stradale a 25 anni. Raccontò Barnard: «Il cuore di Denise Ann batteva ancora quando decidemmo di fare quello che nessuno aveva mai fatto prima. Lo arrestammo, ma dovemmo aspettare 60 secondi perché smettesse completamente di pulsare, era giovane, forte. Lo prelevai e nel frattempo i miei assistenti avevano aperto il petto di Louis e avevano asportato il suo organo malato, collegandolo alla macchina per la circolazione extracorporea. Era una procedura che avevamo ripetuto decine di volte su animali e su cadaveri, ma quando mi curvai sul paziente ebbi comunque un senso di vertigine, vedendo la cavità toracica di un uomo ancora vivo, ma vuota» raccontò all’epoca Barnard, che aveva imparato la tecnica negli Stati Uniti da Norman Edward Shumway (ancora oggi la tecnica si chiama così). Solo che Barnard fu il primo a eseguire l’operazione su un uomo vivo e questo anche grazie al vuoto legislativo del Sudafrica relativamente alla dichiarazione di morte del paziente. Washkansky visse per 18 giorni, ma morì per una polmonite.
Dopo quel primo trapianto, Barnard ne fece altri. Il secondo trapiantato, il dentista Philip Blaiberg, fu operato il 2 gennaio 1968 e sopravvisse un anno e sette mesi. Barnard eseguì circa una sessantina di trapianti nella sua carriera. Ma nel 1983 dovette ritirarsi per una grave forma di artrite reumatoide alle mani.
Dalla sala operatoria al tetto del mondo…
Figlio di un missionario, Christiaan Barnard nasce l’8 novembre 1922 a Beaufort West, in Sudafrica. Cresciuto in una famiglia povera e severa, nel 1948 sposa l’infermiera Aletta Gertruida Louw, conosciuta a 21 anni durante il praticantato in ospedale. Mentre fa il medico condotto a Ceres, nascono a distanza di 11 mesi l’uno dall’altro i loro due figli: Deirdre (oggi 71) e Andre, che purtroppo si toglie la vita nel 1984, a 33 anni: «Forse come chirurgo ho fatto qualcosa, ma come padre e marito sono stato un uomo senza cuore» raccontò in una trasmissione Barnard.
La sua vita cambia radicalmente dopo il primo trapianto. Diventa una celebrità e nel 1969 divorzia dalla moglie. Uomo dal grande carisma, atletico e affascinante, Barnard diventa amico di tanti personaggi importanti, da Lady Diana a Sophia Loren, viene invitato nei palazzi del potere di tutto il pianeta e le donne subiscono il suo fascino. Nella sua seconda autobiografia racconta di avere avuto un flirt perfino con Gina Lollobrigida mentre si trovava a Roma per una visita a papa Paolo VI nel 1968. Nel 1970 sposa la ricchissima modella Barbara Zoellner, dalla quale ha due figli (Frederick, 49, e Christiaan Jr, 47). Ma nel 1982 lei lo lascia, nonostante una «lettera d’amore a mia moglie» pubblicata da Barnard su un giornale di Johannesburg. Non contento, nel 1988, a 65 anni, sposa un’altra modella, Karin Setzkorn, di appena 20 anni, che gli dà altri due figli (Lara, 24, e Armin, 31) ma dalla quale divorzia nel 2000.
Accanto a questa vita, c’è però anche altro. Barnard crea una Fondazione, che finanzia con i suoi stessi guadagni, per operare gratuitamente i bambini dei Paesi più poveri del mondo. «In Africa milioni di persone muoiono ancora di gastroenterite o di morbillo. Forse avrei dovuto occuparmi di queste cose, invece di entrare nel mondo illustre della cardiochirurgia» ammise in un’intervista.
Il 2 settembre del 2001, a 78 anni, Barnard muore a causa di un attacco acuto di asma, come rivelò l’autopsia, mentre in un primo tempo si era pensato a un infarto. Si trovava in vacanza al Coral Beach Hotel di Paphos, un hotel a 5 stelle di Cipro. Stava leggendo un libro, sdraiato a bordo piscina, quando si è sentito male. Un medico lo ha visitato nella sua stanza, tentando di rianimarlo prima con la respirazione bocca a bocca e poi facendogli un massaggio cardiaco. Tutto inutile. Barnard è morto sull’ambulanza che lo portava in ospedale.