“Il metodo Fenoglio”, Alessio Boni: «Indago a Bari e non a Londra, però sembro Sherlock Holmes»

È il protagonista della serie tratta dai romanzi di Carofiglio: «Sono un maresciallo colto ed empatico»

26 Novembre 2023 alle 08:25

Pronti a innamorarvi di un nuovo personaggio interpretato da Alessio Boni? Dal 27 novembre per quattro puntate sarà il protagonista di “Il metodo Fenoglio”, tratto da tre romanzi di Gianrico Carofiglio che ha curato anche soggetto e sceneggiatura: «Sono curioso di capire come sarà accolto un soggetto atipico per Rai1 perché poco rassicurante» spiega l’attore.

Carofiglio le ha dato indicazioni prima di iniziare le riprese?
«Abbiamo parlato per ore, mi ha svelato particolari che non ha scritto nei romanzi per aiutarmi a entrare nei suoi panni».

Conosceva i suoi libri?
«Non questi. Quando mi hanno parlato del progetto, tre anni fa, in due giorni li ho letti tutti: abbiamo fatto modifiche alla sceneggiatura, sempre con la supervisione di Carofiglio che a 30 anni era magistrato a Bari Vecchia e conosceva tutte le sue dinamiche. Ci diceva anche come muoverci sul set, facendoci descrizioni precise su come avvenivano le cose all’epoca».

Chi è il suo Pietro Fenoglio?
«È molto simile al personaggio letterario, è un torinese che viene mandato a Bari per seguire un caso. Qui si innamora di Serena (Giulia Bevilacqua) e decide di rimanere. Sono gli Anni 80-90, la città è pericolosa, c’è una mattanza di morti per la guerra fra cosche. Entra in questo mondo pur essendone completamente estraneo. Lui voleva fare il letterato, scrivere libri, insegnare all’università, ma poi diventa carabiniere per caso e scopre che gli piace districare la matassa come Sherlock Holmes».

Usa poi un “metodo tutto suo”...
«Detesta la violenza e le armi, non vorrebbe mostrare nemmeno il tesserino, ma ama il suo lavoro, ne è ossessionato. Il suo metodo a volte funziona e altre no, è un modo diverso di vedere le forze dell’ordine e cerca di insegnarlo al suo gruppo».

Da quale particolare è partito per costruire questo personaggio?
«Dalla musica classica che lui ascolta nel walkman e che lo ispira aiutandolo a concentrarsi. Spesso quando creo un personaggio cerco una musica che mi faccia avvicinare a lui. In questo caso mi ha aiutato quella del compositore Rachmaninov».

Come mai il suo maresciallo non indossa la divisa?
«Fa parte dei corpi speciali, del nucleo operativo. Deve essere in borghese, altrimenti lo riconoscono subito».

Con l’appuntato Pellecchia (interpretato da Paolo Sassanelli) forma una coppia originale e spassosa, giocata sui contrasti. Vi siete divertiti?
«Tantissimo, e poi Pellecchia è fondamentale. Essendo di Bari conosce tutti i “codici” e poi a Fenoglio serve avere accanto una persona così istintiva. Fenoglio è troppo cerebrale e ha bisogno della “pancia”, che a volte indirizza sul sentiero giusto. L’intelletto da solo non basta. Loro due sono un po’ come Don Chisciotte e Sancho Panza».

Com’è stato girare a Bari?
«Ci vivrei, è bellissima e piena di turisti. Abbiamo girato d’estate, andavo a nuotare dopo le riprese. La gente era orgogliosa che fossimo in città, erano rispettosi ed entusiasti. Ma ho fatto una vita monacale perché c’era la famiglia con me e tornavo subito da lei dopo il lavoro. Sarò uscito tre volte con il cast. E poi... come si mangia bene!».

Fenoglio dice: «La simpatia è sopravvalutata». Che ne pensa?
«La simpatia è un biglietto da visita meraviglioso, però a volte si confonde con l’empatia, che significa entrare nella vita dell’altro, capirlo e accoglierlo. Ma non tutti i simpatici sono anche empatici».

E lei è più simpatico o empatico?
«Mi piace l’ironia ma soprattutto capire gli altri. Sono molto empatico. Non sono un comico ma faccio battute anche sul lavoro: l’ironia è una polverina magica per le relazioni».

Sempre Fenoglio afferma: «La pazienza è la nuova rivoluzione».
«Vero. Non sono paziente come lui, ma ci vorrei arrivare. La pazienza non ti fa fare passi falsi, l’impazienza invece ti fa fare azzardi e magari scelte sbagliate. Fenoglio è molto empatico e paziente».

Lei quanto lo è nella vita?
«Sono paziente, però intollerante verso certe nefandezze e certi atteggiamenti arroganti».

I suoi figli Lorenzo, di 3 anni, e Riccardo, di 2, hanno contribuito a fargliela aumentare?
«Hanno fatto aumentare sia la pazienza che l’impazienza! Prima dico le cose con amore ma non ottengo niente. Così a volte devo alzare la voce ed essere serio, allora mi ascoltano».

I fatti raccontati dalla serie avvengono a Bari nel 1991. Lei allora aveva 25 anni. Com’era la sua vita?
«Ero sul trampolino di lancio. Frequentavo il penultimo anno dell’Accademia di arte drammatica. Andavo tre o quattro volte la settimana a teatro e al cinema. Ero in piena crescita culturale».

Cosa rimpiange di quegli anni?
«La sana incoscienza, che ora non ho più, che ti faceva fare tutto e ti dava coraggio. Ti buttavi e ti sentivi onnipotente».

Che cosa invece non vorrebbe più rivivere?
«L’insolenza del potere, non avrei voluto più viverla. Ma purtroppo non è stato così. È solo cambiata. C’è ancora e mi crea lo stesso magone e la stessa insofferenza di allora».

Domani invece cosa l’aspetta?
«Stiamo facendo le prove di “Iliade. Il gioco degli dei” che debutta il 12 dicembre al Teatro Donizetti di Bergamo. Saremo in tournée fino ad aprile. A gennaio dovrebbe andare in onda sulla Rai la serie “La lunga notte” di Giacomo Campiotti sulle settimane che precedettero la notte in cui venne destituito Mussolini. Poi, se tutto va bene, a maggio vorrei tornare a Bari per girare le nuove puntate di “Il metodo Fenoglio”».

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