“I Medici”: Francesco Montanari è Girolamo Savonarola: «Sono il consigliere spirituale di Lorenzo il Magnifico»

Intervista all'attore romano diventato famoso per il ruolo del "Libanese" in "Romanzo criminale", in attesa della seconda stagione di "Il cacciatore"

L’attore romano Francesco Montanari veste i panni di Girolamo Savonarola nella fiction  Credit: © Fabio Lovino
9 Dicembre 2019 alle 09:10

Coprotagonista della terza stagione di “I Medici”, serie tv sulla grande famiglia del Rinascimento fiorentino, Francesco Montanari ha il ruolo di Girolamo Savonarola. «Sono il consigliere spirituale di Lorenzo il Magnifico» spiega l’attore romano «il frate domenicano che ispira il popolo con i suoi sermoni contro la tirannia dei Medici e il malcostume della Chiesa».

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Da 1 a 10 quanto è felice di interpretarlo?
«Da 1 a 10? 99! Nella vita ho due sogni: interpretare un santo e scrivere la biografia di James Hetfield, il cantante dei Metallica. Sul secondo punto devo ancora lavorare. Con questo ruolo in “I Medici”, invece, ho quasi realizzato il primo, perché per Savonarola, scomunicato e morto sul rogo, è stata chiesta l’apertura della causa di beatificazione».

Era santo, idealista o fanatico?
«Era un uomo semplice. Lottava contro le ingiustizie e si chiedeva: “Perché c’è chi mangia nei piatti d’oro mentre i poveri muoiono di fame”?».
Non somiglia affatto al vero Savonarola. Lui aveva un naso aquilino...
«Al di là del lato estetico, il regista ha visto in me la voce e l’umanità. E comunque anch’io allo specchio mi vedo qualche difetto (ride)» .

Lei crede in Dio?
«Non in senso stretto, ma credo nella spiritualità».

Ed è difficile essere credibile nei panni di un frate da non credente?
«Beh, è il mio lavoro essere “fedele” alla sceneggiatura, che è la Bibbia di un attore».

Ma recitare indossando il saio che sensazione dà?
«Il saio è pesantissimo. Ma è stato un bene, perché in molti posti dove abbiamo girato faceva freddo. E poi mi ha aiutato a dare compostezza al personaggio».

Sul set ha mai pensato alla mitica scena della lettera a Savonarola in “Non ci resta che piangere” con Roberto Benigni e Massimo Troisi?
«Certo, me la ricordo bene... (ride). Ma l’ho usata per contrasto, cercando di fare un Savonarola tutto mio».

Ha recitato in inglese?
«Sempre, tranne una volta a Volterra. Dovevo girare la scena di una predica e il regista voleva che la reazione del popolo, fatto tutto di comparse italiane, fosse la più naturale possibile. Quindi ho urlato in italiano per coinvolgerli di più».

Tra le prediche di Savonarola sono celebri quelle sull’Apocalisse. Lei ha mai immaginato la fine del mondo?
«Mah, non ci ho mai pensato. A caldo, forse, vorrei che fosse tutto “resettato” in modo che possa restare solo il meglio dell’umanità».

È sposato dal 2016 con la conduttrice Andrea Delogu. Vi confrontate sui rispettivi lavori?
«Sì, ci guardiamo a vicenda in tv, ci sosteniamo, ci diamo consigli e giudizi, con onestà. A volte siamo spietati: un po’ bastone e un po’ carota...».

Per tanti fan lei è “il Libanese” di “Romanzo criminale”. Cosa le ha dato, oltre alla popolarità, quel personaggio?
«È stato il mio primo grande lavoro, avevo 23 anni, lo considero il mio “servizio militare artistico”. A quel personaggio sono legato anche da un punto di vista affettivo».

L’anno prossimo arriva la nuova stagione di “Il cacciatore” su Raidue?
«Sì. Il mio Saverio Barone, magistrato antimafia, va “fuori di testa” perché non riesce a salvare il piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido per volere di Cosa nostra. E affronterà un baratro interiore, un vero e proprio viaggio negli inferi».

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