«Non posso prevedere quello che dirà il pubblico» dice l’attore «ma per fare questo personaggio ci ho messo il cuore»

Qualche mese fa abbiamo incontrato Raoul Bova sul set di “Don Matteo 13”. L’attore era appena arrivato a Spoleto, era al suo primo giorno di riprese e doveva ancora inserirsi a pieno titolo in un gruppo a dir poco consolidato che però, nonostante il dispiacere per l’uscita di scena di Terence Hill, lo aveva accolto con l’entusiasmo di chi sa che sta per iniziare una nuova avventura.
Oggi, a pochi giorni dall’arrivo del “suo” don Massimo nella serie in onda, Raoul ha deciso di aprire il suo cuore a Sorrisi, ripercorrendo insieme a noi l’esperienza sul set e condividendo l’emozione di un’attesa che non è solo sua ma anche dei milioni di spettatori di “Don Matteo”: «Non posso prevedere quello che dirà il pubblico e non sarebbe nemmeno giusto preoccuparsi in anticipo del gradimento. Posso dire, però, che ho dato il massimo: ci ho messo il cuore e tutto il tempo necessario per fare bene questo personaggio e mi ci sono accostato in maniera rispettosa e umile, senza cercare di strizzare l’occhio o avere il consenso di qualcuno».
Un consenso importante, però, è già arrivato: Terence Hill ha detto di essere contento di avere passato a lei il testimone perché la considera il miglior attore che abbiamo in Italia.
«Terence è una gran bella persona, me ne sono reso conto subito. Lo vedi dal suo modo di fare, di lavorare, dai suoi silenzi, dal rispetto che ha per ogni cosa. Ho chiesto di incontrarlo e lui ha accettato. Mi ha detto: “Vai, ora tocca a te. Diventa indipendente, prenditi la tua identità”, è stato come un padre che lascia al figlio la sua azienda creata in tanti anni di lavoro».
Qualcuno dice che non è un addio definitivo e che, in qualche modo, potremmo rivederlo in “Don Matteo”.
«Non ne so niente, è un mistero, ma nella fiction tutto è possibile. Sarebbe davvero una bella sorpresa».
In attesa di scoprire cosa ne pensa il pubblico, a lei cosa ha dato questa prima esperienza in una delle serie più amate della tv?
«All’inizio tutta l’incertezza e il mistero di un percorso nuovo che stava per cominciare. Era un personaggio che non conoscevo. Diciamo che le difficoltà che don Massimo incontra al suo arrivo a Spoleto sono state un po’ anche le mie: bisognava conoscersi e capirsi. In questo senso è stata una bella scoperta perché la serie non solo è scritta bene ma è anche il frutto della collaborazione di tante persone che ci mettono il cuore. Mi ha commosso vedere un gruppo di persone unite da tanti anni che non lascia nulla al caso. C’è la massima cura in tutto, chi ha più esperienza ti dà i consigli giusti e questo ti fa capire che sei all’interno di un progetto importante, perciò, alla fine, ti lasci andare. Diciamo che è stato un po’ come andare in bicicletta: prima sbandi poi, quando trovi la velocità giusta, vai e non ti ferma più nessuno».
Che sacerdote è don Massimo?
«Uno che quando arriva a Spoleto è ancora alla ricerca di tutte quelle cose che don Matteo già sapeva: il perdono, la necessità di non giudicare. In alcuni casi vorrebbe reagire ma sa che non può farlo perché è un prete. Inoltre arriva in una parrocchia dove c’era un parroco amato e la gente non lo accoglie bene. Per questo chiede spesso consiglio al suo vescovo (interpretato da Giancarlo Magalli, ndr)».
Il maresciallo Cecchini lo considera addirittura responsabile della misteriosa scomparsa di don Matteo.
«Inizialmente i due si guardano un po’ di traverso e devo dire che l’incontro vero con Nino è stato simile a quello finto. Cecchini è quello con cui don Massimo ha più scene in comune e bisognava trovare la combinazione giusta. Nino è un maestro per me e ora posso dire che quello con lui è stato un bellissimo incontro. Sul set abbiamo finito per abbracciarci e ci siamo dichiarati amici».
