Elena Sofia Ricci: «Vi svelo tutti i segreti del mio Sartù di riso»

L’attrice di "Vivi e lascia vivere" fa con noi un “gustoso” bilancio della fiction di Raiuno

Nella fiction “Vivi e lascia vivere”, Elena Sofia Ricci è Laura Ruggero, ex cuoca in una mensa che crea un’attività vendendo sartù in strada a Napoli
28 Maggio 2020 alle 10:20

Con il grembiule da cucina indosso, se possibile, Elena Sofia Ricci è ancora più affascinante. Nel ruolo della cuoca Laura Ruggero in “Vivi e lascia vivere” ha conquistato oltre 6 milioni e mezzo di spettatori. Mentre il 28 maggio va in onda l’ultima puntata, molti si chiedono se ci sarà una seconda stagione. La verità è che questa fiction era stata pensata per concludersi in una sola stagione, ma visto il successo ottenuto, chissà... Intanto tracciamo con lei un bilancio.

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Si aspettava ascolti così?
«Per natura non mi aspetto mai niente e ho imparato ad accogliere con gioia tutto quello che viene».

Ed è andata bene. Era una storia per palati raffinati?
«Beh, non era facile, era una storia estrema, sopra le righe, provocatoria. Questa fiction è un po’ come il sartù: a strati. C’è la commedia, il thriller, il dramma, ben conditi».

Il suo personaggio si inventa una nuova vita grazie al sartù. Lei lo ama?
«L’ho assaggiato prima di girare la fiction a casa di amici napoletani. Ma sul set non l’ho mai mangiato. Perché era bellissimo da vedere, molto scenografico, ma immangiabile».

Solo per lei o anche per il resto della troupe?
«Per tutti, per tutti».

Ma non lo aveva preparato uno chef?
«No, lo hanno preparato lo scenografo e gli attrezzisti. Sono le famose maestranze di cui si parla troppo poco, specie in questo periodo di crisi del cinema. I cuochi ci sono solo nei film di Ferzan Ozpetek: lì sì, che rischi di prendere quattro chili. Mentre giravo per l’ennesima volta la scena della cena in “Mine vaganti” a un certo punto ho deciso che “bissavo” solo una ricottina. Sennò addio linea...».

Laura nella serie cucina il sartù in tanti modi diversi. Qual è il suo preferito?
«In rosso col ragù, quello tradizionale».

Dopo il successo della fiction, proverà a farlo a casa sua?
«Per carità! In cucina sono negata. Il sartù è laborioso, molto condito e in famiglia siamo salutisti. Ma sono felice che la storia offra uno spunto imprenditoriale a qualche donna che già pensa: “Quasi quasi mi prendo anch’io un furgoncino e mi metto a vendere crostate”».

Il piatto è stato creato per la regina Maria Carolina

Ha più di 300 anni e non li dimostra perché il sartù è un piatto complesso per stomaci giovani e forti. Ma com’è nato questo celebre timballo della tradizione partenopea? Il riso è arrivato a Napoli con gli Aragonesi, nelle stive delle navi spagnole. Ma i napoletani, che amavano i maccheroni, non si entusiasmarono per questa novità perché non lo consideravano appetitoso. Anzi, la scuola medica salernitana consigliava il riso “scaurato” (scaldato, bollito) in caso di problemi intestinali, tanto che l’ingrediente si meritò l’appellativo di “sciacquapanza”.

Solo nel Settecento il popolo iniziò ad apprezzarlo, all’epoca dei Borbone. La regina Maria Carolina, originaria dell’Austria e schizzinosa nei gusti, aveva fatto arrivare dalla Francia, consigliata dalla sorella Maria Antonietta, un folto gruppo dei migliori cuochi francesi, detti i “Monsieur”, che i napoletani ribattezzarono “monsù”. Gli chef decisero di condire il riso con la “pummarola”, di mescolarlo con ingredienti tipici della cucina napoletana e di presentarlo in modo sontuoso. Nacque così il sartù: il nome deriva dal francese “sur tout” cioè che sta “sopra tutto”, come il mantello di pangrattato che lo ricopre e come il centrotavola sontuoso su cui era servito. Fu un successo. Da allora il piatto trionfa nelle tavole dei napoletani.

E oggi lo vediamo anche nelle fiction ambientate sotto il Vesuvio. In “Vivi e lascia vivere” è protagonista assoluto. Ma fa capolino anche nella soap “Un posto al sole”, preparato “alla Jurdàn”, ovvero secondo la ricetta di Raffaele Giordano (l’attore Patrizio Rispo), il portinaio di Palazzo Palladini. Nella serie “I Bastardi di Pizzofalcone”, invece, la ristoratrice Letizia (Gioia Spaziani) serve all’ispettore Lojacono (Alessandro Gassmann) una porzione di sartù per fargli un test psicologico: «Tu stasera stai nervoso, perché hai scartato tutti i piselli» gli dice.

La vera ricetta: ma cosa c’è dentro il timballo?

Scriveva il grande Eduardo De Filippo: «Nu sartù turzuto e àveto, ova toste e purpettine, cu ‘e pesielle e chin’ ‘e provola, parmigiano e fegatine, rrobb’ ‘e Napule, gnorsì. Si cucine cumme vogli’i’». Tradotto dal dialetto, vuol dire che «un sartù bello alto e grosso deve avere uova sode, polpettine, dev’esser fatto coi piselli, pieno di provola, parmigiano e fegatini. Una cosa di Napoli, signorsì, si cucina come voglio io».

Ed è vero, nelle famiglie napoletane ognuno lo fa a modo suo. Certo, è un timballo di riso cotto in forno, una bomba calorica. Ma c’è chi dentro ci mette le cervella, i funghi, il fior di latte. E c’è pure chi lo preferisce in bianco... Per i puristi, però, è un’eresia perché la vera ricetta, lunga e laboriosa, è in rosso: col ragù e le polpettine. Qui di fianco ci sono gli ingredienti, trovate la preparazione sul sito Internet GialloZafferano.it.

Ingredienti

Riso Carnaroli 500g
Piselli surgelati 200g
Uova sode 2
Mozzarella 150g
Sale fino q.b.
Uova 125g

Per il ragù alla napoletana
Costine di maiale 320g
Biancostato di manzo 700g
Salsiccia 340g
Cipolle dorate 300g
Olio evo 60g
Passata di pomodoro 700g
Vino rosso 70g
Acqua 300g

Per le polpettine
Manzo macinato 200g
Mollica di pane 75g
1 uovo
Parmigiano Reggiano DOP da grattugiare 30g
Sale e pepe q.b.
1 cucchiaino di prezzemolo tritato
Olio di semi d’arachidi per friggere q.b.

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