“I fratelli Corsaro”, Giuseppe Fiorello: «Fabrizio è un personaggio nuovo per me»

È il protagonista della nuova serie di Canale 5 tratta dai gialli dello scrittore siciliano Salvo Toscano

Giuseppe Fiorello e Paolo Briguglia
9 Settembre 2024 alle 08:25

Sono tanti i giallisti che muovono i loro personaggi tra i vicoli intrisi di storia di Palermo. I fratelli Corsaro, cronista di nera uno, avvocato penalista l’altro, creature del giornalista palermitano Salvo Toscano, vantano già 12 avventure letterarie e adesso approdano in televisione. “I fratelli Corsaro” è, infatti, la nuova serie di Canale 5 che ha per protagonisti Giuseppe Fiorello (Fabrizio Corsaro), che trasloca dalla fiction Rai dopo un quarto di secolo, e Paolo Briguglia (Roberto Corsaro). La serie, tratta dai primi quattro romanzi della saga, prodotta da Camfilm e diretta dal regista Francesco Miccichè, è stata scritta da Salvatore De Mola (“Il commissario Montalbano”), Pier Paolo Piciarelli (“Imma Tataranni”) e lo stesso Giuseppe Fiorello, con cui abbiamo scambiato due chiacchiere.

È vero che questa fiction è stata una sua idea?
«Diciamo che io ho “scoperto” questi romanzi qualche anno fa e poi sono finiti in uno scaffale perché avevo altro da fare. Però mi avevano incuriosito. Poi dopo qualche tempo ho proposto il progetto a Camilla Nesbitt, uno di quei produttori così appassionati che, quando fiutano una cosa buona, ci si buttano. Lei è stata brava perché, ho saputo, non ero l’unico ad averci messo gli occhi sopra. Insomma, un giorno mi chiama e mi dice: “I diritti sono nostri”. Abbiamo parlato di visione, di come lo immaginavamo, e mattoncino dopo mattoncino siamo arrivati a realizzare questo progetto».

Lei e “suo fratello” Paolo Briguglia sembrate andare molto d’accordo.
«Io sono un professionista del “fratellismo”, ma anche Paolo ha due fratelli. Si è creato tra noi un gioco di specchi: io che guardavo lui, come posso immaginare che mio fratello guardasse me nella vita. Ho approfittato della serie per provare la sensazione dell’essere fratello maggiore, ed è una bella sensazione. Si prova tanta tenerezza ad avere un fratello piccolo, si prova gioia, in qualche misura anche una sorta di senso paterno».

Nella vita, però, lei è il fratello serio di Rosario, quello più posato, mentre nella serie interpreta il fratello più “farfallone”.
«Ho giocato col mio mestiere. Ho avuto l’onore di stare al fianco di due grandi sceneggiatori, Salvo De Mola e Pier Paolo Piciarelli, e nelle prime sedute di sceneggiatura per me si pensava a Roberto (il personaggio di Briguglia, ndr) perché ha delle cose che mi somigliano moltissimo: la tranquillità, la pacatezza, quella punta di ipocondria, e molte di queste cose le prestavo al personaggio. A un certo punto, però, ho detto: scusate, ma io mi vorrei regalare l’opportunità di fare un personaggio che è un po’ più lontano da me. In tv sono sempre stato l’eroe positivo a tutto tondo, ora vorrei interpretare un uomo con qualche ombra caratteriale. Così sono diventato Fabrizio, che rifugge la stabilità sentimentale, lascia correre le cose, si sveglia più tardi del fratello... Quello che mi piace di lui è che ha fiuto, quindi talento, ma non è il primo della classe, non lo vuole essere, non gli interessa proprio. Mi piace l’ironia che usa con il fratello. Con Paolo sul set c’è stato costantemente un rapporto di fraterna complicità».

Interpreta un giornalista di nera e proprio a marzo di quest’anno ha ricevuto la laurea honoris causa in editoria e giornalismo dall’Università di Verona. Lupus in fabula.
«La cosa mi ha colpito molto perché mi ha fatto capire che nella mia carriera ho avuto percorsi che possiamo definire “giornalistici”, attraverso dei racconti sempre fortemente voluti da me. Partiamo dall’ultimo che non vedrete mai, probabilmente, e mi dispiace molto: “Tutto il mondo è paese”, la fiction sull’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, ancora nei cassetti della Rai; poi “I fantasmi di Portopalo”, la storia di un pescatore che denuncia uno dei naufragi più terribili della storia del Mediterraneo, avvenuto il 26 dicembre del 1996, e poi tante storie tratte da fatti di cronaca reale o da libri di inchieste».

È arrivato alla recitazione dopo altri percorsi. Che sognava di fare?
«Domanda quasi psicanalitica! Faccio spesso lo sforzo di capire perché sono quello che sono adesso e perché faccio quello che faccio. Di certo sono stati determinanti, come per tutti, una serie di incontri, di casualità, ma anche un percorso formativo familiare. Ci sono cresciuto, in un certo contesto, con mio fratello Rosario ma anche con una caterva di parenti che nessuno conosce e che avevano doti da showman. Al punto che Rosario sembrava un “timidone” al confronto di altri, tutti estroversi e canterini! E poi c’è stata la figura di mio padre, un uomo carismatico, che sapeva intrattenere benissimo le persone. Io invece ero timidissimo, quasi bloccato, non riuscivo a esprimere ciò che non sapevo ancora di avere dentro. È stato proprio mio padre a formarmi con quella sua visione poetica della vita, le sue barzellette, gli aneddoti, mentre io me ne stavo lì a bocca aperta. Anche a scuola facevo scena muta, per timore di espormi, ma sapevo tutto. E questa timidezza mi ha accompagnato fino a un giorno preciso: la morte di papà. Come se mi avesse detto: "Ora mi tolgo di mezzo, così cominci a fare la tua strada"».

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