Giorgio Marchesi: «Ho visto cose che non dimenticherò mai»

L'attore è tra i protagonisti di "L’Aquila - Grandi speranze", la fiction sul terremoto del 2009

Giorgio Marchesi
11 Aprile 2019 alle 09:05

«Non conoscevo L’Aquila prima di lavorare a questa serie» dice Giorgio Marchesi. «È una città che mi è entrata subito nel cuore». L’attore è uno dei protagonisti di "L’Aquila - Grandi speranze", la fiction di Raiuno in onda dal 16 aprile ambientata nel capoluogo abruzzese un anno e mezzo dopo il devastante terremoto del 6 aprile 2009.

Come mai L’Aquila le è entrata nel cuore?
«Ricordo che prima di cominciare le riprese sono andato a informarmi su come lavoravano i medici nel centro di psichiatria. Il mio personaggio, Franco, infatti è uno psichiatra che aiuta i sopravvissuti a superare il trauma del terremoto. Ho trovato una città ferita, ma tanta gente piena di voglia di vita e di ricominciare. Quando mi sono rimesso in viaggio al tramonto ho portato con me le emozioni fortissime delle gru che svettavano e di una natura forte, con quelle montagne tutt’intorno ancora piene di neve. Ho avvertito una commozione inevitabile nel ripensare alle storie di dolore, di paura, che mi erano state raccontate dalle persone del posto. Persone che nonostante tutto non avevano perso il sorriso».

Cosa ha significato girare nei luoghi del terremoto?
«È stato importante. Ricordo che a volte non capivo quali fossero le macerie vere e quali i pezzi di scenografia... In realtà erano quasi tutte rovine autentiche».

Ci descriva il suo personaggio.
«Si chiama Franco Basile ed è uno psichiatra. È bravo nel suo lavoro. Ascolta, rassicura e aiuta chi nel terremoto ha perso un figlio, un marito, un padre. Franco ha la forza di aiutare gli altri, e gli riesce bene. Ma quando si tratta di se stesso e della propria famiglia le cose si fanno più difficili. Sua figlia quella notte è scomparsa e le ricerche, dopo oltre un anno, vengono sospese. Ognuno affronta il dolore in modo diverso: lui in qualche modo cerca di andare avanti, di razionalizzarlo, anche per il bene dell’altro figlio. Ma sua moglie non si rassegna e fra i due si apre una profonda frattura».

È un ruolo che ha accettato subito?
«Sì. Mi interessava approfondire quello che è successo a L’Aquila. Da subito mi è piaciuto il fatto che fossero raccontati due mondi, quello dei giovani e quello degli adulti, ognuno con il suo modo di affrontare la tragedia. E poi c’era la presenza di Marco Risi alla regia».

La cosa più difficile?
 «Il mio personaggio si muove attraverso le scelte degli altri, è l’antiprotagonista per eccellenza. Ma forse proprio per questo è un uomo vero, reale. È uno che pone l’attenzione sugli altri più che su se stesso e che cerca di essere un sostegno per la moglie. Io non sarei così bravo».

È mai stato coinvolto in un terremoto?
«A Roma, nel 2017. Ero sdraiato in terra a giocare con mio figlio Leone che era piccolo. Ho avuto una  sensazione di smarrimento ma credevo dipendesse da me, solo dopo ho visto l’armadio che tremava e ho capito cosa stesse accadendo. E mi sono reso conto di quanto io sia impreparato. Ho pensato che, se fosse stato necessario, non avrei preso in tempo i bambini, non li avrei portati in salvo... Se tu non riesci a salvare tuo figlio o la tua compagna, o tuo padre o tua madre è un dramma ti rimane dentro per tutta la vita. E proprio questi sono i racconti delle persone che abbiamo conosciuto a L’Aquila. Toccarli con mano ti fa venire la pelle d’oca. Sono esperienze che non puoi dimenticare».

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