Giuseppe Fiorello torna in tv con la fiction «I fantasmi di Portopalo»

Ispirata al naufragio di migranti avvenuto nel 1996 nel Canale di Sicilia, la storia vera di un pescatore eroe. «Conosco benissimo il reale protagonista della vicenda» dice l’attore. «Di fronte a quei cadaveri in mare è stato l’unico a parlare»

Beppe Fiorello
16 Febbraio 2017 alle 16:59

La miniserie con Giuseppe Fiorello è liberamente tratta dall’omonimo libro «I fantasmi di Portopalo» (Mondadori, euro 17,50) scritto dal giornalista Giovanni Maria Bellu, interpretato nella fiction da Giuseppe Battiston. Nel 2001 Bellu, allora a «La Repubblica», ricostruì la vicenda del naufragio avvenuto la notte di Natale del 1996 nel Canale di Sicilia dove morirono quasi 300 migranti. «Un fatto rimasto nelle cronache locali» racconta il giornalista. «Dopo cinque anni venni in contatto con Salvo Lupo, un pescatore di Portopalo, e da lì partì l’inchiesta. Salvo e la sua famiglia subirono l’ostracismo di tutto il paese. I pescatori non vollero mettere a rischio la loro attività portando a terra i cadaveri e così li ributtarono in mare». All’epoca quella di Portopalo di Capo Passero fu la più grave sciagura del mare dalla fine della Seconda guerra mondiale. Quando il relitto venne individuato ci si rese conto che si trovava in acque internazionali e il processo fu bloccato. L’armatore e il capitano della nave vennero prima assolti e poi condannati.

L'intervista a Beppe Fiorello

Portopalo, estremo sud della Sicilia. C’era mai stato prima d’ora?
«Certamente, io sono nato lì, ad Augusta, sulla costa orientale della Sicilia. Quella è la mia terra: Noto, Marzamemi, Portopalo… La conosco bene e so “cos’è” quel posto». Parla Giuseppe Fiorello, convinto e appassionato come sempre. L’attore sta per tornare in tv con una miniserie in due puntate dal titolo «I fantasmi di Portopalo». Una fiction liberamente ispirata a un tragico naufragio nel Canale di Sicilia avvenuto nel 1996.

E come ci è tornato lì per lavoro?
«Dieci anni fa scopro il libro “I fantasmi di Portopalo” di Giovanni Maria Bellu. Lo leggo, mi affascina, anzi mi appassiona, e come spesso mi capita cerco di trasformarlo in immagini».

Perché ci teneva così tanto a portare sullo schermo questa vicenda?
«Volevo capire meglio cosa fosse successo a quei pescatori. E poi era una storia nascosta, insabbiata, la madre di tutte le tragedie del Mediterraneo. Oggi siamo assuefatti, assistiamo a un naufragio a settimana e la notizia passa quasi inosservata».

Lei interpreta il pescatore Saro Ferro, da cui partì l’inchiesta.
«Salvo Lupo, questo è il suo vero nome, lo conosco benissimo e dopo aver letto il libro gli ho parlato. Non è stato un progetto semplice e non ho trovato facilmente porte aperte. Questa non è la storia di un salvataggio ma di un naufragio. E non c’erano naufraghi ma solo “fantasmi”. Anime che girano attorno al paese e scombussolano la vita degli abitanti».

Il dilemma è: stare a guardare o parlare?
«Non è la storia di una Sicilia omertosa. Questi poveri pescatori trovano nelle loro reti dei morti. Ma se uno di loro pesca un cadavere e lo porta a terra sono guai: bloccherebbero il tratto marino fermando la pesca per mesi. In loro c’è paura».

Saro però parla...
«Un giorno pesca un documento che raffigura il volto di un ragazzo annegato, ha la stessa età dei suoi figli. Il vero Salvo mi ha detto: “A quel punto non ho più avuto freni, ho dovuto parlare!”».
Il titolo originario della miniserie era «Chiedilo al mare».

Cosa bisognava chiedere?
«Per anni i pescatori hanno guardato il mare con gli occhi della speranza e il mare ha sempre restituito loro il pesce, il lavoro, la vita. Ora, invece, restituisce i morti. Ma la vera domanda è: “Il mondo dove sta andando e perché accadono queste tragedie?”».

Da siciliano che risposta si è dato?
«La Sicilia è diventata la porta d’ingresso dell’Europa. La Sicilia e i siciliani stanno accogliendo con grande dignità gli immigrati. Ovviamente non si può nascondere che dietro questo flusso ci siano i traffici e gli affari delle mafie».

Come mai sceglie sempre fiction di impegno civile?

«Perché mi sento testimone di questo tempo e amo raccontare le storie di questo Paese. Anche quelle poco note. Da quasi vent’anni interpreto personaggi che, se un giorno venissero messi in fila, potrebbero raccontare il passato e il presente dell’Italia».

Perché lo fa sempre in tv?

«Per narrare delle storie la tv è un mezzo immediato, ancora più di Internet. Sul web sei tu che devi andare a cercare, mentre la tv ti viene a prendere a casa. E io sono fedele a questo mezzo. Anche quando il cinema mi ha “snobbacchiato” per anni. Prima mi criticavano perché ero un “attore di fiction”, ora vedo che tanti altri colleghi fanno televisione. Io sono sempre stato lì».

Ma lei non si rilassa mai?
«È molto più rilassante lavorare a una storia drammatica che a una commedia. Ma mesi fa ho detto: “Voglio divertirmi e cambiare marcia, faccio una commedia per il cinema!”. Allora ho prodotto un film dove recito con Pierfrancesco Favino. È la storia di un musicista rock che scompare. Uscirà il prossimo autunno».

E si è divertito?

«Certo, sul set abbiamo riso molto. Ma non è per nulla semplice far ridere, trovare le battute o il tono e il ritmo giusti. Nella vita siamo più abituati al dramma che alla commedia. La giornata non è quasi mai comica. Prendiamo in esame oggi, per esempio: già stamattina c’era il traffico, c’era lo smog, le notizie dei giornali erano orribili…».  n

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