Giancarlo Magalli: «Don Matteo? Dovevo essere io»

«All’inizio la parte era stata offerta a me ma rinunciai» racconta il conduttore. Che ora arriva nella fiction come vescovo amico e confidente di Raoul Bova

28 Aprile 2022 alle 08:51

Giancarlo Magalli, che da poco interpreta il vescovo di Spoleto in “Don Matteo 13”, aveva un “conto in sospeso” con la serie fin dal 1999, quando gli era stato chiesto di ricoprire il ruolo del protagonista che poi è stato affidato a Terence Hill: «Leggendo le sceneggiature avevo capito che la serie sarebbe stata un successo. Poi chiesi il piano di lavorazione e a quel punto realizzai che non avrei potuto farlo».

Perché?
«Le riprese sarebbero durate otto mesi e io sarei dovuto rimanere a Gubbio per tutto quel tempo. Non me la sono sentita: avevo una famiglia e una figlia piccola che volevo veder crescere».

Gubbio non è così lontana da Roma...
«Sono tre ore di macchina, non sarebbe stato possibile fare avanti e indietro».

Come mai la produzione aveva scelto lei?
«Non lo so. Immagino che avessero pensato all’unico prete investigatore che avevamo avuto fino ad allora in Italia, Padre Brown interpretato da Renato Rascel. In qualche modo forse glielo ricordavo».

Si è mai pentito della sua scelta? “Don Matteo” è un successo che dura da più di vent’anni.
«No. Rinunciai con dispiacere ma non mi sono pentito, anche perché non volevo smettere di fare il conduttore. Diciamo che ho fatto del bene a Terence Hill (ride)».

Lo ha mai incontrato sul set?
«No, però ci conosciamo da una vita. Qualche anno fa, quando faceva “Un passo dal cielo”, sono andato a trovarlo mentre girava perché erano qui all’Olgiata (un quartiere residenziale di Roma, ndr), a 200 metri dalla mia villa».

Conosceva già anche Raoul Bova?
«Sì. Tanti anni fa abbiamo doppiato insieme il film animato della Disney “Hercules”. Lui dava la voce al protagonista, io a Filottete. Con noi c’era anche Veronica Pivetti: ci siamo divertiti moltissimo. Ancora oggi, molti di quelli che allora erano bambini si ricordano di me per quel personaggio».

Veniamo al “suo” vescovo in “Don Matteo 13”.
«Non mi chieda come si chiama perché non lo so. Anche sulle sceneggiature c’era scritto solo “vescovo”».

Com’è nata questa sua partecipazione?
«È stata la mia agente a parlarne con Luca Bernabei (il produttore della Lux Vide, ndr) quando ha saputo che stavano cercando un attore per interpretare il nuovo vescovo. Gli ha detto: “Magalli ha la faccia giusta”».

Com’è questo prelato?
«È buono e pacioccone, ha voluto lui che don Massimo andasse a Spoleto. Il sacerdote ha dovuto sostituire un parroco molto amato come don Matteo e all’inizio incontra tante difficoltà. Don Massimo si sente non benvoluto anche perché i parrocchiani lanciano una petizione per mandarlo via. È tormentato, e ogni volta che ha un problema o fa qualche sbaglio di valutazione va dal vescovo. Lui lo conforta con affetto e bonarietà, gli cita la Parola di Dio e gli ricorda cosa faceva Gesù».

Le è capitato mai di incontrare un religioso così?
«Di sacerdoti ne ho conosciuti tanti, sono andato a scuola dai preti dalle elementari fino alla Maturità, prima all’Istituto Massimo, dove ero in classe con Mario Draghi e Luca Cordero di Montezemolo, e poi al Collegio Nazareno. Però uno come il mio vescovo mai, erano più buoni i professori laici. Ne ricordo uno in particolare, il professor Pietro Longo: lui sì che sembrava un vescovo, ma in borghese. È proprio vero che l’abito non fa il monaco! Ecco, se dovessi pensare a un nome per il mio vescovo lo chiamerei Pietro, come omaggio al professor Longo».

Qualcuno già parla di “Don Matteo 14”: le piacerebbe fare il bis?
«Perché no? Con Raoul ci siamo divertiti tanto. E poi la serie è piena di gente: c’è chi va via, chi torna... Mi piacerebbe anche essere più coinvolto nelle indagini. Magari don Massimo potrebbe dire al vescovo: “Venga con me, la porto sul luogo del delitto”. Già me lo immagino, per i campi con il suo sottanone (ride)».

Nell’attesa cosa farà? Per ora l’abbiamo vista uscire dalla maschera della Lumaca in “Il cantante mascherato”.
«All’inizio, quando Milly Carlucci me lo ha proposto, le ho risposto: “Ma come ti viene in mente?”. Poi, però, mi ha detto che avrei potuto farlo con mia figlia e ho cambiato idea. Michela lavora nella farmacia di sua madre, frequenta il mondo dello spettacolo di striscio e ho pensato che sarebbe stata una bella esperienza per lei. E lo è stata davvero: tutti e due dentro a quel cassonetto da spingere, lei dietro e io davanti a muovere le mani e gli occhi. Per non parlare di quando ti vengono a prendere per andare all’Auditorium della Rai: arrivano a casa, ti mettono un mantello e un cappuccio e ti fanno salire su un pulmino con i vetri oscurati, non devi parlare con nessuno. Mi sembrava di essere nella serie “La casa di carta”! Comunque, le proposte di lavoro ci sono, a settembre vedremo».

Visto il successo e la vostra amicizia, la Carlucci potrebbe chiamarla per “Ballando con le stelle”.
«Le risponderei: “Vengo molto volentieri, Milly, se mi fai fare il giudice. A ballare no, perché sono negato”».

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