L'attore ci racconta i due nuovi episodi della fiction di Rai1 tratta dai romanzi di Andrea Camilleri: «Un covo di vipere» e «Come voleva la prassi»
Quando gli chiedo che cosa pensa dello spot con Catarella che vola come Superman verso Vigata risponde con un sorriso e l'accento siciliano: «Niente sacciu» («Non so nulla», ndr). Luca Zingaretti non ha ancora visto il promo che annuncia il ritorno in televisione de «Il commissario Montalbano»: due nuovi film in prima serata su Raiuno il 27 febbraio e il 6 marzo. Ma di una cosa è certo: «Anche stavolta cercherò di non deludere il pubblico che dal 1999 ci ha seguito con grande affetto nei 30 episodi realizzati fino a oggi» dice. I due film precedenti, trasmessi nel 2016, hanno superato il 40% di share. Un vero e proprio record.
La trama di «Un covo di vipere» - La trama di «Come voleva la prassi»
Dica la verità, come si sente a essere il re della fiction?
«Guardi, io una verità ce l'avrei, ma non so se dirla o meno. La prima storia nuova che vedrete, ?Un covo di vipere?, ci è venuta davvero bene. In genere va così: l'ultima cosa che fai è sempre la migliore. Ma stavolta azzardo e mi sento di poter affermare che è uno dei film più belli, se non il più bello di tutti».
Cosa significa per lei interpretare ancora Montalbano dopo tanti anni?
«È una passione, è sempre una sfida. Giriamo in media ogni due anni per due mesi. E ogni volta discutiamo fino all'ultimo, fino a un secondo prima di dare il ciak: ognuno dice la sua sulla battuta, sull'inquadratura, sul costume, sul luogo. Quando si crea una tale aspettativa nel pubblico che ti segue da così tanto tempo, ti assumi una grossa responsabilità e la devi prendere sul serio».
Di che parla il primo episodio, «Un covo di vipere»?
«È tratto dall'omonimo romanzo di Andrea Camilleri pubblicato da Sellerio nel 2013. Un imprenditore viene trovato morto nella sua casa al mare. In molti avevano un motivo per odiarlo: era un uomo orribile, uno strozzino che molestava e ricattava delle ragazze».
E il commissario indaga. Accanto a lui vedremo una donna: Giovanna. Salvo ne sembra un po' turbato...
«Giovanna, interpretata da Valentina Lodovini, è un personaggio inquieto, una ?dark lady?. Viene chiamata in commissariato perché ha a che fare con la vittima. E come tutti i familiari, gli amici e i condomini del palazzo della vittima, viene interrogata anche lei. Sul set con Valentina abbiamo sempre lavorato a stretto contatto. Montalbano va spesso a casa di Giovanna e poi... Non dirò come va a finire: è un giallo!» (ride).
Il primo e il secondo episodio, «Come voleva la prassi», hanno qualcosa in comune?
«Raccontano entrambi amori tragici, incestuosi. Come ci fa notare spesso il regista Alberto Sironi, Camilleri sa accompagnare Montalbano fino sull'orlo dell'abisso, costringendolo a guardare il male che si nasconde nell'uomo».
In che modo si salva Montalbano quando si imbatte in un tale orrore?
«Camilleri usa una bella metafora: la nuotata in mare. Ha un effetto catartico, purificatore. Quando si immerge in acqua, è come se Montalbano si mondasse di tutti i peccati, suoi e dell'umanità. Il bello di Camilleri è che ti porta per mano a riflettere sui fatti umani con la potenza della tragedia greca. Sarà la terra da cui proviene, saranno i suoi studi classici, ma ci riesce sempre».
Ma nello stesso tempo riesce a farci sorridere. Con la goffaggine dell'agente Agatino Catarella, le squisitezze della cuoca Adelina...
«La grandezza di Camilleri sta proprio nelle botte di ironia e autoironia. Sono imbattibili. Una grande sceneggiatrice che ho avuto la fortuna di conoscere, Suso Cecchi D'Amico (autrice, tra gli altri, di ?Ladri di biciclette? e ?I soliti ignoti?, ndr) diceva che la vita non val la pena di essere vissuta se non si ride almeno una volta al giorno. Camilleri, che fa parte di quella generazione, e ne ha viste di ogni genere, persino nei momenti più bui sa trovare una luce attraverso la chiave comica».
Quanto è cambiato Montalbano nel tempo?
«È maturato, è più malinconico, è invecchiato assieme a me» (ride).
Si è evoluto?
«Sì, succede sempre nel genere ?polar?, come si chiama in Francia (dalla fusione di policier, ?poliziesco?, e noir, ndr). Succedeva con i Maigret di Georges Simenon e lo stesso fa Camilleri con l'Italia di oggi: Montalbano ha una visione più cupa perché negli ultimi anni la vita è diventata più difficile, complici la crisi economica e il dramma dei migranti a un'ora e mezzo di gommone. Viviamo nella paura, il terrorismo ci ha portato la guerra in casa. La fiction non può che subire questi influssi».
I punti fermi della serie restano, però.
«Il rapporto burrascoso con Livia, per esempio, che rimane il porto sicuro per Montalbano; le loro classiche telefonate da cui può sempre scattare un litigio. O la complicità con l'amica Ingrid».
Non ha mai pensato al rischio di sembrare ripetitivo o di annoiarsi?
«No, perché gli spettatori si aspettano degli elementi ripetitivi. È come quando incontri un amico simpatico, che ti fa ridere, non vuoi che improvvisamente cambi repertorio di battute. L'importante è usare questi elementi solo se sono funzionali al racconto, senza trasformarli in cliché».
La Sicilia si riconferma protagonista della fiction?
«Sì. Per me è come un personaggio tra i personaggi. Lo sono anche la fotografia di Franco Lecca, i costumi di Chiara Ferrantini, la scenografia di Luciano Ricceri. Il nostro è un lavoro di squadra e la decisione di girare tutto in Sicilia, in quei posti, e che posti, si deve all'intuizione e alla lungimiranza del produttore Carlo Degli Esposti».
Lei nell'isola ha messo radici, ormai. Cosa ama di più di questa terra?
«Ho casa a Pantelleria, quindi direi i profumi: l'origano, il limone, il cappero. E il profumo di rosmarino e lavanda che chiunque ricorda se ha avuto la fortuna di frequentare la Sicilia in primavera. L'olfatto è il nostro senso primario: memorizziamo molto di più con il naso che con gli occhi».
Quali sono i suoi prossimi progetti professionali?
«Ho appena finito il tour di ?The pride?: ho portato in giro nei teatri questo spettacolo, diretto e interpretato da me, per due anni. Il pubblico lo ha apprezzato perché parla di amore in tutte le sue declinazioni. Mi piacerebbe ripetere l'esperienza, tanto che ho già comprato i diritti per la regia del testo inglese ?The deep blue sea?, costruito attorno a un personaggio femminile. Ma prima mi prenderò un anno sabbatico».
Per studiare?
«Per stare con la famiglia.Vorrei godermi le bambine, e non perché reclamano il papà: lo faccio per egoismo. Emma ha cinque anni, Bianca uno e mezzo: sono più le gioie che loro danno a me, che non l'inverso». n