Nella serie di Rai1 impersona una commissaria dura e spigolosa
Chiamo Elena Sofia Ricci e mi risponde mentre in auto sta attraversando un suggestivo paesaggio innevato in Molise: «Bellissimo, ma sono perseguitata dal freddo!» ci dice ridendo l’attrice che il 13 febbraio debutta su Rai1 con “Fiori sopra l’inferno”, serie in tre puntate diretta da Carlo Carlei, coprodotta da Rai Fiction con Publispei, tratta dal best seller omonimo di Ilaria Tuti. Elena Sofia Ricci è la commissaria di polizia Teresa Battaglia, esperta di profilazione di serial killer, che arriva a Travenì, un paesino (immaginario) delle Dolomiti friulane, immerso nella neve. Qui deve indagare su un omicidio insieme con la sua squadra, formata dal giovane ispettore Massimo Marini (Giuseppe Spata) e dall’ispettore capo Giuseppe Parisi (Gianluca Gobbi).
Visto che odia il freddo come ha fatto a girare in quei posti bellissimi sulle Dolomiti, ma pieni di neve?
«Il freddo che ho sentito sul set non è niente in confronto a quello che sto patendo ora con la tournée di “La dolce ala della giovinezza”. Ieri ero in scena a Campobasso ed eravamo al gelo. I teatri italiani sono freddissimi e in scena indosso solo una camicia di seta e sono scalza. Quando abbiamo girato in Friuli era neve vera, mentre a Roma era finta (le riprese si sono svolte d’estate): eravamo vestiti come in inverno, con un’afa tremenda».
Ci presenti il suo personaggio, Teresa Battaglia.
«È una donna speciale, con un passato doloroso, che ha un’attenzione particolare per l’infanzia violata e ha sepolto il suo lato femminile nella parte più profonda di sé. È diventata ruvida, spigolosa, a tratti scostante. Ma è solo una difesa dal dolore. Ha però una capacità incredibile di empatizzare con chi è più debole, in particolare con i bambini. E perfino con i serial killer. Inoltre soffre di diabete, una malattia di cui si parla poco nelle fiction e che porta a tantissime patologie gravi, fra cui l’Alzheimer. Teresa dovrà combattere anche con i mostri dentro di sé, oltre che con quelli fuori».
Un personaggio molto complesso. Come è entrata nei suoi panni?
«Non è stato difficile perché somiglia tanto a mia madre Elena, che non c’è più da quattro anni e mezzo, e quindi un po’ anche a me. Mi sono ispirata a lei, al suo modo di guardare e di essere dura e sarcastica. In qualche modo le ho reso omaggio. Io, in più, sono esageratamente empatica. Anche Teresa lo è, ma al contrario di me va dritta al sodo e non le interessano le questioni private».
In realtà il personaggio letterario è ispirato alla famosa fotografa palermitana Letizia Battaglia, da poco scomparsa.
«Fisicamente parlando, nel romanzo sono uguali: come Letizia, Teresa ha un caschetto fucsia ed è un po’ morbida. Nella nostra versione cambia un po’. Abbiamo cercato di darle caratteristiche fisiche originali, per esempio la treccia che per l’80% è fatta di capelli miei, con un po’ di aggiunte per allungarla».
Ci racconta un momento divertente sul set?
«C’è stato un giorno in cui dovevo mangiare dei krapfen alla crema. Sapendo che avrei dovuto girare la scena più volte, ed essendo golosissima, ho iniziato a digiunare dal giorno prima. Arrivato il momento di girare, in tarda mattinata, ero affamata e me li sono mangiati (non so neppure quanti!) con la stessa foga che vedrete nella scena».
Teresa ha il diabete e un principio di Alzheimer. La malattia le fa più rabbia o più paura?
«Entrambe. Due anni fa sono stata malissimo per colpa di un attacco di setticemia (un’infezione batterica, ndr) dovuto a un problema alla schiena che ho trascurato perché ero sul set di “Che Dio ci aiuti 6”. Mi sono ritrovata ricoverata d’urgenza, con dolori tremendi. Sono stata in ospedale un mese. Con tre ascessi, ho rischiato di morire. Ma mi pareva troppo presto andarmene a 58 anni, con due figlie da seguire e tanto ancora da fare. Io mi sento una ragazza nell’anima, anche se il corpo mi ricorda che non lo sono più. Ho avuto molta paura. Da allora mi sto sforzando di non tirare più troppo la corda, anche se è difficile perché di carattere sono fatta così».
Di recente ha detto: «Siamo stati tutti un po’ feriti da bambini». A cosa si riferiva?
«Sono stata una bambina che all’inizio non era voluta dal padre, poi l’ho ritrovato in tempo per ristabilire un rapporto con lui. E poi mi riferivo all’abuso subito a 12 anni da un amico di famiglia. Per questo, quando si parla di violenza sulle donne, mi arrabbio, perché si generalizza e si giudica con troppa facilità senza sapere di cosa si parla».
Ci sono altri tre romanzi dedicati a Teresa Battaglia. Finita questa sua prima indagine ce ne saranno altre?
«È quello che speriamo. Anche se in genere non amo le serie lunghe».
A eccezione di “Che Dio ci aiuti”. Le fa effetto essere su Rai1 anche con suor Angela, seppure solo in alcune puntate?
«In questo momento sono una e trina (ride): sono dal vivo in giro per l’Italia, vado e vengo come suor Angela e ora sarò anche Teresa. Non ci capisco più niente, non so più chi sono! Ieri sera recitavo a teatro mentre andava in onda “Che Dio ci aiuti”, poi ho visto la fine della puntata in albergo e ho letto i commenti positivi. Sono contenta che stia andando bene nonostante la mia assenza, sono felice per Francesca Chillemi: in questi anni il passaggio di consegne tra noi è avvenuto in modo molto profondo».
Lei è tra gli ospiti all’Ariston nella prima serata del Festival di Sanremo.
«Senza cantare, però. Lo feci quando mi invitò Carlo Conti (nel 2015, ndr) e di questo vi chiedo ancora scusa. Il problema è che non sono educata al canto e quando mi emoziono troppo non riesco a controllare bene la voce. Diciamo che ho fatto bene a fare l’attrice (ride)».