Giselda Volodi è la cattiva di «L’allieva 2» ed è la sorella di Margaret Mazzantini

«Ho detto no a Woody Allen e non me ne sono mai pentita. La paga non era granché e nemmeno la storia era eccezionale» racconta l’attrice

Giselda Volodi è nata in Marocco, da papà Carlo Mazzantini, scrittore, e mamma Anne, pittrice irlandese
29 Novembre 2018 alle 11:36

Oltre alla «Wally» c’è di più. Amate l’esilarante perfidia della prof Valeria Boschi in «L’allieva»? Dietro al personaggio c’è una donna con una vita incredibile. Ha debuttato a Hollywood con Bruce Willis e ha lavorato con grandi registi tra cui il premio Oscar Paolo Sorrentino. Si chiama Giselda Volodi, ma il vero cognome è Mazzantini. Sì, è proprio la sorella della famosa scrittrice Margaret, figlia dell’intellettuale Carlo e della pittrice irlandese Anne Donnelly. Una storia romantica, quella dei suoi genitori: si incontrano a Parigi e vanno a vivere in Spagna, poi in Marocco (infatti Giselda è nata a Tangeri), quindi in Irlanda e infine «quando avevo quattro anni, in Italia» ricorda l’attrice.

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E lei già da bambina sognava il red carpet?
«Da piccola volevo fare “l’attrice missionaria”. Quando vedevo i film con le dive, i telefoni bianchi e tanto lusso nelle ambientazioni, pensavo che si guadagnassero così tanti soldi da poterne dividere con i bisognosi. Ma in realtà al cinema sono arrivata tardi, a 29 anni, dopo un corso di recitazione teatrale. Prima ho fatto tutt’altro».

Ci racconti.
«Intanto ho fatto la contadina. Io e le mie tre sorelle, Margaret, Moira (agente cinematografica, ndr) e Cristina, (giornalista, ndr) vivevamo in campagna. Noi lavoravamo l’orto, raccoglievamo le olive. Mio padre avrebbe voluto dei maschi e quindi ci vestiva da maschiacci: capelli corti, pantaloni, magliette a righe. Portavo certi stivaloni larghi, con le mie gambine esili che ci ballavano dentro».

Dopo?
«Poi, grazie al fatto che sono mezza irlandese, a 19 anni ho insegnato inglese e intanto mi sono iscritta ad Architettura, perché disegnavo bene. Animali soprattutto, i miei gatti. Dovrei avere ancora da qualche parte a casa dei bozzetti. Per un po’ di tempo ho lavorato in diversi studi di architetti, ma non era quella la mia strada».

Dai bozzetti al ruolo della Monna Lisa di Leonardo nel film «Hudson Hawk» è stato un bel salto.
«Devo dirle la verità, quel film francamente era bruttino (ride). Però poi ho rifatto Monna Lisa in un documentario della Disney proiettato nel parco dei divertimenti di Parigi, con Franco Nero nei panni di Leonardo da Vinci».

Non sia modesta, nel suo curriculum spiccano big americani. Tiriamoli fuori.
«Ho avuto la particina di una cameriera in “Ocean’s twelve” di Steven Soderbergh. In seguito ho lavorato con Spike Lee in “Miracolo a Sant’Anna”, il film ispirato all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema del 1944: sgomitando mi sono ritagliata un piccolo spazio che non c’era nella sceneggiatura. Sa, gli americani non calcolano molto noi attori italiani».

Ma se Wes Anderson ha scelto proprio lei, l’unica italiana nel cast di «Grand Budapest Hotel»...
«Quella sì che è stata una soddisfazione: mi ha voluta dopo avermi vista in “Le conseguenze dell’amore” di Paolo Sorrentino. Non le dico l’emozione di cenare con Ralph Fiennes. I miei figli Chiara e Francesco, che oggi hanno 18 e 16 anni e vanno al liceo, all’epoca erano fan di Harry Potter. “Mamma, hai stretto la mano a Voldemort!” mi hanno detto».

Il film del suo cuore?
«Ho amato “Pane e tulipani” di Silvio Soldini: facevo la cameriera anche lì, una signora veneziana. Poi sono passata al dialetto siciliano con “Viola di mare” di Donatella Maiorca, girato a Favignana. Ma il mio ruolo migliore è quello di Loredana, la moglie di Nicola (Toni Servillo, ndr) in “È stato il figlio”, bellissimo film drammatico di Daniele Ciprì. Per lavorare con lui, all’epoca ho detto di no a Woody Allen che stava girando a Roma».

Se n’è pentita?
«No, la paga non era granché e il film “To Rome with love” nulla di eccezionale».

La sua fase «thriller»?
«Ero io l’assassina in “Sotto il vestito niente - L’ultima sfilata”. Che persona perbene Carlo Vanzina. Ne conservo un ricordo molto caro».

Assassina no, ma anche la Wally di «L’allieva» ha un certo lato sadico...
«È una cattiva esagerata, sempre sopra le righe. Mi diverto tantissimo a interpretarla. Sa, sono insegnante anch’io. Non di Medicina legale, ovvio (ride), ma di recitazione. Vivo fuori Roma, a Monterotondo, e ho una scuola mia che si chiama “Avamposti umani”. Ho allievi di tutti i tipi e tutte le età».

La popolarità raggiunta con «L’allieva» la lusinga?
«Non riesco ad abituarmi. L’altro giorno i bambini di una scolaresca mi hanno chiesto di firmare autografi sui fogliettini di carta strappati dai loro diari. Faccio breccia pure nel cuore delle maestre e la trovo una cosa molto tenera. Le prof di Latino e Greco dei miei figli adorano Lino Guanciale (protagonista della fiction, ndr)».

Perché non ha mai girato un film assieme a suo cognato Sergio Castellitto?
«Non è esatto. Era prevista una mia piccola parte nel suo primo film da regista, la commedia grottesca “Libero Burro”. Ma poi la sceneggiatura cambiò totalmente e io fui tagliata, insieme a molti altri. Che si arrabbiarono».

Esclude di lavorare ancora con lui?
«Non escludo nulla, sono una donna “inclusiva”».

Come mai ha cambiato il suo cognome in Volodi?
«Mazzantini era impegnativo, io ho sempre avuto uno spiccato desiderio di libertà. Dovevo avere il terreno sgombro. Volodi viene da Volodja, un personaggio del libro “Il racconto di Sonecka” della scrittrice russa Marina Cvetaeva. È un attore che smette di recitare per inseguire gli ideali di libertà e che va in guerra in Sudamerica. Mi piace anche che Volodi contenga la parola volo. Si addice al mio profilo “volatile”, al naso aquilino».

Giselda è un nome da favola dei fratelli Grimm.
«Quello l’ho ereditato dalla nonna paterna che si chiamava Griselda, detta Giselda. Era piccolina, tarchiatella».

Lo porta con disinvoltura.
«Sì, mi sta bene».

Ma la mattina, allo specchio, che cosa vede?
«Una donna “sgualcita” dalla notte. Una donna fortunata che cerca di andare avanti, facendo del suo meglio per il resto della giornata».

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