La vita del magistrato Alfonso Sabella diventa una fiction di Raidue. Ancora giovanissimo mise la mafia corleonese in ginocchio, arrestando 1.750 affiliati. Ora la tv racconta la sua storia. Ispirandosi a un libro

Il suo camerino al teatro Ambra Jovinelli di Roma, dove recita nello spettacolo «Uno zio Vanja», è piuttosto spoglio. Alcuni abiti di scena sono appesi a uno stand e dei basettoni finti sono poggiati sul tavolo accanto a una bottiglietta di mastice. Francesco Montanari («Il Libanese» di «Romanzo criminale - La serie») è uno che non si perde in convenevoli.
«La concretezza e l’essere diretto sono caratteristiche del personaggio di Saverio Barone che mi sono rimaste addosso» spiega l’attore. Saverio Barone è il protagonista di «Il cacciatore», la fiction di Raidue in onda dal 5 marzo. È tratta dal libro «Cacciatore di mafiosi» (Mondadori) scritto dal magistrato Alfonso Sabella, che negli Anni 90, appena trentenne, mise in ginocchio la mafia corleonese, arrestando più di 1.700 mafiosi.
Francesco, lei interpreta il magistrato Sabella?
«Non esattamente. Saverio Barone è un personaggio ispirato a Sabella. I fatti di cronaca sono tutti veri, ma la linea della vita privata e del suo modo di condurre le indagini è inventata. Abbiamo creato un personaggio ambiguo: non capisci se Barone il suo lavoro lo fa per profondo senso di giustizia o per un appagamento narcisistico».
Ha conosciuto Sabella?
«Sì, ma a riprese cominciate: il personaggio l’ho preparato sul testo e non volevo farmi influenzare. È un uomo carismatico, di enorme cultura, una di quelle persone che ascolteresti per ore».
Qualche indicazione l’avrà data.
«Quando interroghi un latitante devi trovare una umanità in comune per portarlo a fidarsi di te e convincerlo a pentirsi. Per questo lui negli interrogatori parlava in dialetto».
Dialetto che lei ha dovuto imparare.
«Ho avuto la fortuna di lavorare con un coach palermitano. E la mia conquista è stata che alla fine avevo degli “automatismi dialettali”, certe frasi mi venivano senza nemmeno pensarci su».
Cos’ha pensato quando le hanno proposto la parte?
«Non me l’hanno proposta, l’ho cercata io. Ho fatto sei provini. Mi piaceva l’idea di un personaggio positivo ma con dei lati oscuri: a un certo punto il lavoro diventa la sua ossessione».
Anche lei sembra un tipo molto serio. Lo è?
«Per niente. Do serietà alle cose ma non mi prendo sul serio. Gioco, scherzo, sono goffo, un po’ Pippo. Il primo appuntamento con Andrea (Delogu, la moglie, ndr) è stato un vero disastro».
Ce lo racconta?
«Lei accettò di uscire dopo un lungo corteggiamento. “Ma andiamo in un posto riservato” disse. La portai in un ristorante e ci sistemarono al centro della sala: mancava solo un riflettore puntato su di noi. Le regalai un paio di scarpe ma sbagliai numero. Le avevo promesso una serata magica e così pensai di chiamare un mio amico mago. Che però provò a sedurla. Alla fine lei mi disse: “La prossima volta esco con lui”» (ride).
Ma poi ha sposato lei...
«Sì. E per l’occasione mi cantò “T’appartengo” di Ambra (sorride divertito). Lei è proprio una meravigliosa matta!».
PARLA IL «VERO» eroe: «i fatti sono reali, ma io ero più buono»
«La prima considerazione che ho fatto dopo aver visto la fiction è stata che il protagonista della storia, Saverio Barone, è più cattivo di quanto non fossi io in quegli anni. Io ero “normale”. L’interprete, Francesco Montanari, è stato così bravo da rendermi più interessante». Parola di Alfonso Sabell. Che in realtà è tutto tranne che normale, dall’alto dei suoi oltre 100 arresti di latitanti eccellenti come Enzo e Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella. Sabella è stato un protagonista della lotta alla mafia negli Anni 90: era sostituto procuratore del pool di Gian Carlo Caselli, che nella serie è Andrea Elia ed è interpretato da Roberto Citran. «Io e Gian Carlo siamo amici» sorride Sabella. «Ancora oggi al telefono gli rispondo: “Comandi, capo!”».