Sul set ha ritrovato Maria Chiara Giannetta e a breve sarete di nuovo insieme per la seconda stagione di “Buongiorno, mamma!”.
«In “Don Matteo” Maria Chiara è la capitana dei Carabinieri, in “Buongiorno, mamma!” è mia moglie. Stessi attori ma ruoli diversi, è il bellissimo gioco dei travestimenti. E di questo mestiere di cui, all’inizio, non mi sentivo all’altezza. Ho studiato, seguito corsi e seminari, sono stato il giudice più severo di me stesso finché non ho capito che la cosa più difficile da trovare è sempre la semplicità».
A proposito di difficoltà, don Matteo è stato, per tanti anni, il prete che tutti avremmo voluto incontrare nei momenti più complicati.
«Anche don Massimo lo è, perché il suo essere un uomo con tante difficoltà lo avvicina alle persone, soprattutto a chi ha dei problemi. Lui è uno che non risponde sempre con le parole del Vangelo, a volte lo fa con i suoi dubbi, ma è efficace. Magari non ti fa la predica ma risolve il problema senza parlare troppo».
Le è capitato, nella vita, di incontrare un sacerdote come lui?
«Ho incontrato tanti preti, ciascuno con le proprie caratteristiche: un missionario impegnato ad Haiti, alcuni frati francescani e, non ultimo, don Carlo, il sacerdote che è venuto sul set prima che iniziassi a girare perché volevo che mi aiutasse a entrare nel personaggio. Ho voluto fare una sorta di ritiro di una settimana per togliermi tanti dubbi su cosa un prete deve o non deve fare, dire o non dire. Alle mie domande spesso lui rispondeva solo con uno sguardo. Altre volte, invece, mi faceva leggere il Vangelo ma senza darmi un’interpretazione. Mi diceva: “Trova tu la risposta”».
I frati li ha conosciuti quando ha interpretato san Francesco?
«Sì, e devo dire che don Massimo me li ha ricordati molto perché lui ha un’ispirazione francescana. Sia questo ruolo sia quello di san Francesco li ho considerati un po’ come un segno. In particolare, la proposta di Luca Bernabei (il produttore della Lux Vide, ndr) è arrivata in un periodo in cui mi capitava spesso di riflettere sulla mia fede e sul mio percorso con Dio. Inoltre, sentivo l’esigenza di qualcosa di positivo dopo quello che abbiamo vissuto con la pandemia».
E che, purtroppo, stiamo vivendo ancora con la guerra.
«Ho dovuto fare un grande lavoro di presa di coscienza delle difficoltà, non dobbiamo fare finta di niente. Ma, soprattutto, non possiamo non prendere una posizione né stare con le mani in mano. In passato ho sempre cercato di capire come potermi rendere utile nelle difficoltà, aiutando in prima persona. L’ho fatto quando c’è stato il terremoto ad Amatrice, ancora prima sostenendo un progetto in Guatemala con il premio Nobel per la pace Rigoberta Menchú e con la nascita della casa-famiglia che abbiamo realizzato insieme al capitano Ultimo. L’ho fatto anche adesso: ho voluto guardare con i miei occhi cosa succede durante una guerra e cosa la provoca. Non dobbiamo mai dimenticare, il livello di attenzione deve essere sempre alto, dobbiamo avere la sensibilità di capire che da un momento all’altro può succedere qualsiasi cosa».
È andato in Ucraina?
«No. Ho ricevuto la proposta di realizzare la puntata zero di un documentario sulla guerra. Non parliamo di quella in corso ma di altri conflitti in altri luoghi. Non posso anticipare nulla, solo che sarà un piccolo documento di riflessione personale sulla guerra per non dimenticare cosa ha già provocato in altri Paesi».
Chiudiamo con “Don Matteo”: guarderà l’arrivo a Spoleto di don Massimo con la sua famiglia?
«Le mie bambine sono piccole e i miei figli più grandi non so se lo guarderanno, però spero proprio di sì»